Il delitto Mangiameli

Il 2 settembre Volo, Mangiameli e le rispettive compagne si muovono dalla Sicilia e vanno in Umbria, a Cannara, un paesino in provincia di Perugia: lì per una settimana sono ospiti di Salvatore Davì, che è un appartenente di Cosa nostra, in soggiorno obbligato in attesa degli esiti di un processo per l’omicidio di un poliziotto. Se non è già un esponente di rilievo, Davì lo diventerà, perché, scontate le condanne, salirà a capo della famiglia di Partanna-Mondello. I motivi per cui Mangiameli e Volo soggiornano proprio da Davì per una settimana non sono noti, si può solo supporre che Mangiameli avesse necessità di essere protetto, nella prospettiva di vedersi con il gruppo di Fioravanti. Oppure, per quanto fa capire Alberto Volo, lo scopo del viaggio sarebbe stato anche quello di «acquisire elementi per chiarire, attraverso canali diversi, tutti i sospetti che si erano accumulati, considerando le gravi vicende di quell’anno 1980». Più nello specifico, Volo riporta che «in effetti Mangiameli mi disse – il 9.9.80 durante il viaggio da Perugia a Roma – di sapere che vi era stata una riunione a casa di Gelli cui aveva partecipato Valerio Fioravanti e che aveva posto tale riunione in relazione con l’omicidio Mattarella, proprio perché già allora sospettava che il Fioravanti fosse stato autore materiale dell’omicidio». Questo spiegherebbe il motivo della fuga, ma presuppone rapporti occulti fra l’estrema destra e la mafia. Mangiameli decide di andare a Roma, appunto il 9 settembre, usando l’Alfa Sud del Davì. Dapprima si trova con Roberto Fiore, poi nel pomeriggio, verso le 15.30, arriva in piazza della Rotonda per l’appuntamento di chiarificazione con i Nar: lo vanno a prendere, Mangiameli sale su una Golf di colore argento, ma non lo fa Volo, che non si fida. Alla guida c’è Cristiano Fioravanti e con lui Dario Mariani. Mangiameli viene portato in una pineta di Castelfusano e lì viene ucciso con un macabro rito, ognuno gli spara un colpo, prima Cristiano, poi Valerio, quindi Giorgio Vale. La Mambro e Mariani provvedono a sbarazzarsi del cadavere, che viene buttato in un laghetto artificiale in località Spinaceto e qui zavorrato; poi raggiungono gli altri che sono a cenare in un ristorante. Il ritardo nel ritrovamento è funzionale perché, nelle intenzioni, c’è anche quella di uccidere ancora «per avere il tempo di rintracciare Fiore e Adinolfi nonché la stessa moglie di Mangiameli». Tale intento non si verifica, anche perché Mangiameli viene ritrovato già due giorni dopo, quando il corpo riemerge in superficie. Il delitto apre una faglia fra i Nar e Terza Posizione, che risponde con un documento, che è anche un’accusa: L’ignobile strage di Bologna, che tanto da vicino ricorda quella di Abadan ad opera della Savak o quelle di Piazza Fontana, di Brescia, di Peteano, del treno Italicus, ha forse fatto la sua 85a vittima?

 

Fonte: “La democrazia del piombo“, Luca Innocenti

Paolo Signorelli – dichiarazioni 05.09.1980

Sono difeso dal qui presente avvocato Torrebruno Giuliano di Roma, presente col suo procuratore dr Caroleo Grimaldi Francesco e chiedo si proceda anche se manca l’ avvocato Arico’ Giovanni che e’ stato avvisato peraltro revoco l’ avvocato Arico’ e nomino i qui presenti difensori.

Si contestano quindi all’imputato i fatti addebitati a suo carico nel rapporto di polizia e le imputazioni di cui all’ordine di cattura nr 77/80 notificato per estratto, al quale oggi si aggiunge l’elenco completo dei coimputati, che si consegna all’imputato stesso per la completezza della contestazione. Illustrata la posizione processuale, l’ imputato chiede di far constare a verbale la seguente testuale dichiarazione:

– in nove giorni di isolamento, mentre attendevo questo interrogatorio, ho avuto modo di riflettere lungamente e desidero premettere che mi considero un “sequestrato politico” e un sequestrato che non intende pagare il prezzo del riscatto. La mia coscienza di uomo, il mio senso dell’onore, lo stile che ha sempre contraddistinto i miei comportamenti mi spingono, dinanzi ad accuse assurde quanto infamanti, tipo quelle che mi vengono rivolte, a non recitare la parte di chi e’ costretto a discolparsi.
Aggiungo che di talune di queste accuse si sono gia’ occupati, in altra sede, quelli che considero gli organi naturalmente competenti, ne sono stato scarcerato con provvedimento dei giudici di Appello e di cassazione; circa l’ ipotesi di mio concorso nell’ orribile strage, ignobile delitto, di cui ricevo comunicazione giudiziaria, intendo invece dimostrare la mia estraneita’ . Dichiara:

– leggo oggi per la prima volta, nel foglio che mi viene consegnato, l’elenco dei coimputati e a questo proposito dichiaro che, per quanto possa occorrere, rinnovo la dichiarazione di ricorso per cassazione contro l’ ordine di cattura nr 77/80 di cui oggi soltanto ho compiuta conoscenza, riservando i motivi all’ avvocato Arico’ che espressamente designo per la fase di cassazione e osservo che tutti gli individui indicati nella rubrica, io ne conosco al piu’ , anzi personalmente e direttamente io ne conosco soltanto quelli contrassegnati ai nr 2 – 5 – 7 – 12 – 13 e cioe’ il Calore in quanto essendo stati entrambi ristretti e coimputati a Roma in un processo per l’ accusa di ricostruzione del partito fascista, attualmente pendente avanti al GI di Roma, per cui sono stato scarcerato;

Il prof Semerari lo conosco in termini di amicizia pregressa ed anche per ragioni della sua professione di medico;
Scarano lo conosco come mio coimputato nel sopra citato processo ed anche da tempo anteriore essendo esistito un rapporto di amicizia;
Il Mutti per averlo conosciuto nella detenzione;
Il De Felice lo conosco dagli anni 50 quando militavo nel Msi. Il De Felice era deputato di detto partito.

Quanto invece ai nr 10 e 11 cioe’ Fiore e Adinolfi, li ho conosciuti alcuni anni orsono quando frequentavo ambienti studenteschi di destra. Tutti gli altri non li conosco, ma mi resta un interrogativo sul nr 3 cioe’ il Furlotti Francesco, che come nominativo non mi e’ sconosciuto ma non ricordo quale figura, fisionomia o persona identifichi.
Escludo che si tratti di un collaboratore, di persona a me legata, ma se e’ soprannominato come mi dite “chicco” e’ un giovane conosciuto negli anni 70, che io ricordo come un ragazzo di 16 – 17 anni semplice frequentatore della sezione Msi della Balduina, col quale non ho piu’ trattenuto rapporti, se non di incontro quanto mai occasionale e casuale nell’ arco degli ultimi sei anni. Ad ogni buon conto, preciso che se nei confronti di tale Furlotti esistessero indizi di uno specifico reato, io escludo qualunque connessione con costui e escludo di averlo istigato, determinato, consigliato a qualunque azione. Ritengo di ricordare che da almeno due o tre anni non l’ ho piu’ visto, nemmeno occasionalmente e quindi affermo la mia totale estraneita’ ad una eventuale posizione. Ad istanza della difesa, l’ ufficio da atto che la precisazione piu’particolareggiata sul nominativo Furlotti proviene da una domanda dell’ ufficio e non deve essere interpretata come qualificazione spontanea fatta dall’ imputato.

– Il nome del Pedretti Dario di cui al nr 1 ripeto nulla mi significa, se non forse un nome letto sui giornali per certe cronache ma escludo di aver avuto rapporto personale con costui, mai di alcun genere e men che meno mi risulta che costui possa avere nei miei confronti ragioni di rancore, risentimento, vendetta o comunque una qualunque ragione che possa indurlo a designarmi come voi mi dite capo dei “Nar” . Mentre respingo fermamente una simile prospettazione, ribadisco che non mi spiego come un tizio a nome Pedretti possa ipotizzare un mio ruolo di qualunque genere in senso ad una organizzazione illecita. Tempo fa il periodico “Lotta Continua” nel gennaio 79 mi indicava come esponente dei “Nar” anzi capo ed io inviai all’Ansa una smentita precisando che consideravo il gruppo “Nar” a meta’ strada tra “fanatismo esasperato e provocazione” e quindi mi riporto alla stessa valutazione per escludere di aver alcunche’ da spartire con detti “Nar” e con qualunque altra organizzazione criminosa.

– Per quanto concerne il Calore non mi risultano ragioni di suo rancore, di vendetta o di altro genere che possano averlo indotto a parlare di me come un capo dei “Nar” . Non nego che in passato tra me e Calore, a partire dagli anni 70, ci siano stati dei rapporti di amicizia e di sintonia politica, concretatasi allora nel trovarsi a riunione in ambito Msi. Calore era un giovane e poi detti rapporti, affievolitisi, si riallacciarono intorno alla fine del ’77, quando usci’ il periodico “Costruiamo l’ azione” e il Calore mi chiese di collaborare con qualche articolo, che potra’ essere letto essendo agli atti.
Tuttavia debbo precisare che il Calore, gia’ a quell’ epoca venne a trovarsi in una posizione differenziata dalla mia. Ne fanno fede gli stessi testi degli articoli, miei da una parte e del Calore dall’ altra che, pur autoditatta, e’ una mente acuta, ed e’ persona che ha letto molto. Egli era un operaio ma aveva interessi culturali e un po per volta comincio’ ad assimilare teorie recenti, come quella dei bisogni e mi manifesto’ la sua convinzione che per una efficace lotta al sistema l’ unica via fosse quella dell’ autonomia. Tali concetti erano indicati in una sua lettera anzi gia’ durante le lunghe ore trascorse insieme a Rebibbia egli mi manifestava tale evoluzione, che e’ documentata anche in una lettera rinvenuta a casa mia, inviatami recentemente, che troverete tra il materiale sequestratomi e il Calore mi annunciava di essere arrivato al terzo libro del capitale. Nonostante il mio atteggiamento di umana solidarieta’ verso il Calore e la sua famiglia, manifestato gli anche in occasione della scarcerazione di noi due in tempi differenziati, egli praticamente non nascondeva di considerarmi ormai distanziato da lui. In definitiva tra noi ci fu una sorta di “addio politico” ; poi da parte mia appresi con sorpresa e sgomento del suo ultimo arresto in circostanze tali che mi hanno fatto riflettere amaramente sulla distanza tra le nostre due concezioni e della vita e della lotta politica.
Dunque anche se quanto dico non deve essere inteso come una difesa per differenziazione non esito ad affermare che tra la concezione mia e quella attuale del Calore non v’ e’ piu’ alcun punto in comune e non vi era dopo la sua evoluzione, sicche’ nessuno puo’ associarci in una ipotesi di conmplicita’ . Mi riservo, se l’ ufficio come mi comunica considera molto importante per la mia posizione il chiarimento della differenza ideologica tra me e il Calore, di fornire ulteriori delucidazioni. Prendo atto che la attribuzione a me di un ruolo di capo dei “Nar” che mi sarebbe riconosciuto da Pedretti e da Calore, deriva da una deposizione testimoniale di tale Farina Giorgio, di cui ora mi si comunica il nome, come esplicazione del punto della motivazione dell’ ordine di cattura.
Ricordo che, ai tempi in cui frequentava la sezione Msi Balduina il giovane Farina, un tipo robusto con occhiali, allora molto giovane, fu preso a calci da due persone, da me e proprio Furlotti, e detti calci volevano qualificarlo esattamente come un mascalzone, in quanto voleva introdurre armi nella sezione (una scacciacani) e poi fini’ con l’ ammetterlo e poi frequentava al tempo stesso ambienti dell’ ultrasinistra agendo da provocatore nell’ uno e nell’ altro ambiente. Poi ebbi notizia di lui attraverso la stampa quando venne arrestato per stupro a mano armata verso una signora. Costui ha fatto sistematicamente il provocatore e quindi posso pensare ad una sua vendetta verso una persona come me fedele ad un proprio stile, alla propria dignità. Nessuno, che lo conoscesse, avrebbe mai accettato di parlare con costui, ben noto e conosciuto come provocatore in tutti gli ambienti della destra e della sinistra.
Escludo che detto Farina abbia avuto parte al gruppo di “Costruiamo l’Azione” e per quanto ne sapevo io era scomparso nel ’72 e ho appreso che ora e’ ricomparso. Non conosco Pedretti, ma escluderei che costui possa avere rilevato alcunche’ al Farina, troppo noto. Lo stesso Calore che frequentava la sezione Balduina dovrebbe conoscere il Farina per quello che è.

– escludo di aver poi avuto occasione di rievocare Furlotti quell’episodio della caccia del Farina perche’ col detto Furlotti non ho piu’ avuto rapporti, se non in maniera del tutto occasionale.

– il nome di De Orazi Luca soprannominato “Claudio il bolognese” non mi dice assolutamente nulla, salvo che ho letto sulla stampa di detto giovane.

– Il nome di Fratini Luigi che voi mi enunciate senza nulla specificare certo che mi dice qualche cosa, e’ stato un mio allievo al liceo “De Sanctis” di Roma, ricordo che ha preso la maturita’ l’ anno in cui ero membro interno della commissione. Con il Fratini come con altri ex allievi ho conservato un normale e cordiale rapporto come tra professore e studente; e’ venuto a trovarmi con ex alunni di ben diversa colorazione politica ed escludo con lui qualunque legame non scolastico.

Sono le ore 19 e l’ ufficio sospende l’ incombente, con riserva di comunicare ai difensori la prosecuzione. Del presente verbale viene rilasciata copia uniforme fotostatica e i difensori rinunciano al termine di deposito.

L’ avvocato Torrebuono fa constare che designa suo sostituto processuale il qui presente dr proc. Corleo Grimaldi Francesco per ogni evenienza con facolta’ di rappresentarlo in ogni atto.

Letto confermato e sottoscritto.

“Alla sbarra i killer di Amato” – La Repubblica 07.01.1986

Giusva Fioravanti, la sera del 23 giugno 1980, festeggiò a ostriche e champagne. Poche ore prima il giudice romano Mario Amato, un magistrato impegnato a tempo pieno nelle inchieste sul terrorismo nero, era stato assassinato con un colpo di pistola alla nuca. “Il giudice più odiato dalla destra eversiva” (la definizione è di Fioravanti) era stato tolto di mezzo e per quell’ omicidio Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Gilberto Cavallini e Paolo Signorelli sono stati condannati all’ ergastolo. Oggi comincia a Bologna il processo d’ appello. Tra gli imputati c’ è anche Stefano Soderini, assolto, il 5 aprile di due anni fa, per insufficienza di prove. Il processo di secondo grado non dovrebbe riservare grandi sorprese. Cavallini, Fioravanti e Mambro hanno rivendicato in aula le proprie responsabilità nell’ omicidio. L’ unico che può sperare in una revisione del giudizio è Paolo Signorelli, che si è sempre dichiarato innocente, ma che la sentenza di primo grado ha indicato come l’ ideologo del gruppo e l’ ispiratore dell’ omicidio. Il processo che si apre oggi avrà tuttavia un altro motivo di interesse. I quattro imputati del delitto Amato sono tra i destinatari dei 20 mandati di cattura emessi dai giudici bolognesi per la strage del 2 agosto ‘ 80. Già nel processo di primo grado, Fioravanti, Mambro e Cavallini, utilizzarono le pause dell’ udienza per “chiarire” il loro atteggiamento nei confronti dello stragismo. Dialogarono a lungo con i giornalisti e distribuirono numerosi documenti. Uno di questi, parafrasando il volantino di rivendicazione del delitto Amato, S’ intitolava “Ri-chiarimento”. In quegli stessi giorni, Sergio Calore, uno dei big del pentitismo nero, aveva invitato i “camerati” a dire quello che sapevano sulle stragi. Sembrava insomma che il muro di silenzio stesse per incrinarsi, ma le attese andarono deluse. Nei documenti, i killer dei Nar prendevano le distanze dalle stragi, ma, precisavano, “senza ancun collegamento con altre linee esistenti”. “Sulle stragi – disse la Mambro – non abbiamo fatto e non faremo mai alcuna rivelazione perchè non ne sappiamo nulla”. “Fioravanti – secondo il racconto del pentito – si era dichiarato disponibile a contribuire alla ricostruzione della verità sulle stragi, ma aveva subordinato la decisione ad un incontro con Cavallini e la Mambro in occasione del processo Amato”. Alla fine, evidentemente, prevalse la tesi del silenzio. A distanza di 20 mesi qualcosa però potrebbe essere cambiato.

Paolo Stroppiana – dichiarazioni 28.12.1984

Ho conosciuto Fioravanti Cristiano al carcere di Ivrea e l’ ho poi incontrato nuovamente nel carcere di Paliano.Ho avuto un atteggiamento conflittuale nei suoi confronti poiche’ davo ragione a Sordi Walter che veniva accusato da Cristiano di aver accusato tutti senza risparmiare nessuno.

Cristiano diceva che egli aveva voluto salvare degli amici e che non poteva accusare fino in fondo il fratello Valerio per ragioni di carattere familiare – faceva riferimento ai rapporti con i suoi genitori. Portava ad esempio della efficacia dei suoi tentativi di salvare degli amici, il caso di Bragaglia Giuseppe, assolto per insufficienza di prove nonostante l’ accusa di Sordi Walter, poiche’ egli nel processo non aveva confermato le accuse di Sordi. Lo stesso comportamento Cristiano lo ebbe nella occasione delle rivelazioni degli autori dell’ omicidio Mangiameli. Noi avevamo svolto una inchiesta ed avevamo accertato che Mangiameli, come noi esponenti di “TP” , era stato ammazzato per esclusiva iniziativa di Valerio, poiche’ era venuto al corrente di rapporti “strani” con Signorelli e con gli ambienti a lui facenti capo. In quel periodo vi era una polemica feroce tra “TP” , che si poneva come movimento innovativo spontaneista e di vecchi ambienti facenti capo al Signorelli che noi identificavamo in “Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale, Lotta di Popolo e Costruiamo l’Azione”. Signorelli non tollerava che un movimento come “TP” si assumesse un ruolo autonomo (…).

Sordi Walter mi disse che in ambienti dei “Nar” aveva raccolto piu’ voci che indicavano Fioravanti Valerio come coinvolto nello omicidio Pecorelli. Nulla so dell’ omicidio Semerari.
Nulla so del rinvenimento della valigia contenente esplosivo sul treno Taranto – Milano il 13.01.81.

Ho gia’ verbalizzato a piu’ giudici di Bologna, l’episodio riferitomi da Cogolli e Zani a proposito dell’ invito rivolto da Fachini a Cogolli di lasciare Bologna, pochi giorni prima della strage per non restare coinvolti negli arresti che sarebbero certamente derivati da cio’ che stava per avvenire.

Commento’ , a questo proposito, la figura di Fachini dicendomi che si trattava di una persona “tipo Signorelli” ed a lui collegata, coinvolta in giri equivoci con la vecchia destra filo – stragista che aveva contatti con i servizi segreti.

Si trattava cioe’ quel tipo di destra contro la quale noi eravamo schierati con decisione.

Letto confermato e sottoscritto.­

Maurizio Abbatino – dichiarazioni 09.01.1993

Adr: confermo tutte le precedenti dichiarazioni ed in particolare, per quanto interessa qui, all’ ufficio, quelle relative ai rapporti intrattenuti da me e piu’ in generale dalla “banda della Magliana” nel suo complesso con persone che gravitavano in ambienti della destra eversiva. Confermo, in particolare, che il maggior contatto operativo della banda fu Carminati Massimo, il quale si rivolse a noi anche per ottenere ospitalita’ a favore di persone del suo ambiente e con lui in stretti rapporti, quali i fratelli Fioravanti e Belsito Pasquale. A favore di queste ultime persone offrimmo ospitalita’ in un appartamento di via degli Artificieri, occasionalmente occupato anche da Colafigli Marcello e da Mancini Antonio, il quale mi sembra fosse all’ epoca ricercato. Per quanto ricordi, sempre dal Carminati, sentii parlare di Mambro Francesca e Cavallini Gilberto.

Non sono in grado di dire se le persone sin qui nominate costituissero un unico gruppo con il Carminati, quel che e’ certo e’ che tra di essi esistevano rapporti molto stretti anche di tipo operativo nel settore politico terroristico. Ricordo che, sebbene fossero tutte persone di destra, il Carminati li indicava come “compagni” il che potrebbe spiegarsi come un suo modo di adeguarsi al nostro gergo, visto che tra noi della banda ci chiamavamo appunto “compagni” , senza alcun sottinteso politico.

Conoscenza diretta ebbi oltre che con il Carminati anche con i fratelli Bracci Claudio e Bracci Stefano, nonche’ i fratelli Pucci i cui genitori gestivano un ristorante dalle parti di ponte Marconi e con Alibrandi Alessandro. Costoro costituivano sicuramente un gruppo unitario.
Come ho gia’ dichiarato, durante il periodo nel quale, su richiesta del Carminati, i fratelli Fioravanti furono ospiti precedentemente e prossima all’ arresto di Colafigli e Mancini per l’ omicidio di via Donna Olimpia – ebbi modo di incontrare entrambi e di scambiare un saluto con uno di essi, che tuttavia non sono in grado di dire chi dei due fosse. Tale incontro avvenne in occasione di una mia visita a Colafigli e Mancini. Voglio precisare che l’ appartamento di via degli Artificieri era molto grande, costituito da due appartamenti collegati, con due porte di ingresso, sicche’ era possibile che le persone che si trovavano all’ interno non si incontrassero tra loro.
La permanenza dei fratelli Fioravanti e se mal non ricordo anche di Belsito Pasquale nell’ appartamento di che trattasi non si protrasse piu’ di una decina di giorni. Si trattava, infatti, di appoggi temporanei e non sono in grado di dire cosa successivamente abbiano fatto e dove si siano recati.

Non sono in grado di dire se altre persone, oltre a quelle gia’ nominate fossero ospiti dell’ appartamento nel medesimo, periodo: il nostro referente era il Carminati al quale, in piu’ di una occasione vennero date le chiavi dell’ appartamento, del quale pertanto poteva disporre liberamente. L’appartamento di via degli Artificieri rimase nella disponibilita’ della banda per circa un anno. Confermo le circostanze della locazione, cioe’ l’ interessamento di Travaglini Gianni per trovare l’ appartamento e la stipula del contratto da parte di Carminati Massimo. Voglio altresi’ precisare che tra il gruppo Carminati e Travaglini Gianni si erano istituiti dei contatti in relazione al commercio di auto gestito da quest’ ultimo negli autosaloni di Vitinia, situati rispettivamente uno sulla via del mare, all’ aperto, l’ altro in via Sant’ Arcangelo di Romagna. L’ Alibrandi, in particolare, aveva acquistato proprio dal Travaglini una Bmw 323 color verde metallizzato. Per quanto attiene al Travaglini, questi subi’ anche un attentato all’ autosalone di via Sant’ Arcangelo di Romagna, da parte nostra per vicende che attenevano ad un contrasto con Selis Nicolino ed il suo gruppo, attentato consistito nel far esplodere un ordigno artigianalmente predisposto secondo le modalita’ apprese dal Carminati in ordine alle quali ho gia’ riferito in precedente interrogatorio (11.12.92). L’ esplosivo di cui disponevamo ci proveniva da “loro” , vale a dire dal giro di Carminati, le persone cioe’ di cui ho gia’ fatto i nomi.

Adr: oltre che delle persone alle quali ho fatto cenno in precedenza, ricordo di aver sentito da Carminati, dai Bracci, dai Pucci e da Alibrandi, i nomi di Sordi, Ciavardini, Nistri, e Vale Giorgio, rispetto ai quali non so riferire circostanze precise, ma che, tuttavia, venivano indicati dai predetti come loro “compagni” , inseriti nei Nar, sigla questa ricorrente nei loro discorsi. Mi sembra anche di ricordare che i nomi Cavallini e della Mambro, vennero fatto allorche’ si parlo’ dell’ omicidio Straullu. A questo proposito, Carminati Massimo mi spiego’ di una rivoltella senza cane cal 38, nella disponibilita’ , trasportabile in un borsello, sul quale era praticato un foro, tale da poter essere usata senza essere estratta.
Per quanto ricordi e per quanto potei capire, in quanto solitamente non si discuteva se non per accenni delle rispettive operazioni, Alibrandi Alessandro si muoveva tra vari gruppi ideologicamente omogenei, e vale Giorgio era in strettissimi rapporti, anche operativi con il Carminati. Carminati Massimo e Alibrandi Alessandro rappresentavano elementi di forte coesione di tutto l’ ambiente che ho descritto.
Oltre ai contatti di cui ho sin qui parlato, altri ne avemmo come banda anche per l’ ambiente di destra facente capo al professor Semerari e a De Felice Fabio. Ho gia’ ampiamente riferito in ordine sia alle modalita’ attraverso le quali si pervenne alla istituzione del rapporto; sia in ordine al primo incontro avvenuto nella villa di De Felice con il professor Semerari e con Aleandri Paolo; sia alla vicenda relativo alla smarrimento delle armi affidate in custodia all’ Aleandri; sia al rapimento di quest’ ultimo che forni’ l’ occasione per il Carminati, gia’ in contatto con Giuseppucci Franco e con il gruppo di Acilia, di entrare in piu’ stretti rapporti con tutta la banda; sia, infine, alle vicende relative ai due mitra Mab modificati che ci vennero consegnati fa scorza Pancrazio e mariani bruno per reintegrare il borsone smarrito da Aleandri.

Adr: l’ ambiente del Semerari, come ho gia’ avuto modo di accennare in precedenti interrogatori, esprimeva una diversa impostazione rispetto a quello dei Nar, e lo stesso Semerari si definiva “nazi -fascista” . Nei precedenti interrogatori ho definito “ordinovisti” le persone che ruotavano attorno al Semerari e al De Felice, poiche’ ricordo che costoro parlavano talvolta di Ordine Nuovo e della organizzazione di campi paramilitari nelle campagne attorno a Rieti.

Adr: ricordo un incontro abbastanza rapido con il Semerari nella sua villa nel reatino: rimasi colpito dal suo letto in metallo nero, sormontato da una bandiera con svastiche e ornato di aquile e anche della presenza di vari dobermann ai quali il professore impartiva ordini in tedesco. Delle persone incontrate insieme al Semerari – ricordo la presenza di  alcuni giovani in casa del De Felice – ho focalizzato la memoria soltanto sull’ Aleandri. Non ho mai conosciuto Signorelli Paolo, ne’ ricordo di averne mai sentito parlare, ne’ dal giro di Semerari ne’ dal giro di Carminati. Non ho mai sentito parlare di Tilgher Adriano, né dei fratelli Palladino, né di Picciafuoco, né di Giorgi Maurizio, né di Smedile Antonio, né di Sortino Luigi, né di Bongiovanni Ivano, né di Sinibaldi Guglielmo, né di tale Citti.

Adr: il nome Pompo’ mi ricorda un funzionario di polizia che aveva fama di corrotto ed era in contatto con Giuseppucci e con Abbruciati Danilo che ne parlavano in termini confidenziali come del “vecchio Pompo’ “. Ricordo in proposito che una volta venni arrestato in possesso di un documento falso nei pressi del bar Ciampini, mi sembra in piazza Pio XI; venni condotto insieme al Giuseppucci al commissariato di zona, forse “Borgo” , e qui sentii il Giuseppucci chiedere del Pompo’ .
Il nome “Ossigeno” non mi dice nulla; il nome Sparti mi richiama un falsario collegato al Giuseppucci; ricordo un falsario conosciuto come “Dracula” sempre collegato al Giuseppucci; come pure Massimi Marco Mario; ho sentito nominare tal “Zibibbo” , sempre dal Giuseppucci, ma non ricordo in quale contesto; neppure nuovo mi e’ il nome di Giuliani Egidio che ricollego a persona in contatto con Giuseppucci e con Scorza Pancrazio e comunque con trascorsi informazioni dell’ ultrasinistra, come Autonomia Operaia o Prima Linea.
Spontaneamente l’ imputato dichiara: ricordo che il Carminati, i suoi compagni e il Giuseppucci fecero il nome di Dimitri all’ epoca della rapina alla Chase Manhattan Bank. Il nome Vailati non mi e’ nuovo non conservo in proposito ricordi precisi ma lo associo ad Mancini Antonio in quanto dovrebbe essere stato lui a farmelo. Questi oltre alla Porcacchia Elena, aveva un’altra donna a nome Moretti Fabiola, la quale gestiva lo spaccio di stupefacenti in zona campo dei fiori ed era collegata a Abbruciati Danilo.
A questo punto l” imputato chiede di poter avere in visione le foto delle persone menzionate dall’ ufficio, onde poter essere piu’ preciso nei propri ricordi in ordine al loro riconoscimento.

Adr: nel riconfermare quanto gia’ dichiarato a proposito del deposito di armi presso il ministero della Sanita’ e presa nuovamente visione del compendio fotografico allegato alla relazione di perizia tecnico balistica disposta dal GI dr Lupacchini intendo immediatamente precisare che non riscontro tra le armi periziate e quindi in sequestro, nessun fucile a canne segate. Al riguardo debbo dire che presso il ministero vi erano certamente piu’ armi di quante in sequestro e tra quelle vi erano anche dei fucili automatici cal 12 di varie marche (Franchi, Bernardelli e Breda) , modificate perlopiu’ dall’ Alesse, il quale aveva provveduto a segare le canne; ad abradere, o a ribattere, o punzonare, o trapanare il numero di matricola, cosa che facevamo assieme nello scantinato del ministero.
Talvolta si provvedeva anche ad accorciare il calciolo di legno segandolo. Capitava che se il calciolo veniva accorciato troppo spuntasse una molla. I fucili modificati in questo modo erano 3 o 4. Oltre alle armi, all’ esplosivo ed al munizionamento, presso il ministero della Sanita’ erano depositati anche guanti e passamontagna.
Guanti ve ne erano di tutti i tipi: in pelle, in lana, in gomma da cucina e da chirurgo. Questi ultimi due tipi, per le loro caratteristiche oltre a garantire una certa sensibilita’ erano i piu’ adatti ad impedire che la polvere da sparo esplosa aderisse alla pelle. I passamontagna, quasi tutti di colore scuro, blu o neri, erano perlopiù in tessuto leggero, una specie di sottocaschi, con una cucitura al centro, dalla fronte alla nuca, piuttosto evidente. L’ esplosivo custodito presso il ministero della Sanita’ proveniva dal gruppo di Carminati, per come ho piu’ volte gia’ dichiarato, pure da Carminati provenivano le micce ed i detonatori.

Adr: confermo quanto da me gia’ dichiarato relativamente ai due mitra Mab ricevuti in cambio delle armi smarrite da Aleandri. Voglio integrare comunque le precedenti dichiarazioni con la precisazione che il Carminati prese non una ma due volte il mitra Mab che non è stato rinvenuto al ministero della Sanita’ . Si trattava, tra i due, del mitra meglio modificato. Confermo che il Carminati prese per la seconda volta il mitra circa due mesi dopo la morte di Giuseppucci, e colloco la prima in epoca immediatamente precedente alla morte del Giuseppucci stesso. Ero presente quando il Carminati prese il mitra per la seconda volta eche nell’ occasione, come d’ abitudine, prese due caricatori, uno lungo e uno piu’ corto. Presente nella circostanza era anche Alesse Biagio. Come accadeva normalmente non chiesi al Carminati la ragione per la quale prelevava l’ arma ne peraltro gli chiesi mai di restituirla, ne perche’ non l’ avesse mai fatto. Cio’ rientrava non solo in una consuetudine dovuta all’ amicizia, ma era coerente con la regola di non interessarsi alle attivita’ degli altri e soprattutto di non portare nel deposito armi comunque “sporche” .

Confermo di essere in grado di riconoscere, vedendolo, il mitra in questione ed a tal fine ho gia’ chiesto di poter vedere le foto di altri mitra analogamente modificati, sequestrati in altre occasioni, essendo quelli ricevuti da Scorza e Mariani, simili ma non identici quanto a modifiche apportate.

L’ ufficio mi mostra una foto siglata dai GI, e dal PM la quale viene allegata a questo verbale, in cui riconosco con certezza il mitra prelevato dal Carminati e mai piu’ restituito, nelle circostanze sopra indicate.

L’ ufficio da atto che la foto mostrata all’ imputato, fornita dalla Digos di Bologna, riproduce il mitra Mab 38/42 rinvenuto a Bologna il 12.01.81, sul treno Taranto – Milano. L’ imputato sigla la foto di cui sopra.

Letto confermato e sottoscritto­

Omicidio Mattarella – articolo Alberto Di Pisa 17.07.2016

Della possibilità di una “pista nera” e di una compenetrazione di questa con la pista mafiosa nell’omicidio del Presidente della Regione, era convinto lo stesso Falcone il quale, nella audizione del 3 novembre 1988, dinanzi la Commissione parlamentare antimafia dichiarava : “Il problema di maggiore complessità per quanto riguarda l’omicidio Mattarella deriva dall’esistenza di indizi a carico anche di esponenti della destra eversiva quali Valerio Fioravanti. Posso dirlo con estrema chiarezza perché risulta anche da dichiarazioni dibattimentali da parte di Cristiano Fioravanti che ha accusato il fratello, di avergli detto di essere stato lui stesso, insieme con Gilberto Cavallini, l’esecutore materiale dell’omicidio di Piersanti Mattarella. E’ quindi un’indagine estremamente complessa perché si tratta di capire se e in quale misura “la pista nera” sia alternativa rispetto a quella mafiosa, oppure si compenetri con quella mafiosa. Il che potrebbe significare saldature e soprattutto la necessità di rifare la storia di certe vicende del nostro Paese, anche da tempi assai lontani”. Alla domanda rivoltagli dal presidente della Commissione Violante se Fioravanti fosse incriminato per questo delitto, dopo avere dato risposta affermativa, ricollegava l’indagine sull’omicidio Mattarella ad altre delicate indagini. Riferiva in proposito :”Ci sono stati grossi problemi di prudenza in relazione a procedimenti in corso presso altre giurisdizioni, quale ad esempio il processo per la strage di Bologna in cui per parecchi punti la materia è coincidente. Ci sono collegamenti e coincidenze anche con il processo per la strage del treno Napoli-Firenze-Bologna che è attualmente al dibattimento, collegamenti che risalgono a certi passaggi del “golpe Borghese”, di cui possiamo parlare perché se ne è già parlato nel dibattimento, in cui sicuramente era coinvolta la mafia siciliana. Ciò risulta dalle dichiarazioni convergenti, anche se inconsapevoli, di Buscetta, di Liggio   di Calderone. Ci sono inoltre collegamenti con la presenza di Sindona, sono tutti fatti noti. Questi elementi comportano per l’omicidio Mattarella, se non si vorrà gestire burocraticamente questo processo, la necessità di una indagine molto approfondita che peraltro stiamo svolgendo e che prevediamo non si possa esaurire in tempi brevi”. (Audizione di Giovanni Falcone. Dal resoconto stenografico della seduta del 3 novembre 1988 della Commissione Parlamentare Antimafia).

Questa convinzione fu avvalorata dall’avere lo stesso Falcone. , nel frattempo passato in Procura come Procuratore Aggiunto, firmato, insieme agli altri magistrati che si occupavano delle indagini, la richiesta di rinvio a giudizio di Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini nonchè dei componenti della cupola mafiosa. Falcone e gli altri magistrati della Procura erano infatti fermamente convinti che i due terroristi di estrema destra, membri del Nar, fossero gli esecutori materiali del delitto nell’ambito di una cooperazione tra movimenti eversivi e Cosa Nostra.

Ha riferito poi, di recente Massimo Ciancimino che il padre aveva avuto la conferma, da parte di Bernardo Provenzano che per l’esecuzione dell’omicidio del Presidente della Regione erano stati impiegati terroristi venuti da fuori e che a seguito di tale confidenza il padre aveva sospettato un coinvolgimento dei servizi in quanto riteneva anomalo per Cosa Nostra agire in questo modo.

In particolare dichiarava Massimo Ciancimino ai PM Ingroia e Di Matteo nel luglio del 2015 : “Mio padre diceva che c’era un’anomalia in quell’omicidio, che si erano serviti di manovalanza romana legata ai brigatisti rossi, neri, non mi ricordo che colore era…mio padre apprese da Purpi , questo personaggio dei servizi, che c’era stato uno scambio di favori e chiese spiegazioni a Provenzano come mai in occasione di un eccidio così feroce, così eclatante, non si adoperava la prudenza di lasciare tutto in un territorio stagno, perché rendere partecipi e a conoscenza un’altra organizzazione che ha dei fini che sono completamente diversi dal vostro. Gli fu detto che era uno scambio di favori”

Dell’omicidio Mattarella parlò anche Alberto Volo, militante di estrema destra il quale disse :“L’omicidio Mattarella era stato deciso perché quello di Reina non aveva sortito l’effetto sperato”. Facendo poi riferimento ad un colloquio intervenuto con l’esponente di Terza posizione Ciccio Mangiameli, poi ucciso a Roma dallo stesso Valerio , riferiva Volo “A proposito di una mia precisa domanda, Mangiameli mi disse che l’omicidio Mattarella era stato deciso in casa di Licio Gelli, persona quella di cui sentii fare il nome per la prima volta in quella occasione. Quando gli chiesi chi fosse, Mangiameli rispose che si trattava di uno dei capi della massoneria”

Questa la situazione quale cristallizzata ad oggi a seguito della sentenza definitiva che, come si è detto, ha riconosciuto la responsabilità per il delitto dei soli componenti della cupola mafiosa escludendo qualsiasi partecipazione del Fioravanti e del Cavallini quali esecutori materiali del delitto. Non può però omettersi di rilevare che le dichiarazioni dei pentiti di mafia, che hanno ricondotto esclusivamente alla mafia l’omicidio Mattarella, sono apparse in contrasto tra loro per quanto riguarda l’individuazione dei killer che entrarono in azione, avendo ciascuno di loro indicato soggetti diversi. Nessun esecutore infatti è stato individuato e condannato.

Non si è a conoscenza degli elementi nuovi sopravvenuti che avrebbero giustificato la riapertura delle indagini indirizzando e probabilmente valorizzando la c.d. pista nera o ipotizzando l’intervento nel grave delitto di entità diverse che potrebbero avere avuto un interesse alla eliminazione del Presidente della Regione che era stato, sin dall’inizio del suo mandato, portatore di una linea di rinnovamento e di apertura alla sinistra soprattutto nel delicato settore degli appalti pubblici che è il settore in cui convergono e si saldano gli interessi politico mafiosi, con la conseguente volontà da parte di ben individuati ambienti politici, legati ai vertici della mafia, di interrompere la politica di apertura ai comunisti da Mattarella avviata e prima di lui da Michele Reina.

Da quanto peraltro emerso dalle indagini allora effettuate, anche se non sfociate in un definitivo accertamento giudiziario, non è priva di fondamento la tesi sostenuta da Falcone e dagli altri pubblici ministeri della Procura di Palermo secondo cui sarebbe stato Pippo Calò a fare da tramite tra Cosa Nostra e i terroristi neri per la realizzazione dell’omicidio del presidente della regione siciliana. Sarebbe stato infatti Calò, esponente di spicco della commissione mafiosa, con l’incarico di tenere i rapporti con le altre organizzazioni criminali, ad ingaggiare Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini per l’esecuzione dell’omicidio. I giudici di Palermo definirono Calò “un mafioso atipico” il cui nome compare sempre nelle vicende più torbide del nostro Paese. Ciò costituirebbe la prova della compenetrazione tra terrorismo mafia ed altri organismi e cioè di quella saldatura che, come sostenuto da Falcone, comporterebbe la necessità di una rilettura di tutte le più gravi vicende criminali del nostro paese. Non per nulla, nel corso della sua audizione dinanzi alla Commissione parlamentare antimafia, Falcone evidenziò, come si è visto, collegamenti e coincidenze dell’indagine sull’omicidio Mattarella, con il processo per la strage del treno Napoli-Firenze-Bologna, con il “golpe Borghese”, in cui sicuramente era coinvolta la mafia siciliana, con la presenza di Sindona in Sicilia avvenuta con la collaborazione della mafia e della massoneria.

Io credo che una riapertura delle indagini dovrebbe muoversi nella direzione tracciata da Falcone anche se non potrà non tenersi conto che, per quanto riguarda determinati personaggi, tra cui Valerio Fioravanti, questi ormai, ove dovessero essere accertate responsabilità nei loro confronti, non potranno più essere perseguiti essendo intervenute sentenze passate in giudicato che li hanno definitivamente scagionati.

Fonte: http://www.siciliainformazioni.com/fonso-genchi/369923/2reina-mattarella-moro-stesso-movente-politico