“Andreotti: questa è la verità” – Il Mondo 20.06.1974

“Abbiamo scelto il nuovo capo del SID”, mi dice Giulio Andreotti, ministro della Difesa. Nel suo ufficio al primo piano di Palazzo Baracchini, in via XX Settembre, non arrivano rumori dall’esterno. Si sente solo un lieve ronzio di telefoni e di macchine operatrici. “E’ l’ammiraglio di squadra Casardi”, precisa. “E’ uno che non si è fatto raccomandare né da partiti né da ministri, come accade purtroppo anche in questioni del genere”. Andreotti apre un cassetto della scrivania e consulta l’annuario della Marina, un fascicolo rilegato dalla copertina azzurra.
Poi conferma: “E’ al limite della sua carriera e il servizio nel SID non potrà aprirgli altri vantaggi”. Sul SID piovono in questi giorni nuove accuse di disfunzioni, inefficienze, omissioni, coperture, complicità con gruppi eversivi.
Nato con un decreto del presidente della Repubblica del novembre 1965 per correggere le deviazioni del SIFAR, il SID sembra averne ripercorso puntualmente la strada.
Quando affiora un fatto torbido, dalle microspie installate da ignoti al palazzo di Giustizia di Roma, al rapimento del magistrato Sossi, dalla chiamata di correo degli ufficiali fascisti della Rosa dei Venti che vantano connessioni nei servizi di sicurezza, alla progressione impressionante dei 450 attentati dinamitardi nel solo 1973, ogni volta dalle nebbie delle indagini emerge il SID, informato ma reticente, presente ma equivoco, implicato nei maneggi devianti rispetto ai suoi compiti istituzionali. I campi paramilitari di Sabina furono denunziati alla Camera fin dal 30 ottobre 1969. Il traffico è continuato indisturbato per 5 anni. Nella tasca del terrorista ucciso, Giancarlo Esposti, è stata trovata la mappa aggiornatissima delle ubicazioni e degli orari dei posti di blocco dei carabinieri nelle zone più calde. Da tutti questi fatti ed episodi non emerge forse la conferma di un intrigo vasto e accuratamente portato avanti, che affonda le sue radici in meccanismi dell’apparato statale, che ne disarma la resistenza e ne inceppa le capacità di difesa e di reazione? E che accade in seno ed al vertice del SID, fulcro dei servizi segreti, costituzionalmente impegnato a garantire la sicurezza nazionale? La risposta è indiretta.
“Il 31 dicembre scorso”, riprende Andreotti, “ha maturato la promozione a generale di corpo d’armata l’attuale capo del SID, Miceli. In questo periodo si liberano due comandi di corpo d’armata, il quinto di stanza a Vittorio Veneto, l’altro a Milano. Il general Miceli vi andrà a ultimare il suo servizio di carriera”.
“Vuoi che ti dica il mio pensiero su alcuni comportamenti del SID?”, chiede Andreotti. “Il memoriale sui piani di Carlo Fumagalli, anello fondamentale della centrale terroristica del MAR, reso pubblico in due puntate dalla stampa di sinistra, l’ho fatto ricercare negli archivi del servizio. E’ risultato che il documento fu redatto da un informatore gratuito del SID che ora lo ha rimesso lui stesso in circolazione. L’informatore, nel frattempo, è passato, infatti, alle dipendenze della direzione affari riservati della PS. Ho chiesto al SID di chiarire tutte le circostanze. E’ stato emesso un comunicato pubblicato da tutti i giornali”, ricorda il ministro della Difesa.
“Il memoriale, a suo tempo, fu trasmesso alla magistratura che istruì un processo. Fumagalli fu, alla fine, prosciolto. Doveva bastare questo esito?”, si chiede Andreotti. “Dal SID mi hanno risposto che questo Fumagalli è stato un partigiano, anche se non comunista. L’ultimo 25 aprile l’hanno visto sfilare in piazza con il fazzoletto rosso al collo. Non potevano dargli addosso, mi dicono al SID. Se, poi, è stato in contatto con Feltrinelli, questo davvero non lo posso dire. A noi non risulta. La verità è che vi è in Italia un ceto ambiguo di eversivi per costituzione, impastati di rabbia e delusione, che è assai difficile da selezionare e quietare. Non è, comunque, da sottovalutare né da trascurare”.
“In un altro caso”, riprende Andreotti, “c’è stato un vero e proprio errore. E’ accaduto a proposito di quel Guido Giannettini, redattore del quotidiano del MSI, incriminato per la strage di Piazza Fontana, tuttora latitante”. In un articolo di fondo sulla rivista l'”Italiano”, Giannettini aveva scritto che “il colpo di Stato è un piatto che va servito caldo”. E infatti, dietro il fragore delle bombe del 12 dicembre 1969, il nome di Giannettini è emerso come quello di un personaggio assai informato, uomo chiave di tutta la sanguinosa vicenda. I giudici milanesi Fiasconaro ed Alessandrini ne parlano diffusamente nella loro requisitoria che accusa Freda e Ventura. Dopo molte esitazioni il SID aveva finalmente consegnato alla magistratura, durante l’inchiesta, un rapporto dal quale risultava con evidenza la pista nera delle bombe”. “E’ stato Giannettini ad informarvi e perché non avete subito dichiarato il contenuto del rapporto?”, chiesero i giudici al SID. “Non possiamo rispondere”, dissero gli uomini del SID, “perché si tratta di un segreto militare”. “Per decidere questo atteggiamento”, riprende Andreotti, “ci fu un’apposita riunione a palazzo Chigi. Ma fu un’autentica deformazione, uno sbaglio grave. Bisognava dire la verità: cioè che Giannettini era un informatore regolarmente arruolato dal SID e puntuale procacciatore di notizie come quella relativa all’organizzazione della strage”. Le parole di Andreotti chiariscono, per la prima volta, questo nodo critico. “Adesso”, prosegue Andreotti, “ho letto un’intervista concessa da Giannettini ad un quotidiano romano. Risulta che si trova a Parigi”. Andreotti guarda verso il telefono diretto, a sinistra della sua poltrona. Poi riprende: “Ho parlato con Beria d’Argentine, capo di gabinetto, che sono riuscito a trovare in sede al ministero della Giustizia. Gli ho chiesto: che diavolo aspettate per chiedere l’estradizione per Giannettini?”. Altro che errore per inefficienza, mi vien fatto di esclamare; qui siamo alla connivenza e all’omertà di stato. “C’è un’inefficienza dello stato da colmare”, ammette Andreotti smorzando il tono. “Di certe cose non sappiamo nulla. Su altre ritarda la verità. Di altre non sappiamo l’essenziale. A certe cose non riusciamo ancora a dare nomi e colore. Troppi compartimenti stagni. Troppi binari morti sui quali certe inchieste vengono instradate. per i servizi di informazione e di polizia non spendiamo certo poco”, osserva Andreotti. “Ma su questo terreno, la produttività statale in fatto di accertamento e denuncia della verità è tanto bassa da sbalordire”.
C’è sempre un’oscura faida fra corpi separati che blocca, distrae al momento opportuno, con comportamenti vari ma di esito univoco. ‘insabbiamento anziché la scoperta completa. “In effetti”, risponde il ministro, “oggi in Italia, al livello delle istituzioni, si sta diffondendo un gioco di società: il gioco dei cerini. E’ il tentativo infantile di chi spera di far passare il cerino di mano in mano, dal SID ai carabinieri, alla polizia, alla magistratura, sperando che solo l’ultima mano si scotti. Il Consiglio dei ministri non coordina, né indirizza. Di conseguenza, ad un cittadino che invade lo stadio olimpico durante una partita vengono dati otto mesi di condanna a tamburo battente, ma del tentativo di golpe Borghese ci siamo quasi dimenticati, senza essere riusciti a sapere se davvero si voleva o poteva fare una nuova marcia su Roma. La pericolosità di certe potenzialità non è passata. L’Italia”, continua Andreotti, “è zeppa di armi illegali come un uovo d’acciaio. Certe polemiche esasperate sul disarmo della polizia hanno di fatto nuociuto alla qualifica tecnica dei corpi. Sull’altro versante, quello delle attività terroristiche, mitra e tritolo spuntano dappertutto, in ogni grotta.
Non a caso le bombe esplodono a Brescia, dove le fabbriche di armi sono a portata di mano. Alla Beretta ho visto fucili mitragliatori leggerissimi tanto da potersi trasportare in borsa. Attentati contemporanei, come quelli sui treni non sono opera casuale allestita da dilettanti”.
Dunque vi è un disegno organico adeguatamente finanziato? “Mi potrò sbagliare”, riprende ancora il ministro della Difesa, “ma io non credo che il pericolo maggiore venga da personaggi come il colonnello Spiazzi che chiama in causa i servizi segreti. Stiamo seguendo con attenzione tutte le indagini giudiziarie e, qui alla Difesa, c’è un apposito ufficio con a capo il generale Malizia che controlla dati e risultanze. Nel complesso i casi nell’esercito risultano limitati, finora circoscritti. In Italia, ci sono certamente ispiratori, esecutori, finanziatori. Ma la manovra parte e viene diretta da più lontano”, conclude Andreotti.
Nel discorso del 10 maggio dell’anno scorso al congresso di Roma della DC hai detto, ricordo ad Andreotti, che le armi vengono anche dall’estero. “Sono tutto’ora convinto”, risponde, “che una centrale fondamentale, che dirige l’attività dei sequestri politici per finanziare i piani d’eversione e che coordina lo sviluppo terroristico su scala anche europea, si trova a Parigi. Probabilmente sotto la sigla di un organismo rivoluzionario. L’ultimo sequestro in Argentina ha fruttato oltre 14 miliardi di lire. Per avere notizie di un sequestrato politico ci si è rivolti a Parigi. L’organizzazione consultata ha chiesto quarantott’ore di tempo ed ha fornito i contatti richiesti”.
Lo interrompe la chiamata roca ed insistente di un telefono. Poi Andreotti torna a guardarmi, aspettando nuove domande. Che pensate di fare?, gli chiedo. “Io stesso ho avanzato proposte legislative da adottare in materia di traffico d’armi e di tritolo e di riorganizzazione dei servizi di informazione e sicurezza. Il nuovo ispettorato è un passo avanti in una direzione che a me sembra giusta. Dobbiamo nominare anche il nuovo comandante della Guardia di Finanza, in sostituzione di quello attuale. La selezione fra gli alti gradi, tra le molte prerogative e fra le diverse qualifiche non è per nulla facile”.
C’è, dunque, una inadeguatezza, una insufficiente determinazione rispetto alla vastità dei problemi, resi più acuti dalla inquietudine profonda del paese, percorso da tensioni sociali difficilmente componibili, animato da spinte di rinnovamento. “E’ vero. Si accumulano problemi specifici, accantonati da decenni. Il dopo referendum è difficile per tutti”, conferma Andreotti. “Io non ho mai pensato che la DC potesse uscire vittoriosa dallo scontro. Avevo proposto il rimedio della legislazione su doppio binario, civile ed ecclesiastico. Mi fu risposto, anche dalla Chiesa, che la posizione era improponibile. Ho replicato che avremmo perduto ed ho sostenuto questa tesi dinnanzi a chi di dovere, al di qua ed al di là del Tevere. Adesso bisogna rivedere, aggiornare, non perdere tempo. L’allarme vale per tutti”.

Gaetano Orlando – dichiarazioni 15.07.1991

Adr: preliminarmente ribadisco quanto ho gia’ accennato in altro verbale, cioe’ per le sue indagini e’ importantissima la riunione costitutiva di “Italia Unita” del marzo del 1970. Dopo la riunione ufficiale ce ne fu una riservata, cui presero parte una decina di persone. Oltre a me c’ era tutto il comitato direttivi di Italia Unita, o almeno una buona parte di esso, nonche’ tale Ferroni Cerrina di Torino, ricordo poi che c’ erano altri di Torino, in rappresentanza di Edgardo Sogno, ma non ricordo se abbiano preso parte alla riunione pubblica o a quella riservata. Nel corso di questa ultima, comunque, vennero decise sostanzialmente due cose, cioe’ la marcia della maggioranza silenziosa, della quale si occuparono Degli Occhi e il Bonocore, nonche’ l’ approfondimento dei rapporti con rappresentanti delle Forze Armate. In questo quadro vi furono contatti col generale Ricci e con l’ arma dei carabinieri.
Tali contatti furono mantenuti dai militari appartenenti al comitato direttivo o comunque simpatizzanti di Italia Unita.

Adr: prendo visione della foto allegata al rapporto dei CC di Bologna di data 20.05.91. Non ricordo la persona che vi e’ effigiata. Non escludo di averla incontrata, ma non posso dirlo, anche perche’ mi si e’ indebolita la memoria con riferimento alle fisionomie.

Adr: mi viene chiesto perche’ e da chi il Fumagalli fosse ricattato. Preliminarmente dico che il Fumagalli attualmente mi sfugge ed ha un atteggiamento di sfiducia e di paura nei miei confronti. Quando l’ ho incontrato mi ha detto che lui non parlera’ assolutamente dei fatti passati, perche’ si tratta di cose ormai chiuse per le quali ha gia’ pagato. Prendo atto che cosi’ non ho ancora risposto alla domanda che lei mi ha posto, bene, ora dichiaro che il Fumagalli era ricattato dai ragazzi di Brescia appartenenti ad AN, in quanto questi sapevano che era complice del sequestro, anzi responsabile principale del sequestro Cannavale. Fumagalli era uno che si era limitato agli attentati ai tralicci, non aveva mai fatto attentati con morti.
In Spagna ho sentito dire certe cose…. Si tratta di cose che non appartengono alla mia conoscenza diretta. Dico solo che le stragi, inclusa quella di Brescia, sono state commesse da chi e’ stato processato per tali fatti. Questa e’ la mia convinzione, ma se dovessi dire qualcosa di piu’ concreto mi farebbero fuori. Non mi farebbero arrivare in tribunale. Spontaneamente aggiungo, infine, che il Franci sa moltissime cose. Spontaneamente aggiungo ancora che Esposti Giancarlo era divenuto l’ uomo di fiducia del Fumagalli, ma che era infiltrato nel Mar dal Delle Chiaie.
L’ Esposti sapeva tutto quello che so io, anzi molto di piu’ ed e ‘mia convinzione che per questo sia stato ucciso, pur essendosi arreso ai carabinieri che lo stavano arrestando. Prendo atto che vi fu una inchiesta sul caso e che quanto dico non e’ stato confermato, ma ne sono ugualmente convinto. Faccio presente che io ho rischiato la vita allorquando Delle Chiaie e Vinciguerra mi interrogarono sui fatti di Esposti Giancarlo. In quell’ “interrogatorio”, in merito al quale sono gia’ stato sentito, anche da lei GI, avevo fatto dei nomi, ma si tratta di nome di persone importanti e di grossi esponenti politici. Non intendo ripeterli perche’ non voglio passare per pazzo.

Adr: ribadisco quanto ho gia’ detto circa l’ organizzazione “parallela” anticomunista alla quale ho appartenuto. Certamente non era destinata a fronteggiare un’ invasione esterna, ma aveva una funzione interna anticomunista. Questa organizzazione aveva a disposizione armi e godeva dell’ appoggio di esponenti delle forze armate. Ribadisco di essere stato partecipante attivo di tale organizzazione. Chiestomi se lo fosse anche il Vinciguerra, dico che Vinciguerra è un puro che è caduto in una rete.
Solo con l’ andare del tempo ha cominciato a capire per chi stesse effettivamente lavorando. Ha cominciato a capirlo in Cile e ne ha avuto la certezza durante la sua permanenza in argentina. Vinciguerra inoltre, era molto legato a Delle Chiaie, anche sul piano personale e quando si e’ reso conto che questi non era in buona fede, ha subito un profondo turbamento.

Adr: richiesto dei nomi di quei parlamentari che promossero la unificazione di Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo – o comunque la caldeggiarono – dichiaro di non volerli fare. Rischierei soltanto una denuncia in quanto si tratta di persone tuttora coperte. Dico soltanto che erano due, oltre al Romualdi che ho gia’ menzionato in un precedente verbale. Anche uomini dei servizi vennero in Spagna e si interessarono dell’ ambiente in cui allora vivevo. Il Labruna incontro’ piu’ volte Delle Chiaie. Si incontravano all’”Appuntamiento”. Dico questo per averlo appreso dagli altri fuoriusciti italiani, fra i quali il Cicuttini.

Adr: prendo atto che mi viene chiesto di approfondire il discorso delle armi provenienti da Verona e dei collegamenti del Fumagalli con Verona e ambienti veneti. Spontaneamente dico che il Fumagalli, nel maggio del 1974. E’ stato arrestato in conseguenza dello scontro, all’ interno dei servizi, fra Miceli e Maletti. Fumagalli aveva rapporti con ambienti del terzo Comiliter, con Nardella e con lo Spiazzi. Quando nel 1974 mi recai presso l’ appartamento che avevo preso in affitto, nelle circostanze da me ripetutamente dette, vi trovai un arsenale enorme di armi, che scomparirono a seguito delle mie proteste. Nell’ appartamento trovai, oltre ai ragazzi di Fumagalli, anche gente proveniente dal veneto. Si trattava di sei o sette persone, che però non conoscevo. Circa lo Spiazzi, so che il Fumagalli, nella sua officina, aveva preparato, modificandole, delle armi, in particolare dei lanciafiamme e dei lanciagranate. Inoltre mi parlava dello Spiazzi come di un tecnico esperto in tali elaborazioni.

Adr: ricevo lettura dell’ appunto datato 27.06.74 del comando generale della guardia di finanza. Alcune delle persone che vi sono nominate le ho sentite nominare; rettifico ho sentito nominare il solo Trevisan Giancarlo, oltre naturalmente allo Spiazzi.

Adr: puo’ darsi che conoscessi Soffiati e gli altri sotto il nome di copertura. In Spagna, infatti, la gente non si presentava mai con il vero nome. La notizia che in un castello nei pressi di Verona fossero custoditi cospicui quantitativi di armi l’ avevo gia’ sentito, ma mi pare in epoca recente, cioe’ dopo il mio ritorno dal Sud America.
Spontaneamente aggiungo che verso la fine del 1965 il Birindelli subi’ un attentato sul percorso Venezia – Padova, nel senso che la autovettura sulla quale viaggiava fu buttata fuori strada. Rettifico la verbalizzazione, non e’ stato nel 1965 ma verso il 1969, cioe’ contemporaneamente all’ epoca in cui a Padova si svolsero le riunioni delle quali ho gia’ in precedenza parlato. Spontaneamente aggiungo,  poi, che i rapporti fra Fumagalli ed importanti esponenti politici non erano chiacchiere come ho lasciato intendere nelle mie precedenti dichiarazioni. Erano cose reali, delle quali peraltro ha gia’ parlato a suo tempo la stampa. Io stesso, nel 1965, partecipai a Roma ad un incontro con questi importanti personaggi che gia’ ho menzionato nel precedente verbale. Si trattava di una cena cui presero parte anche dei professionisti della Versilia.

Adr: circa l’ interrogatorio da me subito ad opera del Delle Chiaie e del Vinciguerra, dichiaro quanto segue: ad interrogarmi era soprattutto il Delle Chiaie, ma anche il Vinciguerra il quale verbalizzava e faceva domande molte precise. Il testo di quell’”interrogatorio”, che mi e’ stato a suo tempo mostrato da molti giudici, fra i quali lei GI dr Grassi, a parte gli omissis e qualche ritocco secondario, corrisponde sostanzialmente all’ andamento dell’interrogatorio stesso. Gli omissis sono stati posti con riferimento a fatti precisi e a nomi, anche di politici attualmente sulla cresta dell’ onda.

Adr: come peraltro emerge da quanto ho gia’ detto sino ad ora, la organizzazione anticomunista della quale ho parlato si avvaleva di gruppi e di militanti della destra o che comunque condividevano le finalita’ anticomuniste dell’ organizzazione stessa, gruppi e militanti cui venivano date armi e fiducia. Richiesto se vi siano stati degli scontri in merito alla gestione in termini strategici di tale organizzazione, dico che non posso parlare. Si tratta di cose troppo grosse e si toccano personaggi troppo importanti.

Adr: il Pozzan doveva essere condotto a casa mia a Milano nel 1969, nell’ autunno inoltrato, ma certo prima della strage di piazza Fontana. A quel tempo mi davo molto da fare per il conseguimento dei miei obiettivi politici, e, in tale contesto stabilii un contatto anche con il Pozzan. Si trattava di un contatto indiretto. Ero una persona comunque molto prudente e poiche’ non mi fidavo appieno di chi mi doveva presentare il Pozzan, decisi di rifiutare l’ incontro con quest’ ultimo. Il tramite fra me e il Pozzan era uno della Versilia, anzi era un veneto che frequentava l’ ambiente versiliese. Si trattava di un ufficiale dell’ aviazione il cui nome non e’ mai affiorato e che anche ora non intendo fare. Questo ufficiale, attualmente in pensione, – sempre se vivente – era di stanza a Treviso.

Adr: il Pozzan l’ ho conosciuto personalmente in Spagna nel senso che l’ ho visto di persona. Non ci siamo presentati, ne’ comunque gli ho parlato perche’ la cosa non mi interessava.

 

L.c.s. ­

Sui rapporti fra il MAR e la Mafia

(…) D’altra parte il MAR era davvero un dente assai dolente: non si trattava solo di eversione politica, ma anche di reati comuni e di rapporto con la criminalità organizzata. In particolare con la Mafia: il boss mafioso Luciano Liggio – rectius Leggio -, dopo la sua assoluzione nel processo d’appello a Bari, era giunto a Milano già nel novembre 1969, e lì aveva iniziato a esportare le sue attività taglieggiando altri malavitosi di minor calibro.
Qualcuno, come Mimmo Murianni, ebbe a ridire sulle sue richieste, ma poco dopo scomparve senza lasciare traccia: non si trovò neppure il cadavere. Prima di essere nuovamente processato, e questa volta condannato definitivamente all’ergastolo, il boss aprì anche una bottiglieria nel centro di Milano, inaugurandola con una sfarzosa festa alla quale partecipò anche Fumagalli, che vi venne immortalato in una foto scattata dalla polizia.
Altri collegamenti tra uomini del MAR e mafiosi emersero per mezzo dei contatti fra Roberto Colombo, Antonio Sirtori, Angelo Squeo e Donato Convertino (tutti uomini di Fumagalli) con Don Ignazio Arena, che per conto di Leggio gestiva il controllo del traffico di droga nel Nord Italia. Convertino risultò anche coinvolto, insieme al sanbabilino Angelo Angeli, in un misterioso traffico di valuta tra l’Italia e la Svizzera. D’altro canto, Fumagalli aveva le mani in una serie di disparati traffici (dai furti d’arte, ai sequestri di persona, al contrabbando di qualsiasi cosa, dal caffè alle armi): è inevitabile, che la sua strada si incrociasse con quella della Mafia.

Aldo Giannuli, “Il Noto servizio, Giulio Andreotti e il caso Moro”

“L’orchestra nera” – Panorama 13.07.1974

Se la tiene sul cuore, ben custodita nella tasca interna della giacca di gabardine marrone scuro che indossa da tre settimane, da quando martedì 28 maggio la bomba fascista ha uc­ciso sette persone in piazza della Loggia a Brescia. È la mappa dei personaggi del terrorismo nero. La più completa mai fatta sino a oggi in Italia. Se l’è costruita pezzo per pezzo con un paziente lavoro di me­si. Francesco Delfino, 36 anni, cala­brese di Platì, capitano dei carabi­nieri e comandante del nucleo inve­stigativo di Brescia, è l’uomo sul quale governo e magistratura puntano per dare al Paese nomi e co­gnomi degli assassini fascisti, dei lo­ro mandanti e dei loro finanziatori.

strage-brescia

Dal 9 marzo 1974, giorno dell’arre­sto di Kim Borromeo e Giorgio Spe­dini, i due terroristi sorpresi in val Camonica con 57 chili di tritolo, Delfino non ha avuto più un minuto di tregua. Mangia una volta al gior­no (l’unico pasto un po’ tranquillo l’ha fatto martedì 4 giugno con alcuni amici al ristorante La Sosta di Brescia), dorme quattro ore per not­te quando gli va bene, passa le gior­nate tra perquisizioni, interrogatori, arresti e tentativi, quasi sempre va­ni, di sfuggire al perenne assedio dei 22 giornalisti che a Brescia se­guono lo sviluppo delle indagini sul­le trame nere.
« La strada maestra per riuscire a mettere le mani sui massacratori di piazza della Loggia », dicono al tribunale di Brescia, « è quella di ri­costruire la storia della trama ever­siva che, ormai ne siamo certi, ave­va cominciato tre mesi fa a operare sul piano pratico ». « Era una con­giura », precisa il giudice istruttore Giovanni Arcai, « che siamo riusciti a fermare proprio nel momento più pericoloso, quello di un tentativo di colpo di Stato ». « La scintilla che avrebbe potuto farlo scattare », ag­giunge il sostituto procuratore della Repubblica Enzo Giannini, « doveva essere la bomba che la notte del 19 maggio 1974 ha ucciso il terrorista che la stava portando a destinazione ».

Il dinamitardo nero era Silvio Fer­rari, 22 anni, studente, estremista di destra, figlio del rappresentante del­la Lancia di Brescia. Ferrari doveva mettere l’ordigno in piazza della Loggia dove, il mattino dopo, do­menica 20 maggio, era stato fissato il raduno degli ex-appartenenti ai Lupi di Toscana, una divisione di fanteria, decorata di medaglia d’oro al valor militare (la motivazione di­ce: « Acquistando fama leggendaria sì che il nemico sbigottito chiamò lupi gli implacabili fanti »). La bom­ba, firmata da una organizzazione di sinistra, avrebbe dovuto fare una strage fra i reduci e i drappelli mi­litari presenti alla sfilata, provocan­do così una dura reazione di destra. Secondo notizie raccolte dai ser­vizi segreti, l’azione di Ferrari era legata a un piano di mobilitazione ge­nerale di tutte le associazioni com­battentistiche italiane. Il programma prevedeva: manifestazioni di piazza sapientemente orchestrate dai fasci­sti: assalti alle sedi dei sindacati, dei partiti di sinistra e delle orga­nizzazioni extraparlamentari; atten­tati contro caserme, uffici diploma­tici stranieri, sedi dell’Anpi (l’asso­ciazione partigiani italiani), abitazio­ni di esponenti di sinistra; rivolte nelle carceri delle principali città italiane; blocchi alle linee ferroviarie e sulle autostrade. Alla tensione immediata avrebbe dovuto fare seguito, il 2 giugno fe­sta della repubblica, un colossale at­tentato in via dei Fori Imperiali, durante la tradizionale parata del­l’esercito. Obiettivo: scatenare l’ini- i zio di una guerra civile, obbligare le forze armate a intervenire per ristabilire l’ordine, annullare la Costituzione repubblicana, imporre una repubblica presidenziale di stampo reazionario controllata dai generali. Silvio Ferrari era una semplice pedina della manovra eversiva. Stan­do alle prime indagini, uno degli organizzatori del piano sarebbe stato Carlo Fumagalli, 49 anni, valtellinese, arrestato dal capitano Delfino assieme a una ventina di altri fascisti una settimana prima della morte di Ferrari. Dal 1970 Fumagalli e gli uo­mini della sua organizzazione, il Mar (Movimento di azione rivoluziona­ria), si erano sempre battuti per « una repubblica presidenziale capa­ce di far rispettare la legge, l’ordi­ne, la disciplina ».

Ex-partigiano in Valtellina, ex-co­mandante dei Gufi (un’organizzazio­ne della Resistenza, autonoma dal Comando generale del corpo di libe­razione), ex-agente dei servizi se­greti americani in Italia, ex-collaboratore, negli anni 60, dei servizi di spionaggio dell’Arabia Saudita, Fu­magalli aveva una grossa esperienza di guerriglia. In più poteva vantare amicizie e stretti legami con setto­ri del Sid (controspionaggio italia­no), dell’ esercito, e della destra « benpensante » che si identificava con la cosiddetta Maggioranza Silen­ziosa, guidata a Milano dall’avvocato Adamo Degli Occhi (convocato due volte e interrogato per 14 ore dai carabinieri dopo la strage di piazza della Loggia, provocata dall’esplosio­ne di una carica di tritolo).

« Fumagalli è il capo di tutto », af­ferma Francesco Trovato, sostituto procuratore della Repubblica a Bre­scia. A dare alla magistratura questa sicurezza sono soprattutto tre ele­menti. Primo: nell’ufficio di Fumagal­li in via Egidio Folli, a ridosso della stazione ferroviaria di Lambrate, è stata trovata una matrice per ciclo­stile con impresso un minaccioso proclama rivoluzionario, da inviare ai giornali subito dopo gli attentati che avrebbero dovuto precedere il colpo di Stato (« Dichiariamo uffi­cialmente guerra allo Stato e al bol­scevismo. Le ostilità continueranno con attentati alle principali linee ferroviarie »).
Il secondo elemento in mano alla magistratura, è la Land Rover tro­vata, sempre a Milano, nel garage del capo del Mar in via Felice Poggi. La fuoristrada era intestata alla stes­sa persona (Antonio Sirtori, milane­se, iscritto al Msi-Destra nazionale) e rifornita degli stessi equipaggia­menti (sacchi a pelo, divise da guer­riglieri, viveri a secco), di quella servita a Giancarlo Esposti, Alessan­dro D’Intino, Salvatore Vivirito, Ales­sandro Danieletti, per raggiungere il campo Dux di Rascino, in provincia di Rieti il giorno della strage di piaz­za della Loggia. I quattro avevano il compito di fare l’attentato a Roma il 2 giugno. Sorpresi dai carabinieri giovedì 30 maggio, sono stati cattura­ti ed Esposti è rimasto ucciso con in mano una pistola Mauser con la quale aveva sparato su un appun­tato e un brigadiere, ferendoli gra­vemente.

pian-del-rascino2

Il terzo elemento, infine, che pro­va la parte di capo avuta da Fu­magalli nella congiura, sono le con­fessioni di Kim Borromeo e Giorgio Spedini, i due fascisti arrestati per primi da Delfino. Muti sino al gior­no della strage di Brescia, Borro­meo e Spedini han­no confermato il lo­ro diretto legame con Fumagalli, han­no detto che il tri­tolo in loro posses­so lo stavano tra­sportando per con­to del Mar, rivelato i rifugi segreti dei terroristi fascisti nelle grotte della Valtellina, fornito notizie sui campi di addestramento, elencato nomi, indi­rizzi, struttura ope­rativa dell’organiz­zazione, suggerito in­dicazioni sulla man­cata missione dina­mitarda di Ferrari e sugli ambienti bre­sciani, veronesi e milanesi in cui cer­care gli esecutori materiali della stra­ge di piazza della Loggia.

Assieme alle co­incidenze, ai docu­menti e alle confes­sioni che i carabi­nieri hanno accumu­lato in questi gior­ni, esistono nei con­fronti di Fumagalli anche precisi rap­porti del ministero dell’Interno e del Sid. Spiegano come il capo del Mar fosse uno dei principali coordinatori di una specie di gran consiglio del neofascismo attorno al quale ruota­vano le Sam, squadre di azione Mus­solini: 40 attentati a Milano dal 1969 al 1974; Ordine Nero: 10 bombe contro edifici pubblici e ferrovie fra il febbraio e l’aprile 1974; Anno Ze­ro, un gruppo di giovani romani, veronesi, torinesi e triestini specia­lizzati nella propaganda terroristi­ca; Ordine Nero, composto da ex ­aderenti del disciolto Ordine Nuovo, il movimento fondato dal deputato missino Pino Rauti; Avanguardia Nazionale, un’associazione di picchia­tori professionisti addestrati in cam­peggi paramilitari; le correnti del Msi-Destra Nazionale che si richia­mano a Rauti e Pino Romualdi (Gianni Colombo, dirigente missino di Monza, era il sorvegliante del covo per latitanti fascisti apparte­nenti alla banda Fumagalli in via Airolo a Milano); il gruppo brescia­no di Riscossa, una delirante rivistina neonazista; il nucleo della Feni­ce, l’organizzazione diretta da Giancarlo Rognoni, il missino milanese accusato di strage per l’attentato del 7 marzo 1973 al direttissimo Torino- Genova.

Nel gennaio 1974, tutti questi mo­vimenti, dopo una serie di riunioni preparatorie tenute a Roma, Tori­no, Verona e Cattolica, decisero di passare all’azione e di costituire un comitato nazionale ristretto a poche persone, cui toccava il compito di organizzare, città per città, le « cen­turie » terroristiche : quella di Bre­scia, la più scatenata, era diretta da Enzo Tartaglia, 49 anni collaborato­re di Riscossa, un fanatico che, se­condo Kim Borromeo, portava la pi­stola infilata anche nel pigiama. Nel gran consiglio c’era una sedia vuota. Era riservata al nazifascista padovano Franco Freda, il procura­tore legale accusato per la strage di piazza Fontana, massimo teorico della strategia della tensione, consi­derato da tutti « un maestro e un profeta ».

Con il Comitato di solidarietà per Franco Freda (i camerati lo chiama­no Giorgio), i vari gruppi del comi­tato nero avevano stretti contatti. Riscossa, Anno Zero, La Fenice, ne­gli anni scorsi hanno fatto una gran­de campagna di propaganda per il legale padovano (« ingiustamente ac­cusato dal potere borghese e giu­daico »). Nel gennaio 1973 Riscossa aveva pubblicato una intervista di Beppino Benedetti, un ragioniere di 41 anni (arrestato con Fumagalli), a Marco Pozzan, uno dei luogote­nenti di Freda, latitante, accusato di aver collaborato alla realizzazio­ne degli attentati del 1969. Ai tre giornali di estrema destra e ai le­gali che gli ruotavano attorno, fa­ceva capo l’organizzazione del Soc­corso Nero, una specie di San Vin­cenzo per terroristi, con una sede in Svizzera, a Bellinzona, e un punto di ritrovo a Barcellona, in Spagna.

Compito del Soccorso Nero, coor­dinato all’estero da un collaborato­re di Riscossa e da un giornalista di destra legato al Sid, era quello di aiutare i « camerati » fuggiaschi (in Svizzera ce ne sono di importantissimi: Clemente Graziani, lea­der di Ordine Nero, Elio Massagran­de, uno dei responsabili di Anno Ze­ro, Giancarlo Rognoni e il suo luo­gotenente Piero Battiston, denun­ciato per detenzione di esplosivo, Gianni Nardi, ricercato per l’assas­sinio del commissario Luigi Calabre­si). All’estero sarebbe dovuto anda­re anche Freda.

Il Mar nei suoi programmi preve­deva anche la liberazione di Freda attraverso lo scambio con un grup­po di quattro magistrati milanesi : Gerardo d’Ambrosio, autore dell’in­dagine su piazza Fontana, Ciro De Vincenzo, Libero Riccardelli (l’accu­satore di Nardi) e Vincenzo De Liguori. Nelle cantine di via Folli, gli uomini di Fumagalli avevano già pre­parato i pannelli isolanti adatti a costruire le celle per i sequestrati.

Stando all’indagine dei magistrati bresciani, oltre ai sequestri di tipo politico, i congiurati avevano idea­to rapimenti a scopo di estorsione (anzi, ne avrebbero fatto uno nel mese di aprile ricavandone 400 mi­lioni). Ma i giudici di Brescia sono poco convinti di questa traccia. I finanziamenti, cospicui, arrivavano ai fascisti per vie molto meno ri­schiose : conti cifrati in una banca di Lugano, sui quali mandanti e fi­nanziatori depositavano, coperti dal­l’anonimato, le sovvenzioni per le stragi. Solo pochi uomini del co­mitato nero conoscono i nomi dei grandi pagatori del neofascismo ita­liano. Questi nomi sono la grossa lacuna nella mappa sulle trame ne­re del capitano Delfino.

“Il Golpe continua” – Panorama 03.07.1975

Generali, mafiosi, uomini dell’alta fi­nanza, dirigenti del Msi, ex-ministri come Randolfo Pacciardi ed ex-par­tigiani come l’ambasciatore Edgardo Sogno, sono i protagonisti della se­conda e ultima parte del rapporto se­greto del Sid sulle trame eversive che tra il 1968 e il 1974 misero in serio pericolo la stabilità democratica del paese. Nella precedente puntata, Panorama ha pubblicato la prima par­te del rapporto del controspionaggio, consegnato il 15 settembre 1974 dall’ allora ministro della Difesa, Giulio Andreotti, alla magistratura. Era la ricostruzione fatta dal Sid del tenta­to golpe nella notte tra il 7 e l’8 di­cembre 1970 da parte dei congiurati riuniti sotto il Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese e dai nazifa­scisti di Avanguardia nazionale di­retti da Stefano Delle Chiaie.
Su quel primo tentativo di colpo di Stato l’opinione pubblica italiana sep­pe la verità, e soltanto in parte, tre anni più tardi, senza però venire a conoscenza del fatto che nel frattem­po la stessa centrale eversiva stava organizzando altre trame e una serie di attentati ancora più sconvolgenti. Adesso l’ultima parte del rapporto del Sid li svela interamente.

1.L’avvocato Giancarlo De Marchi, « responsabile in Italia » del Fronte Nazionale, succeduto nella gestione del movimento a Ciabatti nel maggio si è adoperato per la costitu­zione di « gruppi operativi» idonei ad affiancare – nel quadro generale del tentativo di rovesciare le istitu­zioni dello Stato – altre formazioni estremiste di destra. L’avvocato De Marchi aveva rapporti con Carlo Fumagalli e partecipava al progetto di creare una situazione di tensione in Valtellina e in Liguria come premes­sa di una guerra civile che nuclei iso­lati (Gianni Nardi e Giancarlo Espo­sti, il primo latitante perché accu­sato dell’assassinio del commissario Luigi Calabresi, il secondo ucciso a Pian di Rascino in uno scontro con i carabinieri dopo la strage neofasci­sta di Brescia, n.d.r.) avrebbero do­vuto estendere anche alle regioni centrali del paese per imporre alle Forze armate di intervenire e assu­mere il potere.

de-marchi

2. Dopo l’arresto dell’avvocato De Marchi, 12 novembre 1973 (la velleitarietà delle organizzazioni di estrema destra liguri si sarebbe espressa con il proposito di effettua­re un attentato a Taviani e un’azio­ne dinamitarda contro l’abitazione genovese del ministro. A tale scopo si era cercato di procurarsi l’esplo­sivo facendo capo a Bologna, ove fio­rirebbe un « mercato del tritolo », L. 30 mila al kg. Promotore dell’ini­ziativa sarebbe stato Pietro Benve­nuti, di Ordine Nuovo di Genova), e l’espatrio di Attilio Lercari l’obietti­vo eversivo è stato perseguito da Salvatore Drago che intendeva crea­re, autonomamente, una situazione di rottura mediante:
-azione di forza in direzione del Quirinale, a cura di un « comman­do »;
-imposizione al presidente della Repubblica dello scioglimento delle Camere e nomina dell’onorevole Ran­dolfo Pacciardi a capo di un gover­no di tecnici.

Il piano dava per scontato che Pacciardi potesse contare sull’appog­gio delle Forze armate e a tale sco­po Salvatore Drago sembra abbia sollecitato il generale Ugo Ricci, a Salerno, a ricercare adesioni presso alti e responsabili Comandi, men­tre i tentativi di aggancio di personale militare venivano operati da Delmano Cannoni. Per l’attuazione del piano era pre­visto l’intervento, oltre che del « commando » citato, di:
-un consistente gruppo del per­sonale dipendente dal ministero del­l’Interno (partecipazione garantita dallo stesso Salvatore Drago);
-gruppi di carabinieri che il mag­giore Salvatore Pecorella e il capita­no Lorenzo Pinto (il capitano Pinto chiede, nel maggio e nel giugno a rappresentanti del Fronte Nazionale se sono disposti a far partecipare un gruppo selezionato di uomini a una « azione particolare in Roma ». Sia nella prima che nel­la seconda circostanza, il Fronte non raccoglie la richiesta. Nel contesto dei contatti, Pinto lascia intendere che l’esigenza è connessa con progetto concordato con Pecorella e Drago).

Per l’attuazione del proposito, ini­zialmente era stata fissata la data 12-14 maggio 1974 e, successivamen­te, quella del 10-15 agosto 1974 (in coincidenza di quest’ultima, in ef­fetti, il gruppo degli eversori non attuò alcuna azione).

3.Oltre alle iniziative di Salvatore Drago, sono stati registrati, di re­cente, altri fermenti.
Movimenti di estrema destra (compresa Avanguardia Nazionale) hanno espresso l’intendimento di in­traprendere una serie di azioni dinamitarde per gettare il paese in una situazione di caos e di guerra civi­le e imporre alle Forze armate l’as­sunzione dei poteri.
Gli attentati dovrebbero essere in­dirizzati in due direzioni:

-contro manufatti di vitale inte­resse nazionale (centrali elettriche, elettrodotti, ponti viari, oleodotti, ec­cetera) tali da paralizzare la vita di intere regioni (con carattere di estensione su tutto il paese);
-contro singole persone (in pri­mis: Taviani, Rumor, Lama).

Consultazioni tra responsabili di organismi di estrema destra per con­cretare i propositi di cui sopra sa­rebbero avvenute alla fine di luglio a Madrid, con la partecipazione di:
-ingegner Pomar (che si interes­sa del finanziamento e che recepisce fondi da Bonvicini della Rotoprint di Pomezia), da Lercari per mezzo del cugino di questi, professor Mira­belli, docente universitario di tisio­logia, in servizio presso l’Ospedale Maragliano di Genova, e altri. Avrebbe, tra l’altro, d’accordo con l’ingegner Pavia, finanziato Salvato­re Francia con assegni;
-Junio Valerio Borghese;
-Stefano Delle Chiaie (che con­serva saldamente la direzione di Avanguardia Nazionale);
-rappresentante non noto di Or­dine Nuovo.

Allo scopo di coordinare le attivi­tà del Meridione, l’ingegner Pomar subito dopo il convegno di Madrid si è recato in Sicilia per prendere contatti con Micalizio.

4.L’intendimento di legare strettamente le possibilità del Fronte Na­zionale con quelle di Avanguardia Nazionale si è evidenziato recentemente anche con l’attuazione di un incontro « ad alto livello » tra rap­presentanti dei due movimenti (Ro­ma, Hotel Commodore, 3 settembre 1974) convenuti nella capitale per le esequie di Junio Valerio Borghese.
Risulta che tra alcuni giorni, gli elementi più rappresentativi del Fron­te Nazionale (Micalizio, Pavia, Po­mar) riferiranno sull’esito delle consultazioni ai delegati del movimento. Termina qui il rapporto del Sid con­segnato da Giulio Andreotti il 15 settembre 1974 alla magistratura roma­na. Quello che segue è il secondo rapporto, presentato direttamente dal Sid alla Procura della Repubblica di Roma nell’ottobre 1974.

pacciardi2

1.Attualmente, la direzione del « Fronte Nazionale » è di fatto retta da un triumvirato (Pomar, Micali­zio, Pavia) orientato a conferire al movimento un deciso impegno con­tro gli « antifascisti ». Tale « direttivo » (che intende scal­zare definitivamente Remo Oliandi­ni, presentandosi ai seguaci come promotore di « fatti concreti ») ha fissato, nel corso di due riunioni (che hanno avuto luogo il 12 settem­bre 1974 in Roma, alle quali hanno partecipato Pomar, Micalizio, Pavia e Uccio Parigini, cognato di Pavia. A questi in Toscana si è unito anche tale Muscolino del Msi, residente in Modena), una linea d’azione che può essere sintetizzata in:

-promozione di atti violenti volti a creare panico tra coloro che sono impegnati nella «lotta al fascismo »;
– ristrutturazione del « Fronte » e aggancio ad « Avanguardia Naziona­le » per la creazione di un movimen­to con capacità operative a livello nazionale.

2.Azione dura. Secondo l’attuale direttivo del « Fronte Nazionale », il movimento deve evidenziare le sue capacità operative e combattere l’ini­ziativa antifascista. Tale proposito dovrebbe essere concretato in:
a) Eliminazione fisica di alcuni magistrati che in atto conducono inchieste contro gli extraparlamen­tari di destra (Violante, Tamburino, Vitalone);
b) Eliminazione fisica di uomini politici (principalmente il ministro Paolo Taviani, considerato uomo di punta nell’attacco alla destra, secon­dariamente il ministro Andreotti, che ha avallato le denunce del Sid) e sindacalisti di sinistra (Lama).
c) Ricatto al governo, minaccian­do il ricorso a uso indiscriminato di materiale radioattivo che Pomar dichiara di poter sottrarre al Cen­tro ricerche nucleari di Ispra.

La sottrazione del materiale do­vrebbe essere compiuta:
-grazie a complicità interne al Centro (non note);
-mediante l’intervento di un « commando »;
-avendo a disposizione 2 ore di tempo.

Le attività violente del « Fronte Nazionale » si dovrebbero avvalere di esecutori che gravitano nel mon­do dell’estrema destra e della mafia siciliana (« L’inconveniente » occor­so a Pietro Benvenuto viene com­mentato con disappunto e appren­sione perché il soggetto – già auti­sta dell’avvocato De Marchi – era in collegamento con elementi idonei e disponibili per atti terroristici e perché, sembra, il Benvenuto stava « preparando » qualcosa dopo aver ricevuto soldi da Attilio Lercari, per il tramite di Mirabelli).

3.Ristrutturazione del Fronte Na­zionale. La ristrutturazione va inte­sa sotto un duplice aspetto:
-riannodare i contatti con gli ele­menti già del Fronte, tornati nell’ ombra dopo i fatti del 1970-1971;
-giungere a una intesa operati­va con Avanguardia Nazionale (pra­ticamente: fusione);

Per la prima esigenza dovrebbero impegnarsi i responsabili del trium­virato a mezzo di elementi dipen­denti. L’intesa con Avanguardia Nazionale (che Micalizio vuole raggiun­gere con contatti diretti con Stefa­no Delle Chiaie, la cui presenza in Italia è data per certa) è basata sul la ripartizione di zona di intervento (grosso modo: Fronte Nazionale nel Nord e Avanguardia Nazionale nel Centro e Sud del Paese). La cooperazione fra i due organismi investe anche il settore finan­ziamento e discende da un situazio­ne di fatto che, nel giugno 1974, Ste­fano Delle Chiaie e Junio Valerio Borghese, recatisi in Cile, avrebbero realizzato con responsabili di quel paese.
Più precisamente, in quell’occa­sione, rappresentanti cileni avreb­bero assicurato appoggi finanziari da rimettere per il tramite di un’ agenzia di Import-Export di mate­riale cileno che Delle Chiaie e Borghese avrebbero dovuto istituire in Barcellona o Madrid (l’iniziativa, il cui avvio richiedeva una somma di milioni e per la quale Micalizio aveva versato a Stefano Delle Chiaie 3 milioni e mezzo, non si è concre­tata per il decesso di Valerio Bor­ghese).
In merito a tale vicenda finan­ziaria però il direttivo del Fronte esprime perplessità anche perché nella situazione attuale Avanguardia Nazionale prenderebbe il sopravven­to sul Fronte e lascerebbe poco margine alle iniziative di questo. Per quanto specificamente riguarda l’istituzione dell’agenzia di Import- Export il Fronte Nazionale vorrebbe acquisire garanzie imponendo l’inse­rimento, nella ditta, di Pavia e di Salvatore Francia.

4.Nel corso della riunione romana (29 settembre 1974), i convenuti han­no ampiamente commentato le noti­zie di stampa relative ai dossier Sid. Ne è scaturito l’orientamento ad af­frettare i tempi per l’intesa con Avanguardia Nazionale e di sopras­sedere – per ora – all’attentato a Taviani.
Un esame più approfondito della situazione e decisioni pertinenti sa­ranno prese, comunque, il 19 e 20 ottobre 1974 nel corso di una ulte­riore convocazione del direttivo del Fronte Nazionale (località non an­cora definita: i convenuti hanno deciso di fissarla telefonicamente nei prossimi giorni). Elemento del Fronte ha redatto un progetto di attentato al ministro Taviani. L’attentato (di tipo dinami­tardo):
-dovrebbe essere condotto con­tro l’auto del ministro, in occasione di abituale trasferimento dell’uomo politico da Roma a Genova;
-sarebbe messo in atto lungo l’autostrada La Spezia-Genova, all’ altezza di Deiva Marina.

In particolare:
a)Il luogo dell’attentato dovrebbe coincidere con il viadotto Mezzena che si trova in prossimità dello svin­colo per Deiva Marina;
b)L’esplosivo verrebbe collocato nella fessura tra due campate (in coincidenza con l’appoggio su un pi­lone) e lungo il guard-rail interno (per determinare la caduta della macchina nel vuoto);
c)L’innesco sarebbe realizzato con apparecchiature radio con chiave di sicurezza (realizzate da Pomar);
d)Il comando a distanza verreb­be collocato su una macchina che stazionerebbe lungo la strada pro­vinciale che, nel tratto interessato, è prossima all’autostrada in condi­zione di ottima visibilità.

Per assicurare certezza di esecu­zione, l’auto del ministro Taviani verrebbe seguita (con opportuna so­stituzione di macchine « tallonati­ci ») da Roma, lungo l’abituale itine­rario seguito in occasione di trasfe­rimenti a Genova (Roma-Autostrada A1 fino a Firenze, Autostrada A11 fino all’innesto con l’Autostra­da A12). Nell’ultimo tratto (Viareggio-luogo dell’attentato) l’auto del ministro Taviani verrebbe preceduta (da una vettura o moto di grossa cilindrata) perché possa essere dato avviso al nucleo dotato del comando a distan­za.
Il progetto può essere realizzato solo in ore diurne, e comunque in condizioni di buona visibilità.

Gaetano Orlando – dichiarazioni 13.02.1991

Il GI da’ atto che l’ Orlando viene sentito in qualita’ di teste in quanto non ha procedimenti pendenti ed in quanto i fatti su cui potra’ essere sentito appaiono comunque coperti da giudicato penale, essendo gia’ stato condannato con sentenza definitiva in fase di espiazione. Il GI chiede quindi al teste se questi sia a conoscenza e sia stato a conoscenza negli anni ‘60 e ‘70 di una struttura in funzione anticomunista e dei rapporti eventuali tra tale struttura e la organizzazione denominata Mar. Il GI richiama quindi all’ attenzione del teste la denominazione “Gladio” che risulta ora data ad una organizzazione di civili e richiede se fosse al corrente di tale denominazione.

Il teste risponde: oggi, nel clima che si e’ creato in Italia, ho delle difficoltà nel parlare di questi fatti. Mi chiedo ad esempio a che cosa sia servito il fatto che Vinciguerra nei suoi verbali abbia detto moltissime cose di estrema importanza. Tutto quello che diceva Vinciguerra e’ vero. Aggiungo che a seguito della condanna riportata sono considerato un sequestratore a scopo di estorsione, mentre tutto quello che ho fatto aveva una precisa funzione politica e si inseriva in una strategia politica ben precisa. Comincero’ dando a voi magistrati una indicazione.
Il 25.04.74 c’e’ stata una riunione di partigiani in Valtellina. Dovreste accertare chi ha partecipato a questa riunione. C’erano delle persone che ora vengono indicate come degli eroi.  La riunione si tenne a Grosio, più precisamente a Valgrosina. L’ arma dei carabinieri sa tutto di questa riunione. Ci sono delle fotografie dei partecipanti, nonche’ l’ elenco di tutti costoro. Anche la stampa dette risalto alla manifestazione. Parlo della stampa locale.
Sollecitato da loro magistrati ad essere piu’ preciso e piu’ chiaro voglio fare una premessa. Il maggiore Rossi, della divisione Pastrengo quando venne trovato il corpo di Feltrinelli a Segrate dette come prima indicazione che potessi essere io. Questo fatto, unitamente ad altri mi indusse a prendere le distanze dal Fumagalli, col quale avevo strettamente collaborato fino al 1970.
Ricordo un dettaglio, cioe’ che panorama pubblico’ una mia foto, ripresa col teleobiettivo a mia insaputa mentre mi trovavo nella officina del Fumagalli di Segrate, presso la quale lavoravo. Detto questo devo aggiungere che il Fumagalli non è lo sprovveduto che affermava di essere nelle dichiarazioni rese a lei GI e che ora lei sinteticamente mi rappresenta.
La Valtellina non doveva essere un fatto isolato. Io ho creduto di fare qualcosa di utile per l’ Italia in un certo momento politico. Alcuni che fra coloro come me, hanno pensato questo ora sono considerati degli eroi, mentre io sono condannato come un volgare delinquente. Faccio poi presente che molte cose di quelle che mi chiedete gia’ si sanno in quanto sono evidenziate in atti processuali.

fumagalli

Ad esempio un teste sentito nel processo contro il Mar ha dichiarato di aver partecipato ad una riunione cui erano presenti dei generali, anche statunitensi. Questa persona, un ex partigiano della zona, una volta, sentito dai cc di tirano disse loro pressoche’ testualmente “non fatene tante perche’ io sono protetto da gente con le stellette sulle spalle”. Ancora interrogato in merito a eventuali rapporti fra Mar e Gladio, dichiaro che a quel tempo il nome Gladio non esisteva. Comunque il Mar non e’ stata una pazzia, non e’ stato un fungo. Si e’ mosso in un contesto ben preciso e con compiti ben precisi.
Quello che dice Vinciguerra e’ vero, il Fumagalli, secondo Vinciguerra era un agente della Cia. Per quanto mi riguarda anch’ io, seppure con delle perplessita’, non sono alieno dal condividere questa opinione. Per tutto un complesso di ragioni, per tutta una storia che prende le mosse dal Veneto e in particolare da Verona, ho seri motivi per ritenere che il Fumagalli fosse ricattato. Sono convinto che a un certo punto non poteva piu’ uscirne.
Tornando al discorso che avevo iniziato ribadisco che il Mar ha avuto un suo spessore. In relazione ai cosiddetti “Nasco” mi chiedo perche’ non si faccia un controllo sulle armi del Fumagalli, o meglio per quelle che sono state trovate in Valtellina e per le quali sono stato condannato negli anni 1970 nel processo celebratosi in Toscana, armi trovate in Valtellina nel 1970.
Io so da dove venivano quelle armi. Provenivano da ambienti dei cc del Veneto, in particolare di Padova. Quelle armi, almeno in parte provenivano da sequestri operati dai carabinieri. Che provenissero da sequestri e’ una mia presunzione in quanto si trattava di armi usate. Sono certo invece che vennero date dai cc. Sin dal 1964, in Valtellina, c’ erano caserme dei cc che disponevano di armi da consegnare a civili in funzione di anticomunista. Cio’ l’ho appreso nel 1966, nell’ ambiente politico da me frequentato a quel tempo. Sapevo bene l’esistenza di una struttura che doveva contrastare l’ avanzata del partito comunista e che a tal fine poteva disporre anche di armi. Aggiungo che le consegne di armi fatteci da alcuni ufficiali dei cc di Padova le consideravano una dimostrazione di fiducia e di simpatia da parte dell’ arma. Le armi provenienti dal veneto erano destinate alla Valtellina nonche’ ad altre localita’. Dico questo con riferimento in particolare all’anno 1969. In questa faccenda c’erano di mezzo i servizi segreti e ufficiali americani. Nel 1969, nei mesi di settembre ottobre novembre vi furono a Padova parecchie riunioni. Io partecipai ad alcune di queste in rappresentanza del Mar. Il Fumagalli, invece, non partecipo che sporadicamente a queste riunioni, forse a una sola.
Erano presenti ufficiali dei cc, ufficiali americani della base Nato di Vicenza, nonche’ quel tale “penna nera” . Ora che lei GI mi da lettura di quanto riferito da Vinciguerra in merito a questo “penna nera” nel verbale del 26.10.87, posso dire che costui si identifica nel Dogliotti. Oltre ai predetti ufficiali c’ erano rappresentanze

Di civili provenienti da diverse aree del nord, in particolare la Toscana, il Piemonte, la Lombardia, la Liguria. Parte dei toscani erano del Mar, altri erano in rappresentanza di altri movimenti anticomunisti. Al termine di queste riunioni avveniva la consegna delle armi nel senso che nel bagagliaio delle macchine si trovavano delle armi. Parte delle armi che mi sono state date a Padova sono state rinvenute in Valtellina, cosi’ almeno credo, ed hanno formato oggetto del procedimento toscano a mio carico.
Adr: a queste riunioni normalmente partecipava una trentina di persone fra ufficiali e civili. Le riunioni si tenevano in locali pubblici di Padova o nella zona circostante, ovvero in case private. In occasione di tali riunioni non ho mai soggiornato a Padova. Preferivo tornare direttamente alla mia residenza oppure dormire in localita’ vicino a Padova, ma di solito rientravo. E’ evidente ormai dal mio discorso che queste armi ci venivano date in funzione interna anticomunista. La storia che una struttura di tal genere dovesse servire contro una invasione straniera, e’ a mio giudizio una barzelletta. Allora tale ipotesi non si ventilava nemmeno.
La struttura di cui parlo faceva capo agli americani che davano gli ordini, mentre i cc provvedevano al coordinamento. Voglio ora parlare di una riunione avvenuta a Milano il 700320 o comunque nel marzo del 1970 presso il circolo dalmata giuliano, riunione che sancì la nascita del raggruppamento “Italia Unita” . Questo raggruppamento rappresento’ l’ unificazione di 18 gruppi extraparlamentari di destra. Io aderii in rappresentanza del Mar. Venne costituito un comitato direttivo e venne nominato presidente onorario il generale Bertoldi Felice e presidente effettivo il generale Biagi.

Adr: la cosiddetta “Maggioranza silenziosa” era una articolazione di questa struttura.

Adr: Avanguardia Nazionale fu esclusa dal raggruppamento Italia Unita poiche’ il suo rappresentante era persona sgradita, non solo a me.

Adr: a questa riunione partecipo’ Bertoli, che fu uno dei promotori. A mio giudizio tutta la destra, pur nelle sue molteplici articolazioni ha un denominatore comune costituito dall’ anticomunismo, che rappresentava la base il cemento del raggruppamento Italia Unita.

Adr: circa i miei rapporti con Bellini Guido confermo le dichiarazioni rese al GI di Bologna il 07.03.84. Il fratello, Bellini Paolo, lo conobbi successivamente in Italia. In stato di liberta’ può essere che abbia incontrato il Bellini Paolo se questi e’ la persona che una volta accompagnava il fratello e che venne presentato come un brasiliano. Mi pare che si sia presentato con cognome “Da Silva” e che abbia detto di essere un pilota brasiliano. Questa persona mi fece una cattiva impressione ed esternai questo mio giudizio al Bellini Guido, il quale non mi disse che Ilda Silva era suo fratello. Il rapporto col Bellini Guido riguarda esclusivamente il mio lavoro di importatore che a quel tempo svolgevo in Paraguay e il mio rapporto col bellini paolo si e’ risolto nei termini sopradetti.

Adr: lo stesso giorno del mio arresto incontrai Zicari a Milano in piazza Tirana. Per essere preciso lo incontrai la notte prima del mio arresto. Lo Zicari apparteneva ai servizi e doveva venire con me in Valtellina per visitare il luogo di un campo di addestramento militare. Lo Zicari aveva nascosto su di se un registratore, col quale appunto registro’ la nostra conversazione. Non avevo motivo di dubitare dello Zicari, che era accreditato dal Degli Occhi, e percio’ parlai liberamente. Rettifico quanto ho prima detto precisando che lo Zicari non aveva con se un registratore, bensi’ un microfono attraverso il quale era in contatto con persone occultate in un camion per traslochi contenente una attrezzatura da ascolto, parcheggiato poco distante dalla macchina dove ebbe luogo la mia conversazione con lo Zicari. Le notizie relative a queste modalita’ di registrazione del mio discorso con lo Zicari le ho apprese dopo essere stato scarcerato dopo il novembre del 1970 da persona appartenente al mio ambiente che lo aveva a sua volta appreso dai cc.

Adr: circa l’ interrogatorio cui venni sottoposto da parte del Delle Chiaie e del Vinciguerra, dico che e’ mia profonda convinzione che il Delle Chiaie lavorasse per i servizi, anche dal tempo dell’interrogatorio e forse io debbo la vita a Delle Chiaie. Credo di non essere stato ucciso, dopo essere stato rapito in spagna, proprio grazie a Delle Chiaie. Rettifico la verbalizzazione precisando che non si tratto’ di rapimento, bensi’ di “prelevamento” . Comunque si tratto’ di un interrogatorio da me non richiesto e non voluto.

Adr: non ho mai conosciuto personalmente Esposti Giancarlo.

Ho conosciuto invece d’ intino, anzi altri ragazzi vicino al Fumagalli che aveva preso alloggio nell’ appartamento a me intestato. Ribadisco che dopo aver appreso che il Fumagalli aveva messo loro a disposizione l’ appartamento, disdissi immediatamente il contratto con raccomandata.

Adr: per tutta una serie di ragioni e di valutazioni ritengo che le armi di Esposti Giancarlo provenissero da Verona.

Adr: ho conosciuto Cauchi in Spagna, a Madrid nel 1975 o nel 1976. Io fui in Spagna dall’ agosto 1974 ai primi mesi del 1977. Di me l’ ambiente degli ordinovisti e degli avanguardisti non si fidava. Il Cauchi non si apri’ mai completamente con me sulle sue vicende politiche. Mi disse che era un fuoriuscito, mi lascio’ intendere, senza pero’ dirmi le cose in modo chiaro, che aveva avuto rapporti con servizi; non ha mai detto di aver partecipato ad attentati e neppure mi ha mai detto di avere frequentato il Gelli. Il nome del Gelli pero’ circolava in quell’ ambiente di Madrid. Io ho supposto che vi potessero essere stati dei rapporti fra Cauchi e Gelli in quanto ad un certo momento a Madrid a quelli di on e avanguardia mancavano soldi e poi seppi che Cauchi era venuto in Italia e, una volta tornato a Madrid vi erano anche i soldi. Vi vorrei chiedere se vi risulta un qualcosa in proposito della fusione tra ON e AN che non e’ mai comparso neppure sulla stampa.

Il pm di Firenze fa presente che, come risulta da atti giudiziari pubblici vi fu una riunione fra esponenti delle due organizzazioni ad Albano Laziale nell’ estate del 1975 e che nel dicembre dello stesso anno vi fu la scoperta a Roma della base di via sartorio frequentata da ordinovisti e avanguardisti.

Orlando dice: non intendevo alludere a queste cose note ma al fatto che questa unificazione fu per cosi’ dire imposta da ambienti politici italiani. Mi riferisco al fatto che a Madrid convennero esponenti politici italiani che ebbero incontri con i maggiori esponenti di ON ed AN che si trovavano in quella citta’ e dissero che la fusione era opportuna e necessaria perche’ ormai era giunto il momento in cui tutti dovevano essere pronti, alludendo ovviamente a un cambiamento della situazione politica in Italia.
Invitatomi a riferire chi fossero questi esponenti politici, orlando dice: si trattava di deputati del Msi e anche non di questo partito ma sono disposto solo a fare il nome di Romualdi Pino, deceduto.

Adr: mai il Mar ha operato attentati ai tralicci in Alto Adige. Spontaneamente aggiungo che e’ mio interesse dimostrare che non sono un delinquente e che e’ mio interesse percio’ e mia ferma volonta’ arrivare ad una ricostruzione completa e definitiva della mia vicenda umana e politica. Sono quindi disposto a essere nuovamente sentito, ma ho la necessita’ anche di confrontarmi col Fumagalli al fine di far chiarezza anche con lui su tutto quanto e’ accaduto. Ritengo che anche il Fumagalli abbia interesse a questo discorso.

Adr: quando ho fatto riferimento ad armi provenienti da Verona, intendevo riferirmi, fra gli altri anche allo Spiazzi, persona che io non ho mai conosciuto personalmente, ma che era ben conosciuto invece da Fumagalli Carlo che lo considerava un gran tecnico in fatto di armi e che lo considerava addirittura capace di progettarle e realizzarle. L’ ultima volta che vidi Fumagalli prima del suo arresto fu proprio la sera precedente al giorno in cui fu arrestato. Egli venne da me in ufficio a Milano in via Marco da Puia, ove io lavoravo presso suo fratello e mi disse: Tano, ti ho messo nella merda pero’ tu domani mattina avrai una borsa di documenti che prima esaminerai e poi ne farai l’ uso che credi. Il giorno egli fu arrestato e io di quella borsa non ho saputo piu’ nulla.

Adr: quando parlo del Bertoli che partecipo’ alla riunione in cui venne fondata Italia Unita, mi riferisco a Bertoli Raffaello.

Letto confermato e sottoscritto.­