Il delitto Mangiameli

Il 2 settembre Volo, Mangiameli e le rispettive compagne si muovono dalla Sicilia e vanno in Umbria, a Cannara, un paesino in provincia di Perugia: lì per una settimana sono ospiti di Salvatore Davì, che è un appartenente di Cosa nostra, in soggiorno obbligato in attesa degli esiti di un processo per l’omicidio di un poliziotto. Se non è già un esponente di rilievo, Davì lo diventerà, perché, scontate le condanne, salirà a capo della famiglia di Partanna-Mondello. I motivi per cui Mangiameli e Volo soggiornano proprio da Davì per una settimana non sono noti, si può solo supporre che Mangiameli avesse necessità di essere protetto, nella prospettiva di vedersi con il gruppo di Fioravanti. Oppure, per quanto fa capire Alberto Volo, lo scopo del viaggio sarebbe stato anche quello di «acquisire elementi per chiarire, attraverso canali diversi, tutti i sospetti che si erano accumulati, considerando le gravi vicende di quell’anno 1980». Più nello specifico, Volo riporta che «in effetti Mangiameli mi disse – il 9.9.80 durante il viaggio da Perugia a Roma – di sapere che vi era stata una riunione a casa di Gelli cui aveva partecipato Valerio Fioravanti e che aveva posto tale riunione in relazione con l’omicidio Mattarella, proprio perché già allora sospettava che il Fioravanti fosse stato autore materiale dell’omicidio». Questo spiegherebbe il motivo della fuga, ma presuppone rapporti occulti fra l’estrema destra e la mafia. Mangiameli decide di andare a Roma, appunto il 9 settembre, usando l’Alfa Sud del Davì. Dapprima si trova con Roberto Fiore, poi nel pomeriggio, verso le 15.30, arriva in piazza della Rotonda per l’appuntamento di chiarificazione con i Nar: lo vanno a prendere, Mangiameli sale su una Golf di colore argento, ma non lo fa Volo, che non si fida. Alla guida c’è Cristiano Fioravanti e con lui Dario Mariani. Mangiameli viene portato in una pineta di Castelfusano e lì viene ucciso con un macabro rito, ognuno gli spara un colpo, prima Cristiano, poi Valerio, quindi Giorgio Vale. La Mambro e Mariani provvedono a sbarazzarsi del cadavere, che viene buttato in un laghetto artificiale in località Spinaceto e qui zavorrato; poi raggiungono gli altri che sono a cenare in un ristorante. Il ritardo nel ritrovamento è funzionale perché, nelle intenzioni, c’è anche quella di uccidere ancora «per avere il tempo di rintracciare Fiore e Adinolfi nonché la stessa moglie di Mangiameli». Tale intento non si verifica, anche perché Mangiameli viene ritrovato già due giorni dopo, quando il corpo riemerge in superficie. Il delitto apre una faglia fra i Nar e Terza Posizione, che risponde con un documento, che è anche un’accusa: L’ignobile strage di Bologna, che tanto da vicino ricorda quella di Abadan ad opera della Savak o quelle di Piazza Fontana, di Brescia, di Peteano, del treno Italicus, ha forse fatto la sua 85a vittima?

 

Fonte: “La democrazia del piombo“, Luca Innocenti