Relazione di Guido Paglia su A.N. e il Golpe Boghese – documento trovato presso la sede di OP

Per forza di cose questa relazione si riferisce all’attività svolta dall’Avanguardia Nazionale nel periodo compreso tra la fine del 1967 ed il corrente mese di novembre del 1972. Di volta in volta si cercherà di narrare anche fatti antecedenti dei quali, tuttavia, si hanno per il momento soltanto particolari frammentari.
Innanzi tutto è bene precisare subito che quando si parla di Avanguardia Nazionale ci si riferisce in generale ad un certo ambiente che gravita inevitabilmente intorno alla figura di Stefano Delle Chiaie, uno dei leader più rappresentativi delle frange della destra extraparlamentare. La metodologia studiata da Delle Chiaie per la battaglia politica ha fatto però in modo che l’Avanguardia Nazionale non sia altro che la facciata “ufficiale” di un’organizzazione che può contare sopra tutto su un “apparato” clandestino di notevole capacità operativa. Questo “apparato” costituisce la vera e propria forza del gruppo di Delle Chiaie.
Di esso fanno parte personaggi più o meno noti dell’estrema destra, ma anche (ed è questo un punto di ulteriore forza) per­sone assolutamente sconosciute agli archivi “politici”. Ciò permette all’organizzazione una notevole libertà di movimento.

Il metodo di lavoro politico si basa così sui seguenti punti:
1) gli attivisti più noti e comunque tutti coloro che in qualche modo hanno avuto a che fare con la polizia, i carabinieri e naturalmente la magistratura, vengono inquadrati in seno all’Avanguardia, la “facciata ufficiale” dell’organizzazione; sono loro che conducono le battaglie che riguardano la “politica attiva”, quella di stretta concorrenza al MSI;
2) gli aderenti meno noti e soprattutto coloro i quali hanno dimo­strato delle capacità organizzative più adatte alla clandestinità, vengono invece destinati alla struttura “secondaria”, quella dell’apparato; di esso comunque fanno parte anche attivisti notissimi che però, almeno “ufficialmente” non svolgono più attività politica; a questa struttura “secondaria” appartengono proprio i componenti dei “commandos” terroristici; per garantire la loro attività sono stati studiati particolari accorgimenti quali ad esempio il fatto di non conoscersi neppure tra membri dell’apparato, di non sapere mai chi ha compiuto una certa “azione” etc.;
3) l’Avanguardia oltre che condurre la battaglia ufficiale ha anche il compito di “filtrare” per l’”apparato” gli elementi che via via vengono giudicati idonei a svolgere un lavoro di maggiore responsabilità;
4) infine, proprio per quanto detto finora, c’è anche da tenere presente che non tutti (anzi è meglio dire la stragrande maggioranza) gli appartenenti all’Avanguardia appartengono alla struttura secondaria; l’inquadramento in quest’ultima avviene per meriti (e soprattutto per fiducia) soltanto in un secondo momento.

Elencati i principi generali sui quali si fonda la metodologia di lotta ideata e messa in pratica da Delle Chiaie, passiamo a qualche dato più concreto sull’organizzazione. Attualmente, ad esempio, il ver­tice è composto, oltre che da Delle Chiaie, dalle seguenti persone:

MAURIZIO GIORGI (senz’altro il più autorevole ed il più capace tra i luogotenenti), abitante in via Olindo Malagodi 25, numero di tele­fono 4383430;
FLAVIO CAMPO, già numero due del gruppo e attualmente destinato all’organizzazione e all’esecuzione dei pro­grammi clandestini, abitante in via Cerveteri ed impiegato presso il Ministero delle Finanze dove lavorano anche il padre e la sorella); CESARE PERRI, laureando in Medicina, studente fuori sede residente a Catanzaro (è colui che curò più da vicino i rapporti con il “Fronte Nazionale” di Borghese in occasione del “colpo di stato”); GIULIO CRESCENZI, idraulico, abitante al quartiere Nuovo Salario (Val Melaina); FAUSTO FABBRUZZI, impiegato presso la Cassa di Risparmio di Rieti in via in Aquiro. Gli ultimi due sono di scarse capacità ed appartengono al vertice più in quanto amici fedelissimi di Delle Chiaie che per meriti individuali; eccellenti esecutori di ordini e niente più. Pur non facendo parte del “vertice” è alla stessa altezza dei sunno­minati anche ADRIANO TILGHER (il padre, Mario, lavora al “Roma” di Napoli al servizio interni), abitante in via dei giornalisti 6 o 8 (telefono 341548). Tilgher ha assunto l’incarico di Presidente Nazio­nale dell’Avanguardia dopo le dimissioni di Guido Paglia. È anch’egli soprattutto un buon esecutore d’ordini, ma non difetta neppure di qualità organizzative ed ideative. Instancabile, svolge quotidianamente una molo di lavoro impressionante. Attualmente, in seguito al noto mandato di cattura per falsa testimonianza circa l’istruttoria della strage di Milano, Delle Chiaie è sostituito al vertice da una specie di triumvirato del quale fanno parte Campo, Giorgi e Perri.

Elementi di sicura affidamento per l’apparato sono anche Roberto Palotto, Tonino Fiore, Saverio Ghiacci, Bruno Di Luia, Marco Marchetti, Saverio Savarino, Riccardo Minetti, Enzo Casale, Fabio Regoli, Carmine Palladino etc. In tutt’Italia, la struttura dell’Avanguardia rispecchia fedelmente i principi generali già elencati: agli attivisti di piazza, inquadrati ufficialmente, fanno riscontro i membri dell’apparato clandestino. Punto di forza è naturalmente la Calabria: in tutte e tre le province, l’Avanguardia ha raggiunto posizioni di indiscutibile autorità  riuscendo perfino a scalzare dalle piazze i missini (l’emorragia di giovani verso la linea dura dell’Avanguardia è incessante).

Responsabile delle due “strutture” in Calabria è il marchese Felice (Fefè) Zerbi di Reggio Calabria. Persona di grande prestigio, gode di incondizionate protezioni anche presso l’ambiente mafioso che in più di un’occasione è stato assai utile all’Avanguardia. In passato ha ricoperto l’incarico di “reggente” del Fronte Nazionale e in occasione della visita a Reggio di Borghese (ottobre 1969) dimostrò ampiamente lo sue capacità organizzative. Suoi strettissimi collaboratori sono Pino Barletta e Carmelo Dominici (attualmente in carcere). A Catanzaro, fiduciario risulta tale Totonno, un professore facilmente meglio identificabile in quanto già “reggente” anche lui del Fronte Nazionale.

La presenza dell’Avanguardia è particolarmente consistente anche nelle seguenti città: Messina, Catania, Bari, Taranto, Avellino, Napoli, Latina, Rieti, Grosseto (qui per l’apparato è responsabile tale Ciabatti, fedelissimo di Borghese), Massa (Piero Carmassi), Pistoia, Firenze, Perugia, Terni, Viareggio (e tutta la Versilia), La Spezia, Lucca, Siena (Pierfranco Di Giovanni), Ravenna (tale Alvaro), Bologna, Reggio Emilia (Paolo Pecoriello), Pavia, Trento (Cristiano De Eccher), Trieste, Padova, Novara, etc. Recentemente è stato costituito il gruppo di Avanguardia anche a Milano (responsabile tale Marco, un nobile molto amico di Flavio Campo). In poche settimane di attività, il gruppo ha già acquistato notevole forza e prestigio.

Il Colpo di Stato
A questo proposito il discorso va riallacciato alla nascita del “Fronte Nazionale” di Borghese. Per decisione di Delle Chiaie i rapporti tra i due ambienti si fecero sempre più stretti, tanto che spesso era l’Avanguardia, a camuffarsi da “Fronte” per svolgere azioni di una certa importanza. Borghese poté comunque contare sempre sulla dispo­nibilità dell’apparato. I primi discorsi sulla possibilità di effettuare un “golpe” con l’aiuto delle Forze Armate cominciarono a circolare tra i membri dell’apparato verso la fine del 1969. Si parlò sempre di scadenze brevi e di organizzazione perfetta (in poche ore era­no pronte -secondo i discorsi dei responsabili del Fronte- tutte le soluzioni per assicurare la continuità dell’apparato statale). I rapporti tra il Fronte e l’Avanguardia vennero curati da Borghese in persona e in sua assenza o indisponibilità dal maggiore Orlandini.
Per l’Avanguardia partecipavano alle riunioni Delle Chiaie, Campo e Perri. La prima data stabilita per agire doveva e sa ere compresa nel mese di giugno del 1970. Nel cantiere che l’impresa edilizia di Orlandini aveva nei presai della Buffalotta, le riunioni si intensificarono sempre più: vi partecipavano senza dubbio alti ufficiali e personaggi del mondo politico (testimonianze dirette); Orlandini e Adria­no Monti (membro del consiglio nazionale del PLI, medico, molto noto a Rieti) sostenevano che c’era un appoggio praticamente incondizionato anche da parte dei carabinieri, della, polizia e di stessi ambienti governativi. Tutto sembrava procedere senza intoppi di sorta e se non altro la coreografia che circondava i preparativi, pareva avva­lorare lai credibilità del discorso di fondo. La complicità all’interno del Ministero degli Interni era assicurata da un certo dottor Drago che sembrava essere uno dei più autorevoli «golpisti».

Si arrivò così alla famosa notte sul 4 dicembre quattro giorni prima di quella prestabilita per l’azione. Il 7 dicembre, Delle Chaie rifinì gli ultimi particolari. Divise i compiti e affidò a Flavio Campo i compiti dinamitardi, riservando a se stesso quelli riguardanti l’azione al Viminale. I membri fedelissimi dell’Avanguardia sarebbero stati convocati in sede per le 18 del 7 stesso. Dovevano essere circa una cinquantina e sarebbero stati informati dei loro compiti all’ultimo momento poiché soltanto pochissimi di loro facevano già parte dell’apparato clandestino. Ufficialmente essi dovevano restare a disposizione presso la sede dell’Avanguardia (via dell’Arco della Ciambella 6, ter­zo piano) perché i dirigenti avevano saputo che proprio quella notte i comunisti avrebbero dato l’assalto alla sezione. Contemporanea­mente tutti gli altri membri dell’apparato si sarebbero riuniti in una serie di appartamenti dislocati in varie zone della città. Ai romani (un centinaio) si aggiunsero un’altra cinquantina di elementi di varie città fatti affluire precipitosamente, nella capitale. E’ scontato che anche al di fuori di Roma i membri dell’apparato erano pronti ad intervenire: gli ordini prevedevano però il passaggio allo scoperto soltanto dopo una precisa comunicazio­ne proveniente da Roma e diramata solo nel caso in cui tutti gli obiettivi strategici fossero stati occupati secondo i piani pre­stabiliti.

Si seppe che oltre all’Avanguardia risultavano mobilitati per l’azione la stragrande maggioranza degli aderenti all’associazione paracadutisti (punto di raccolta la famosa palestra, di via Eleniana), il gruppo “Europa Civil­tà” diretto da Loris Facchinetti, Stefano Serpieri e Mauro Tappella, ed elementi del MSI raccolti intorno all’on. Giulio Caradonna (particolar alquanto stridente con quanto proclamato fin dal principio dai responsa­bili del “Fronte”, i quali avevano assicurato che in nessun caso i missini sarebbero stati resi partecipi del “colpo di stato”). All’ora prestabilita gli attivisti dell’Avanguardia si trovarono all’appuntamento fissato in sede, periodicamente, i dirigenti vennero informati degli sviluppi della situazione da altri membri dell’appa­rato. Alle 19,30, ad esempio, Giulio Crescenzi giunse in via dell’Arco della Ciambella per comunicare che il gruppo dell’Avanguardia guidato da Adriano Monti e da Alberto Mariantoni (responsabili delle due strutture del capoluogo) era già all’interno del Viminale pronto ad agire.
Alle 23, sempre il Crescenzi avvertiva che un secondo gruppo si tro­vava nel garage del Ministero degli Interni dove era stato armato da un maggiore della “Celere” di Centro Pretorio (non sarebbe diffici­le individuarlo perché si seppe che quel giorno era di turno). Insieme a quelli dell’Avanguardia (tutti appartenenti al gruppo del Quadraro e guidati da Roberto Palotto, Saverio Ghiacci e Carmine Palladino), c’erano comunque anche alcuni (tre o quattro) agenti di polizia che avevano naturalmente il compito di inquadrare gli attivisti. Particolare significativo; il maggiore fece un discorsetto di circostanza affermando che lui non era affatto fascista ma che comunque credeva in quello che stava facendo; concluse chiedendo la massima collaborazione e soprattutto l’esecuzione di qualsiasi ordine senza discussioni.

All’una la “doccia fredda”: dal quartier generale, dopo che tutti i giovani dell’Avanguardia, informati sul reale motivo della convoca­zione, si apprestavano a salire su un automezzo che sarebbe dovuto giun­gere nel giro di pochi minuti dal Viminale, giunse l’ordine di “fer­mare” tutto e di tornare a casa senza creare complicazioni. Si disse che l’ordine giungeva direttamente da Orlandini e quindi da Borghese.

Il maggiore si mostrò estremamente contrariato e iniziò a congedare quelli dell’Avanguardia che si trovavano nel garage del Viminale di­cendo: “Mi dispiace ragazzi, purtroppo è finita… è finita… gli ordini di Orlandini e Drago sono precisi… si sospende tutto e si torna a casa”. Fu a questo punto che Palotto e Ghiacci pensando ad una possibile e futura manovra “ad incastro” decisero di impadronir­si di alcune “machine-pistolen” e dei relativi proiettili. Queste armi –pensarono – fanno parte della dotazione del Ministero degli Interni. Se domani dovesse andarci male, potremo almeno, grazie a queste, andare fino in fondo a questa storia.

I membri più fedeli dell’apparato vengono convocati da Delle Chiaie che informa gli intervenuti circa le disposizioni alle quali ciascu­no dovrà attenersi in concomitanza con lo scoccare dell'”ora X”.
Secondo le decisioni del comandante Borghese, l’Avanguardia dovrà occuparsi di due obiettivi:
1) alcuni “commandos” avranno il compito di far saltare in aria tutto le strade che potrebbero permettere alle unità dell’esercito di stanza ad Anzio-Nettuno (al “Fronte” viene spiegato trattarsi di truppe corazzate fedelissime al presidente Saragat): di raggiungere Roma. I golpisti distribuiscono a questo proposito mappe e schizzi a membri dell’Avanguardia.
2) Il grosso dei membri dell’Avanguardia ufficiale e clandestina si dovrà invece occupare di occu­pare il Ministero degli Esteri. A loro verranno affiancati tecnici specializzati che subito dopo l’occupazione degli edifici, dovranno preoccuparsi di utilizzare, a seconda dogli ordini, la importantissima centrale di comunicazioni radio e telefoniche. A questo proposito viene fatto un discorso del genere: “agiremo servendoci di complicità interne. Con voi ci saranno anche parecchi carabinieri. Altri ne troverete dentro il ministero. Questi ultimi dovrebbero immediatamente unirsi a noi; nel caso in cui però ciò non avvenisse allora non bisognerà avere esitazioni: se necessario, dovrete usare le armi!”.

La seconda parte del “golpe” prevedeva poi questa ulteriore utilizzazione degli elementi di Delle Chiaie: “Dopo l’occupazione del Ministero degli Esteri, dovrete attendere fino all’alba del giorno appresso (l’azione naturalmente si sarebbe dovuta svolgere intorno alla mezzanotte). Vorrete infatti rimpiazzati da truppe rego­lari. Compiuto così la prima fase del colpo di Stato, sarete destina­ti ad un altro incarico di fiducia: insieme ad i carabinieri andrete a rastrellare nelle prime ore del mattino una serie di persone che viene ritenuto opportuno allontanare coattivamente da Roma por qualche tempo. Quelli del “Fronte” spiegarono trattarsi soprattutto di sindacalisti molto importanti la cui eventuale libertà d’azione avrebbe potuto provocare uno sciopero generale immediato che avrebbe fatalmente arrestato e forse compromesso l’esito dell’insurrezione delle forze armate. Que­ste persone dovevano essere caricate a bordo di autocarri dei carabinieri e della celere e scortate fino a Civitavecchia. Qui, al porto, sarebbero state messe a disposizione diverse navi che avrebbero poi accompagnato gli arrestati in due isole dell’arcipelago delle Eolie o Lipari.

Il fatto di essere subito estromessi da un punto-chiave quale il Ministero degli Esteri e naturalmente il timore che tutto il “golpe” potesse rivelarsi una trappola per stroncare l’estrema destra provocò non poche perplessità e perfino proteste. Tra l’altro si paventava il pericolo di un arresto in massa degli appartenenti all’Avanguardia all’uscita del Ministero: in questo modo, in un certo senso si poteva ripetere  quanto era avvenuto in Grecia dove, subito dopo il colpo di stato, i colonnelli avevano pensato bene di mettere in galera sia estremisti di destra che di sinistra. Le obiezioni trovarono quasi subito l’appoggio incondizionato di Delle Chiaie e di altri autorevoli responsabili del “vertice” d’apparato. Venne pertanto deciso di chiedere ufficialmente ai responsabili del “Fronte” di fare svolgere a quelli dell’Avanguardia un compito di maggiore responsabilità e che soprattutto potesse in pratica fornire quelle garanzie di sicurezza futura che stavano a cuore di tutti.
La proposta fu accettata quasi subito e a questo proposito va sotto­lineato come un appoggio autorevole alle richieste dell’Avanguardia venne dal dott. Drago il quale non mancò di ricordare gli indiscutibili meriti dei giovani guidati da Delle Chiaie nell’organizzazione di tutto il “pre-golpe”. Il 6 dicembre venne cosi deciso che l’Avanguardia avrebbe avuto il compito di occupare il Ministero degli Interni. Drago fornì Delle Chiaie ed al­tri di una pianta del Viminale. La mappa era fatta a mano ma appariva corrispondente alla realtà. Drago spiegò per filo e per segno le tappe dell’occupazione mostrando bene dove si trovava la centrale operativa del Ministero.

Aggiunse che la notte sull’8 dicembre sarebbe stato senz’altro necessario far uso del le armi in quanto le guardie ed i funzionari che orano all’interno della sala che ospitava la cen­trale radio non avrebbero aperto la porta se non di fronte a persone più che conosciute e soprattutto in possesso di precise credenziali. Venne garantito che i membri dell’Avanguardia sarebbero stati fatti entrare nel Ministero degli Interni grazie ad una serie di complicità sfuggendo ai frettolosi controlli delle guardie, le armi uscirono così dal Viminale.
Dopo una riunione convulsa svoltasi nel quartiere generale (installato nella sede del Fronte in viale XXI Aprile) si predisposero gli ultimi accorgimenti affinché la macchina del golpe si potesse arrestare senza provocare una serie di reazioni a catena contro i partecipanti all’azione. All’alba tutti gli attivisti convocati fecero così ritorno a casa con l’impegno di non fare parola con alcuno di quanto accaduto nel corso della notte. Nei giorni seguenti, naturalmente, si svolsero diverse riunioni per tentare di capire cosa avesse inceppato l’ingranaggio definito fino all’ultimo momento come “assolutamente perfetto”. Fu lo stesso comandante Borghese a spiegare che le difficoltà maggiori erano giunte nel corso dell’occupazione del Ministero della Difesa. “Qualcuno” infatti si era tirato indietro e non era stato più possibile procedere senza troppi rischi ed entrare nei palazzi di via XX settembre da dove, secondo quanto stabilito in precedenza, un altissimo ufficiale avrebbe rivolto un appello comunicato attraverso la radio.

Si seppe anche un altro particolare. Un ufficiale dei carabinieri, tale Pecorella, che doveva arrivare da fuori Roma accompagnato da quaranta militi, era giunto portando con sé soltanto sedici carabinieri. Per rimediare allora Orlandini e gli altri avevano proposto di armare e rivestire con l’uniforme alcuni attivisti. Pecorella si era però recisamente opposto a questa soluzione, minacciando di rinunciare ad entrare in azione. Poiché il suo obiettivo doveva essere proprio il Ministero della Difesa per l’occupazione del quale erano già sorte complicazioni delle quali si è detto, anche questo atto convinse i golpisti a rimandare l’operazione.
E’ chiaro (e borghese a questo proposito non volle aggiungere altro che vi furono comunque anche altri intoppi poiché non è certo giustificabile in questo modo l’arresto di un “colpo di stato”.

Fu proprio questa considerazione che contribuì a far sorgere i primi sospetti circa l’inattendibilità delle intenzioni “golpiste” di certi personaggi che circondavano Borghese, primo fra tutti il Drago. I sospetti divennero quasi certezza quando l’entourage dell’Avanguardia apprese che il Drago altri non era se non un fedelissimo del dottor Federico Umberto D’Amato, capo della sezione “Affari Riservati” del Ministero degli Interni.
Si rivelò comunque fondamentale la mossa del trafugamento delle armi e delle munizioni dal Viminale: fu infatti probabilmente grazie a quello stratagemma che l’ambiente dell’Avanguardia non subì alcun danno dall’azione poi intrapresa sia dalla polizia (Provenza, l’amico di D’Amato in testa) che dalla magistratura.
Nessuno del giro di Delle Chiaie finì in carcere e questo particolare confermò che evidentemente lo stesso D’Amato doveva aver ritenuto più prudente non colpire chi avrebbe potuto svelare sconcertanti retroscena dell’inchiesta contro il Fronte Nazionale.
Naturalmente il Drago cerco in tutti di farsi restituire le armi e le munizioni trafugate. Si mise in contatto più volte con Flavio Campo affermando che se le armi non fossero state restituite, il maggiore della “Celere” di Castro Pretorio avrebbe passato dei guai seri perché i mitra facevano parte di una dotazione numerata. Disse anche che non era possibile farne copia (particolare falso perché invece così fu poi fatto).
Tutte le sue preghiere non sortirono effetti di sorta e ancora oggi le armi sono in possesso del gruppo di Delle Chiaie, così come probabilmente anche altri documenti significativi riguardanti i preparativi del famoso “colpo di Stato”. Risulta che al corrente del golpe erano anche diversi altri ambienti. Fra questi quello che fa capo ai giornalisti Gianfranco Finaldi e Raffaello Della Bona (proprietari del Bagaglino). Fu proprio Finaldi, parlando con alcuni elementi dell’Avanguardia, a rivelare che si era trattato di una “azione provocatoria” organizzata dal Ministero degli Interni.