Si dovrebbe parlare di una strage. Quella alla Banca dell’ Agricoltura di piazza Fontana, a Milano, del 12 dicembre 1969, lontana nel tempo ma ancora impunita, la prima di quella lunga stagione di sangue e di morti che arriva fino al 23 dicembre scorso. Siamo al settimo processo, ottava udienza, c’ è Franco Freda, l’ imputato più importante e anche l’ unico presente. Tocca a lui rispondere alle domande e alle contestazioni. Ma nessuno gli chiede niente della strage, dei timer e delle borse da lui acquistati e usati dagli attentatori. Nessuno che gli contesti le parziali confessioni di Giovanni Ventura o le testimonianze accusatorie di Guido Lorenzon. Le domande del Procuratore generale non incidono più di tanto; anzi, ad un certo momento, irritato per il filtro che il presidente fa ai suoi quesiti, il magistrato si ferma e rinuncia a proseguire. Del poderoso schieramento della parte civile, c’ è un solo rappresentante, che però non pone neppure una domanda. Di altri avvocati nemmeno l’ ombra; sicchè l’ udienza comincia tardissimo dopo l’ intervento del presidente dell’ Ordine degli avvocati baresi che precetta due o tre legali. Per di più, la trascrizione a verbale di domande e risposte, con le inevitabili discussioni che l’ operazione porta con sè, fa perdere tempo prezioso. Così alla fine, tocca al solito Guido Calvi, da quindici anni fedelissimo difensore di Pietro Valpreda, tentare di mettere in difficoltà Franco Freda, il quale, dopo essere uscito pressochè indenne dalla prima giornata di interrogatorio, affronta la seconda con un intervento che ha rasentato quasi l’ oltraggio al magistrato, ma che è passato praticamente inosservato.
Accade questo: il Pg Toscani fa rilevare all’ imputato delle contraddizioni tra quanto detto in passato e quanto affermato ora. Freda: “Questa è una domanda o un suo giudizio? Signor Presidente le domande del Procuratore generale, anzi del signor Procuratore generale, tanto per mantenere le distanze, tendono ad insinuare il sospetto che ogni mia affermazione del passato venga oggi da me contraddetta. Chiedo formalmente che le domande vengano filtrate dal Presidente. Come imputato, chiedo di essere tutelato…”. Pg: “Mi meraviglia che lei abbia visto nelle mie domande una forma di aggressione ai suoi diritti di difesa”. Freda: “Diciamo che in fondo ho riconosciuto la sua abilità dialettica”. Pg: “Ventura parla della strategia cosiddetta della seconda linea, diretta ad infiltrare elementi della destra nella sinistra…”. Freda: “Sono menzogne di Ventura. Tra l’ altro io, allora, avevo ventisei-ventisette anni, ero un moccioso…”. Pg: “Eh, no! Lei tenne una conferenza a quell’ età. Ne ho letto la trascrizione, un testo ottimo…”. Freda: “La ringrazio, ma era un testo teorico. La pratica, le strategie politiche sono un’ altra cosa”. Poi, sempre sollecitato dal Pg, Freda parla di quella sorta di ponte tra destra e sinistra che egli ha sempre tentato di stabilire “per superare gli steccati ideologici del sistema”. Quindi, nessuna volontà di “insinuarmi nell’ ambito della sinistra”, ma solo “una precisa e chiara attività per sollecitare la collaborazione di tutti i gruppi”.
Precisa Freda: “Io, per costituzione mentale, so giocare solo a carte scoperte. Se sono costretto a definirmi di estrema destra quando mi si chiede quale sia il mio orientamento politico, è per farmi capire. Ma io ho sempre cercato di superare le categorie destra-sinistra volute dal sistema. Le mie posizioni sono sempre state talmente esplicite che ero definito nazimaoista”. Pg: “E’ vero che lei frequentava Emilio Vesce?”. Freda: “Sapevo che apparteneva a “Potere operaio” e che condivideva con me il superamento dei blocchi ideologici. Tanto è vero che, quando una volta, all’ università di Padova, ci fu una specie di ribellione che la mia presenza tra quelli di sinistra provocò in alcuni, tra i quali il professore Toni Negri, Vesce intervenne in mio favore e spiegò la situazione”.
Quindi, si parla di armi ed esplosivi. Materie che dice Freda, non lo hanno mai interessato. Si parla degli incontri che, secondo Marco Pozzan, Livio Iuculano e Giovanni Ventura, Freda avrebbe avuto con Stefano Delle Chiaie, imputato anche lui di strage nell’ inchiesta-bis in corso a Catanzaro. E Freda rivolto al Pg: “Ma lei davvero vuole usare queste cose? Ma lei sa che Iuculano ha un pedigree processuale incredibile? Era un mitomane. Comunque, mi dispiace per Pozzan, ma tutte queste dichiarazioni rispondono a menzogne. Dal ‘ 67-‘ 68, non ho più visto Delle Chiaie”. Pg: “Il contenuto del suo libretto rosso è tutt’ altro che da allevatore di anime, come lei ama definirsi. E’ sollecitazione alla violenza”. Freda: “Rispondo con due citazioni. Qualcuno disse: “Datemi una frase e impiccherò un uomo”. Poi, una citazione di Marx: quando la Gazzetta del Reno venne soppressa dalla censura prussiana, Marx disse: non preoccupatevi, quando verrà il nostro turno non avremo la mano morbida. Era forse un terrorista?”. Pg: “In un suo interrogatorio, lei parla di sedicente Repubblica italiana e usa espressioni anche più offensive”. Freda: “Dissi quelle parole dopo il mio rapimento dalla Costa Rica, definito da insigni giuristi un atto banditesco”.
Tocca a Calvi. Gli chiede se ha mai aderito a “Ordine nuovo” e Freda nega; gli chiede perchè avvertì Pino Rauti della perquisizione avvenuta a casa di Ventura e Freda dice che Rauti allora era un redattore del Tempo al quale chiese un articolo che “facesse una rappresentazione aderente ai fatti”. Gli chiede il nome del personaggio che doveva venire da Roma, come risulta in una telefonata tra Freda e Pozzan del 18 aprile ‘ 69, ma Freda “non ricorda”. Oggi, dovrebbe essere la giornata-clou: a Freda saranno contestate le recenti accuse dei pentiti neri.