“Abbiamo scelto il nuovo capo del SID”, mi dice Giulio Andreotti, ministro della Difesa. Nel suo ufficio al primo piano di Palazzo Baracchini, in via XX Settembre, non arrivano rumori dall’esterno. Si sente solo un lieve ronzio di telefoni e di macchine operatrici. “E’ l’ammiraglio di squadra Casardi”, precisa. “E’ uno che non si è fatto raccomandare né da partiti né da ministri, come accade purtroppo anche in questioni del genere”. Andreotti apre un cassetto della scrivania e consulta l’annuario della Marina, un fascicolo rilegato dalla copertina azzurra.
Poi conferma: “E’ al limite della sua carriera e il servizio nel SID non potrà aprirgli altri vantaggi”. Sul SID piovono in questi giorni nuove accuse di disfunzioni, inefficienze, omissioni, coperture, complicità con gruppi eversivi.
Nato con un decreto del presidente della Repubblica del novembre 1965 per correggere le deviazioni del SIFAR, il SID sembra averne ripercorso puntualmente la strada.
Quando affiora un fatto torbido, dalle microspie installate da ignoti al palazzo di Giustizia di Roma, al rapimento del magistrato Sossi, dalla chiamata di correo degli ufficiali fascisti della Rosa dei Venti che vantano connessioni nei servizi di sicurezza, alla progressione impressionante dei 450 attentati dinamitardi nel solo 1973, ogni volta dalle nebbie delle indagini emerge il SID, informato ma reticente, presente ma equivoco, implicato nei maneggi devianti rispetto ai suoi compiti istituzionali. I campi paramilitari di Sabina furono denunziati alla Camera fin dal 30 ottobre 1969. Il traffico è continuato indisturbato per 5 anni. Nella tasca del terrorista ucciso, Giancarlo Esposti, è stata trovata la mappa aggiornatissima delle ubicazioni e degli orari dei posti di blocco dei carabinieri nelle zone più calde. Da tutti questi fatti ed episodi non emerge forse la conferma di un intrigo vasto e accuratamente portato avanti, che affonda le sue radici in meccanismi dell’apparato statale, che ne disarma la resistenza e ne inceppa le capacità di difesa e di reazione? E che accade in seno ed al vertice del SID, fulcro dei servizi segreti, costituzionalmente impegnato a garantire la sicurezza nazionale? La risposta è indiretta.
“Il 31 dicembre scorso”, riprende Andreotti, “ha maturato la promozione a generale di corpo d’armata l’attuale capo del SID, Miceli. In questo periodo si liberano due comandi di corpo d’armata, il quinto di stanza a Vittorio Veneto, l’altro a Milano. Il general Miceli vi andrà a ultimare il suo servizio di carriera”.
“Vuoi che ti dica il mio pensiero su alcuni comportamenti del SID?”, chiede Andreotti. “Il memoriale sui piani di Carlo Fumagalli, anello fondamentale della centrale terroristica del MAR, reso pubblico in due puntate dalla stampa di sinistra, l’ho fatto ricercare negli archivi del servizio. E’ risultato che il documento fu redatto da un informatore gratuito del SID che ora lo ha rimesso lui stesso in circolazione. L’informatore, nel frattempo, è passato, infatti, alle dipendenze della direzione affari riservati della PS. Ho chiesto al SID di chiarire tutte le circostanze. E’ stato emesso un comunicato pubblicato da tutti i giornali”, ricorda il ministro della Difesa.
“Il memoriale, a suo tempo, fu trasmesso alla magistratura che istruì un processo. Fumagalli fu, alla fine, prosciolto. Doveva bastare questo esito?”, si chiede Andreotti. “Dal SID mi hanno risposto che questo Fumagalli è stato un partigiano, anche se non comunista. L’ultimo 25 aprile l’hanno visto sfilare in piazza con il fazzoletto rosso al collo. Non potevano dargli addosso, mi dicono al SID. Se, poi, è stato in contatto con Feltrinelli, questo davvero non lo posso dire. A noi non risulta. La verità è che vi è in Italia un ceto ambiguo di eversivi per costituzione, impastati di rabbia e delusione, che è assai difficile da selezionare e quietare. Non è, comunque, da sottovalutare né da trascurare”.
“In un altro caso”, riprende Andreotti, “c’è stato un vero e proprio errore. E’ accaduto a proposito di quel Guido Giannettini, redattore del quotidiano del MSI, incriminato per la strage di Piazza Fontana, tuttora latitante”. In un articolo di fondo sulla rivista l'”Italiano”, Giannettini aveva scritto che “il colpo di Stato è un piatto che va servito caldo”. E infatti, dietro il fragore delle bombe del 12 dicembre 1969, il nome di Giannettini è emerso come quello di un personaggio assai informato, uomo chiave di tutta la sanguinosa vicenda. I giudici milanesi Fiasconaro ed Alessandrini ne parlano diffusamente nella loro requisitoria che accusa Freda e Ventura. Dopo molte esitazioni il SID aveva finalmente consegnato alla magistratura, durante l’inchiesta, un rapporto dal quale risultava con evidenza la pista nera delle bombe”. “E’ stato Giannettini ad informarvi e perché non avete subito dichiarato il contenuto del rapporto?”, chiesero i giudici al SID. “Non possiamo rispondere”, dissero gli uomini del SID, “perché si tratta di un segreto militare”. “Per decidere questo atteggiamento”, riprende Andreotti, “ci fu un’apposita riunione a palazzo Chigi. Ma fu un’autentica deformazione, uno sbaglio grave. Bisognava dire la verità: cioè che Giannettini era un informatore regolarmente arruolato dal SID e puntuale procacciatore di notizie come quella relativa all’organizzazione della strage”. Le parole di Andreotti chiariscono, per la prima volta, questo nodo critico. “Adesso”, prosegue Andreotti, “ho letto un’intervista concessa da Giannettini ad un quotidiano romano. Risulta che si trova a Parigi”. Andreotti guarda verso il telefono diretto, a sinistra della sua poltrona. Poi riprende: “Ho parlato con Beria d’Argentine, capo di gabinetto, che sono riuscito a trovare in sede al ministero della Giustizia. Gli ho chiesto: che diavolo aspettate per chiedere l’estradizione per Giannettini?”. Altro che errore per inefficienza, mi vien fatto di esclamare; qui siamo alla connivenza e all’omertà di stato. “C’è un’inefficienza dello stato da colmare”, ammette Andreotti smorzando il tono. “Di certe cose non sappiamo nulla. Su altre ritarda la verità. Di altre non sappiamo l’essenziale. A certe cose non riusciamo ancora a dare nomi e colore. Troppi compartimenti stagni. Troppi binari morti sui quali certe inchieste vengono instradate. per i servizi di informazione e di polizia non spendiamo certo poco”, osserva Andreotti. “Ma su questo terreno, la produttività statale in fatto di accertamento e denuncia della verità è tanto bassa da sbalordire”.
C’è sempre un’oscura faida fra corpi separati che blocca, distrae al momento opportuno, con comportamenti vari ma di esito univoco. ‘insabbiamento anziché la scoperta completa. “In effetti”, risponde il ministro, “oggi in Italia, al livello delle istituzioni, si sta diffondendo un gioco di società: il gioco dei cerini. E’ il tentativo infantile di chi spera di far passare il cerino di mano in mano, dal SID ai carabinieri, alla polizia, alla magistratura, sperando che solo l’ultima mano si scotti. Il Consiglio dei ministri non coordina, né indirizza. Di conseguenza, ad un cittadino che invade lo stadio olimpico durante una partita vengono dati otto mesi di condanna a tamburo battente, ma del tentativo di golpe Borghese ci siamo quasi dimenticati, senza essere riusciti a sapere se davvero si voleva o poteva fare una nuova marcia su Roma. La pericolosità di certe potenzialità non è passata. L’Italia”, continua Andreotti, “è zeppa di armi illegali come un uovo d’acciaio. Certe polemiche esasperate sul disarmo della polizia hanno di fatto nuociuto alla qualifica tecnica dei corpi. Sull’altro versante, quello delle attività terroristiche, mitra e tritolo spuntano dappertutto, in ogni grotta.
Non a caso le bombe esplodono a Brescia, dove le fabbriche di armi sono a portata di mano. Alla Beretta ho visto fucili mitragliatori leggerissimi tanto da potersi trasportare in borsa. Attentati contemporanei, come quelli sui treni non sono opera casuale allestita da dilettanti”.
Dunque vi è un disegno organico adeguatamente finanziato? “Mi potrò sbagliare”, riprende ancora il ministro della Difesa, “ma io non credo che il pericolo maggiore venga da personaggi come il colonnello Spiazzi che chiama in causa i servizi segreti. Stiamo seguendo con attenzione tutte le indagini giudiziarie e, qui alla Difesa, c’è un apposito ufficio con a capo il generale Malizia che controlla dati e risultanze. Nel complesso i casi nell’esercito risultano limitati, finora circoscritti. In Italia, ci sono certamente ispiratori, esecutori, finanziatori. Ma la manovra parte e viene diretta da più lontano”, conclude Andreotti.
Nel discorso del 10 maggio dell’anno scorso al congresso di Roma della DC hai detto, ricordo ad Andreotti, che le armi vengono anche dall’estero. “Sono tutto’ora convinto”, risponde, “che una centrale fondamentale, che dirige l’attività dei sequestri politici per finanziare i piani d’eversione e che coordina lo sviluppo terroristico su scala anche europea, si trova a Parigi. Probabilmente sotto la sigla di un organismo rivoluzionario. L’ultimo sequestro in Argentina ha fruttato oltre 14 miliardi di lire. Per avere notizie di un sequestrato politico ci si è rivolti a Parigi. L’organizzazione consultata ha chiesto quarantott’ore di tempo ed ha fornito i contatti richiesti”.
Lo interrompe la chiamata roca ed insistente di un telefono. Poi Andreotti torna a guardarmi, aspettando nuove domande. Che pensate di fare?, gli chiedo. “Io stesso ho avanzato proposte legislative da adottare in materia di traffico d’armi e di tritolo e di riorganizzazione dei servizi di informazione e sicurezza. Il nuovo ispettorato è un passo avanti in una direzione che a me sembra giusta. Dobbiamo nominare anche il nuovo comandante della Guardia di Finanza, in sostituzione di quello attuale. La selezione fra gli alti gradi, tra le molte prerogative e fra le diverse qualifiche non è per nulla facile”.
C’è, dunque, una inadeguatezza, una insufficiente determinazione rispetto alla vastità dei problemi, resi più acuti dalla inquietudine profonda del paese, percorso da tensioni sociali difficilmente componibili, animato da spinte di rinnovamento. “E’ vero. Si accumulano problemi specifici, accantonati da decenni. Il dopo referendum è difficile per tutti”, conferma Andreotti. “Io non ho mai pensato che la DC potesse uscire vittoriosa dallo scontro. Avevo proposto il rimedio della legislazione su doppio binario, civile ed ecclesiastico. Mi fu risposto, anche dalla Chiesa, che la posizione era improponibile. Ho replicato che avremmo perduto ed ho sostenuto questa tesi dinnanzi a chi di dovere, al di qua ed al di là del Tevere. Adesso bisogna rivedere, aggiornare, non perdere tempo. L’allarme vale per tutti”.
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Giuseppe Niccolai – “Dal bandito Giuliano al generale Maletti”
Maletti e La Bruna. La grande stampa ha dimenticato che a prendere, fin dall’inizio, le difese di questi due ufficiali del SID fu il PSI, in particolare l’on. Mancini. Quest’ultimo, in occasione del Convegno delle Regioni meridionali svoltosi a Catanzaro il 17-2-1977 ebbe modo di fare pubblica apologia del SID rappresentato da Maletti e La Bruna.
C’è di più. Erano Maletti e La Bruna ad informare l’ex senatore Iannuzzi che, dalle colonne di “Tempo illustrato”, in parallelo con Mancini, combatteva la battaglia per rifare «da sinistra» la verginità di Andreotti con il ripescaggio del cosiddetto golpe Borghese.
Comunque nulla di nuovo sotto il sole. Maletti e La Bruna, fra contorsioni terribili per non dire come stanno le cose, una «costante storica» della Repubblica italiana l’hanno confermata. E cioè che il potere politico di vertice sapeva e sa tutto e, come al solito, per i suoi luridi giochi di potere si è sempre servito di tutti e di tutto: del SID, degli Affari Riservati, della Polizia, dei Carabinieri. E, nel mezzo, squallidi personaggi, ai quali, guitti autentici, per coprire il regime e i personaggi di vertice, si fa assumere il rango di protagonisti.
Ma si tratta di un vecchio copione. Fu utilizzato, per la prima volta, esattamente ventisette anni fa, la mattina del 5 luglio 1950 quando la radio di Stato, alle sette della mattina, trasmise che il bandito Giuliano, « nel tentativo di espatriare con un aereo straniero», era rimasto ucciso in un conflitto a fuoco con i carabinieri guidati dal capitano Parerze.
Tutto falso. Giuliano era stato ucciso nel sonno. E ad ucciderlo era stata la mafia, quella mafia alla quale si chiedeva, per la seconda volta, aiuto. La prima volta per aiutare, d’accordo con il gangsterismo nord americano di origine mafiosa, lo sbarco alleato; la seconda per sbarazzarsi di Giuliano che, divenuto troppo ingombrante per i segreti che custodiva, doveva venire eliminato. Guai se Giuliano fosse stato catturato vivo!
E così fu. Solo che i vertici politici inventarono, per la pubblica opinione italiana, il falso conflitto a fuoco con le forze dell’ordine, conflitto a fuoco che mai ci fu. E se si fa caso che alle spalle di Giuliano vivo c’era una «strage», quella di Portella della Ginestra, e che su questa «strage» la verità non si è mai saputa (sono passati trenta anni!), non è certo azzardato affermare che anche le successive «stragi» (Piazza Fontana, Brescia. Italicus) portano, come caratteristica di fondo, gli stessi ingredienti che emergono in Sicilia 27 anni fa.
Maletti e La Bruna, distributori di passaporti falsi. E perché con Giuliano vivo, non avveniva lo stesso?
Il bandito Ferretti, detto Fra’ Diavolo, pluriomicida, non aveva forse un lasciapassare ufficiale con il quale girava tutta la Sicilia?
SID e Affari Riservati: si accusano. Vicendevolmente. E delle azioni più spaventose. Addirittura di avere piazzato bombe.
Forse che in Sicilia, agli inizi dello Stato repubblicano quando le trame nere non erano di moda come adesso, accadeva qualcosa di diverso?
Polizia e Carabinieri non si ammazzavano… scambievolmente i propri confidenti? E, leggendo i rapporti del generale dei carabinieri Amedeo Branca in relazione ai comportamenti degli Ispettori di polizia Messana e Verdiani che quadro si ha, se non quello di una guerra aperta fra polizia e arma dei carabinieri?
Il Capitano La Bruna dichiara: non parlo più, ne va della mia vita. Forse il clima di 27 anni fa era diverso?
Il luogotenente di Giuliano, Gaspare Pisciotta, che pur era rimasto mesi nascosto in casa di un capitano dei carabinieri a Palermo, non viene raggiunto in carcere dalla «stricnina» perché taccia per sempre?
Afferma il Generale Maletti: fu il Presidente del Consiglio Rumor e i ministri dell’Interno e della Difesa Taviani e Tanassi a far si che il silenzio sui rapporti fra il giornalista Giannettini e il SID fosse mantenuto.
Quale meraviglia? E chi fu ad impedire nel 1950 al Procuratore Generale di Palermo, dott. Pili, di aprire un’inchiesta sulla morte del bandito Giuliano?
E come fu ricompensato il Pili della sua inattività? Non fu nominato dall’on. Restivo, allora Presidente della Regione siciliana, consulente giuridico della regione?
E il caso del giornalista De Mauro? E l’assassinio del Procuratore Scaglione? E la morte misteriosa del petroliere Enrico Mattei?
Tutto cominciò così: luglio 1950. Il sasso in bocca al bandito Giuliano.
Da allora il sasso in bocca continua ad essere piantato in tante bocche.
Stessa tecnica, stessa mano. E la verità continua ad essere assassinata.
“Secolo d’Italia”, 26 luglio 1977
http://www.beppeniccolai.org/
Verbale di confronto On. Andreotti – Amm. Casardi 25.06.1981
Andreotti: confermò l’interrogatorio testé reso, con le precisazioni di tempo e di luogo ivi contenute.
Casardi: Ricevuta lettura di quanto ho dichiarato l’11 novembre scorso al dott. Sica chiarisco che l’inizio degli accertamenti su Foligni si riferisce ad un incarico ricevuto non già agli inizi del 1975 come trovasi verbalizzato ma bensì intorno all’ottobre del 1974. Ritengo essersi trattato di una vera svista pedissequamente riportata nel verbale.
La data dell’ottobre 1974 la ricordo bene perché all’epoca il mandato dell’on. Andreotti a Ministro della Difesa era nel periodo finale. In sostanza il Ministro Andreotti mi chiese di accertare chi fosse questo Foligni e che cosa stesse facendo, e come mai si agitasse tanto. Su questa richiesta impostai l’incarico poi affidato al generale Maletti.
Andreotti: Le rammento che la mia richiesta fece seguito ad un appunto che io avevo ricevuto da parte del suo servizio e in cui si faceva sommario cenno sia al Partito Popolare che ai contatti da lui trattenuti con personale di ambasciate ed esponenti militari.
Casardi: Non conservo memoria di questo appunto, anche se non mi sento di poter escludere con certezza che esso sia esistito. Io ricordo bene che incontrandomi in quella sede con il Ministro Andreotti ebbi tra l’altro ad accennargli che il Foligni intratteneva dei rapporti col personale dell’ambasciata libica per ottenere finanziamenti per il suo movimento tramite affari di importazione di petrolio; aggiunsi a titolo informativo che in tali iniziative il Foligni risultava godere dell’appoggio di Miceli e che era emerso il nome del generale Giudice come di persona cui stava a cuore la delicata posizione in cui all’epoca si trovava il gen. Miceli.
Andreotti: Escludo di aver sentito nominare nella sede anzidetta i nominativi del gen. Miceli e Giudice per bocca dell’Ammiraglio Casardi.
Casardi: l miei ricordi sono nel senso testé riferito. Tali informative furono poi completate qualche mese dopo, quando incaricai il gen. Maletti di informare il Ministro Andreotti sullo sviluppo delle indagini, l’informativa fu data all’on. Andreotti quando non era più Ministro della Difesa. A Domanda dei GG.II. chiarisco che si era deciso di fornire queste ultime informazioni al Ministro Andreotti sebbene egli non reggesse più il Ministero della Difesa, in quanto si trattava dell’esito di un’indagine da lui a suo tempo iniziata.
Andreotti: confermo che nell’incontro dell’aprile del 1975 il Gen. Maletti mi informò soltanto sulla portata del movimento politico promosso dal Foligni senza neppure far cenno dei nominativi del Miceli e del Giudice. Ripeto che né allora né dopo ricevetti informazioni negative sul conto del Gen. Giudice, né alcun accenno alla sua partecipazione alle iniziative assunte dal Foligni.
“Resistere fino all’ultima sigaretta” – L’Espresso 01.12.1974
Roma. Guido Giannettini: 44 anni, amico di Freda, Ventura e Pino Rauti, legami con la destra oltranzista internazionale, teorico della guerra civile e dei colpi di Stato. Dal ’64 al ’67 “informatore” dello Stato Maggiore dalla Difesa, dal ’67 in poi agente tuttofare del SID. Oggi in carcere per la strage di piazza Fontana.
Il curriculum di Giannettini è ormai abbastanza completo. Restava solo un punto da chiarire: le circostanze che hanno deciso quest’uomo a costituirsi il 14 agosto scorso. Si erano avanzati molti interrogativi al proposito. Erano stati i “cervelli” della strage di piazza Fontana a consegnarlo al giudice D’Ambrosio per influenzare le indagini sulle “trame nere”? Giannettini aveva scelto la prigione per paura di essere eliminato dagli “amici” di un tempo? Era la vittima di oscuri giochi di potere ai vertici del SID?
Ma adesso anche questa lacuna può essere riempita. Un informatore ci ha raccontato infatti come sono andate esattamente le cose. Ha potuto seguire l’ultimo capitolo della storia Giannettini passo per passo. Il suo è un contributo più che attendibile. Dunque: Giannettini si allontanava improvvisamente dall’Italia, agli inizi del 1973, quando ancora le indagini sulle bombe di piazza Fontana non lo hanno nemmeno sfiorato. Come mai? “Era stato avvisato di come si mettevano le cose da alcuni amici dei servizi segreti”.
“Dove si rifugia?”. “Fa la spola tra la Svizzera e la Francia. Ma si mette subito in contatto con il SID. Telefona varie volte al capitano Labruna: chiede soldi e un nuovo passaporto per potersi muovere all’occorrenza con più tranquillità. Labruna si consulta con il suo superiore, il generale Maletti e Maletti dà disposizioni precise: ‘Niente soldi, è da un po’ di tempo che Giannettini non ci manda più nulla di interessante. Quanto al passaporto non se ne parla nemmeno. Hanno appena perquisito la sua casa a Milano, si parla di veline compromettenti che riguardano i suoi rapporti con Freda e Ventura. Niente da fare'”.
“E Giannettini?”. “Per un po’ sparisce. Torna a farsi vivo nel giugno del ’73. Telefona a Labruna da Parigi: ‘Ho delle importanti rivelazioni da fare’. Maletti consente che Labruna vada a trovarlo a Parigi. L’appuntamento è ad Orly. Labruna si trova di fronte un Giannettini trasandato, sporco, irriconoscibile, l’aria di un uomo che sta andando ala deriva. Giannettini gli consegna una lunga lettera che contiene più o meno le stesse cose che di lì a poco racconterà ai giornalisti dell'”Espresso” e dell'”Europeo” nelle sue interviste. Niente di nuovo per il SID. La Bruna ne ha tanta pena che di sua iniziativa, dice, gli regala 150 delle 200 mila lire che il SID gli aveva assegnato come fondo spese per il viaggio. Giannettini per un po’ se ne sta buono, poi si rifà vivo al telefono. Siamo a settembre del 1973. Chiede di nuovo un passaporto”.
“E questa volta il SID glielo dà?”. “Maletti è sempre contrario, Miceli è incerto. Dove vorrebbe andare Giannettini?, s’informa Miceli. Sembra in Spagna. Allora, ordina Miceli, informatevi dai servizi spagnoli cosa farebbero nel caso si vedessero arrivare Giannettini. I servizi spagnoli rimangono abbastanza sconcertati di fronte alla domanda: siamo buoni amici, dicono, faremo quello che vorrete. E arriviamo così al gennaio del 1974”.
“All’epoca del mandato di cattura”. “Esatto. Non appena ne ha notizia, Giannettini telefona ancora a Labruna. Guardate che adesso io scappo da Parigi, ma ho preparato per voi un documento eccezionale. In cambio del documento Giannettini chiede qualche milione e il solito passaporto. Si arriva ad un accordo più ristretto: niente passaporto e 400.000 lire. Il 27 aprile di quest’anno Labruna incontra per l’ultima volta Giannettini a Parigi sempre ad Orly e si fa consegnare il dossier che si rivela tutto sommato un ultimo bluff. Subito dopo di Giannettini si perdono le tracce…”.
“Dove era andato?”. “Era riuscito a ‘filtrare’ in Spagna, come voleva. Intanto in Italia scoppia ufficialmente il ‘caso Giannettini’. Miceli il quale ha nascosto al giudice D’Ambrosio che si trattava del collaboratore del SID finisce sotto accusa. D’Ambrosio vuole assolutamente mettere le mani su Giannettini. Ma intanto in Spagna Giannettini è riuscito a far perdere le sue tracce. Il SID non sa più dove sia…”.
“Come viene ritrovato?”. “Per puro caso. Un ufficiale dei servizi segreti spagnoli sente raccontare che alla facoltà di sociologia di Madrid da qualche tempo assiste, come auditore, ai corsi di Vintila Horia, un italiano, un certo Giannettini che recita la parte dello 007 internazionale e spende continuamente nei suoi discorsi il nome del SID. Informati della cosa quelli dell’ufficio D chiedono ai servizi spagnoli di consegnare all’Interpol Giannettini. La risposta è imbarazzata: ci dispiace ma la questione non dipende più da noi… Era successo che nel frattempo il dossier Giannettini era arrivato nientemeno che sul tavolo del generalissimo Franco. C’era stato l’attentato a Carrero Blanco e gli spagnoli avevano saputo che gli attentatori si erano rifugiati in territorio francese. Giannettini era diventato così la pedina di un curioso baratto tra il governo spagnolo e l’Interpol: noi vi diamo Giannettini e voi ci date i baschi che hanno fatto fuori Carrero Blanco… Lo scambio, naturalmente, non va in porto e allora la polizia spagnola prende Giannettini che era stato isolato in un albergo alla periferia di Madrid e per fare un ultimo dispetto all’Interpol gli offre un biglietto aereo per una città di sua scelta. E Giannettini parte per Buenos Aires…”.
“E il SID come lo sa?”. “Il SID viene informato dai servizi spagnoli e incarica l’addetto militare dell’ambasciata italiana a Buenos Aires di contattare Giannettini. Il compito non è difficile. L’ufficiale ha un incontro con Giannettini che si è installato nell’albergo più lussuoso della città. Giannettini gli racconta per filo e per segno la storia delle sue ultime peripezie. L’ufficiale registra tutto. Passano 15 giorni e Giannettini torna a trovarlo, ha perduto tutta la sua sicurezza, anzi è decisamente spaventato. Gli amici sui quali contava a Buenos Aires lo hanno scaricato, non ha più una lira e un conto d’albergo di 1 milione 300 mila lire da pagare. Chiede un prestito. L’ufficiale chiama Maletti gli suggerisce di proporre a Giannettini una resa onorevole: l’ambasciata gli pagherà il conto dell’albergo se accetta di costituirsi. Giannettini non ha più nemmeno i soldi per pagarsi le sigarette. Resiste una settimana. Poi accetta”.
Giuseppe Catalano, L’Espresso 01.12.1974
“Il mattinale – Cefis e il SID” – L’Espresso 04.08.1974
Roma. E’ un volumetto di 93 pagine con una copertina marrone. La copertina non ha un titolo ma un numero: 37, seguito da una data: 22.9.1972. Sia il numero che la data sono importanti. Il numero, perché tutto lascia pensare che si tratti di un numero progressivo, il che vuol dire che di questi volumetti ne esistono quantomeno altri 36.
La data, perché il destinatario del volumetto è il dottor Eugenio Cefis e all’epoca il dottor Cefis è da oltre un anno al posto di comando della Montedison. Autore, compilatore e mittente del volumetto: il SID.
Contenuto: una serie di notizie riservate che evidentemente gli uffici del servizio segreto raccoglievano e spedivano, con scrupolosa regolarità all’indirizzo di Eugenio Cefis.
Che il presidente della Montedison goda in questo paese di una posizione particolare che gli permette di acquisire giornali a ripetizione con il danaro pubblico e di veder insabbiare tutti i processi che lo riguardano, da quello delle intercettazioni telefoniche (fermo ormai da un anno e mezzo) a quello dei “fondi neri” avocato dalla Commissione inquirente, è cosa nota. I rapporti privilegiati della Montedison con il SID, neanche questi rappresentano tanto un mistero. E’ un ex agente del SID, Massimiliano Gritti, braccio destro di Cefis e presidente della Montefibre ossia d’una delle aziende più importanti del gruppo; sono amici di Cefis sia l’ex capo del SID generale Miceli (allontanato in questi giorni dopo le polemiche sulle “piste nere”) che il generale Maletti, capo dell’ufficio D del servizio.
Ma una cosa è avere rapporti privilegiati con il SID e un’altra è disporre del più importante servizio di sicurezza come di una polizia personale a tempo pieno.
Chi ha autorizzato Cefis a servirsi regolarmente del SID e chi ha autorizzato il SID a servire regolarmente Cefis? Con quali fondi è stata pagata questa prestazione: fondi “neri”, danari degli azionisti, soldi di Stato? Quale norma di legge, quale consuetudine istituzionale, concede che al dottor Cefis possa essere permesso quello che tribunali e commissioni parlamentari non hanno concesso neppure al generale De Lorenzo: il potere di raccogliere dossiers riservati utilizzando un organo di polizia che dovrebbe essere solo al servizio dello Stato?
L’on. Andreotti in questi ultimi tempi è stato molto prodigo di informazioni e di assicurazioni sul conto del SID: potrà forse spiegare ora come tutto ciò sia avvenuto e come sia stato consentito. Nessuno ne sapeva niente? Ancora peggio.
Il governo ne era al corrente? lo dica, perché i casi sono due: o Cefis è lo Stato e allora bene fa il SID a mettersi alle sue dipendenze e agli altri non resta che prendere atto della novità, oppure Cefis è soltanto, come dovrebbe essere, il presidente di un’azienda semi-pubblica e allora si è reso colpevole di un atto di cui deve rispondere. E con lui ne devono rispondere gli ufficiali del SID che si sono messi alle sue dipendenze infiltrando per suo conto informatori nei partiti, nei giornali e nelle industrie, e tutti coloro che hanno coperto questa strana attività a mezzadria. Perché sarà difficile dimostrare che di questa attività nessuno ne sapeva niente. Quando nell’ufficio del giudice Squillante, in pieno processo Montedison, fu scoperta una radiospia e fu visto nelle vicinanze un pulmino del SID, fu proprio al SID che la magistratura affidò le indagini.
Non è difficile immaginare la doppia fatica degli agenti costretti ad indagare su se stessi e a compilare ogni giorno rapporti in duplice copia: una per il giudice (la Procura) un’altra per l’imputato (la Montedison). Sono giochi che non si fanno senza “compari”.
Ma fermiamoci al volumetto 37. Contiene 85 “informative” che riguardano uomini politici di ogni colore, ambasciatori, vescovi, esponenti del mondo industriale. Segno che gli interessi di Cefis spaziano su un arco molto ampio e che quando lavora per la Montedison il SID è capace di sforzi che in altre occasioni non gli conoscevamo. Abbiamo scelto le più interessanti. Eccole.
On. Giacomo Mancini (PSI)
Prof. Francesco Forte (ENI)
Progetti
Fonte della Segreteria del PSI segnala che l’on. Giacomo Mancini si sta interessando molto della ristrutturazione dell’ENI e della prossima creazione di tre società finanziarie del gruppo, che assumeranno il controllo dei vari settori produttivi dell’ENI. Mancini vorrebbe che almeno una delle presidenze andasse ad un esponente del PSI, ma non sarebbe alieno a sistemare eventualmente il prof. Forte, sostituendolo con un altro socialista.
On. Francesco De Martino (PSI)
Ing. Raffaele Girotti (ENI)
Affermazioni
Fonte della Segreteria del PSI segnala che l’on. Francesco De Martino, parlando con alcuni amici napoletani, ha affermato di sapere che l’ENI, in questo momento, non solo non lo aiuta, ma fa il possibile per ostacolare la sua vittoria al congresso del PSI. De Martino ha detto che alcuni giornalisti, legati all’ENI, sono stati invitati ad attaccarlo. Non sa però se tali direttive provengono dall’ing. Girotti o da qualche altro “ras” del gruppo.
On.Enrico Manca (PSI)
Ing. Raffaele Girotti (ENI)
Promesse per l’Umbria
Fonte della Segreteria del PSI segnala che l’on. Enrico Manca, in una riunione di partito, ha accusato l’ENI di venir meno alle promesse fatte durante la campagna elettorale in Umbria, quando tali promesse servivano per ottenere voti a favore della DC. Manca sostiene che l’ing. Girotti è venuto meno all’impegno di costruire un nuovo stabilimento della Lebole, che dovrebbe compensare la chiusura dello jutificio ed il nuovo stabilimento per la produzione di tubi di plastica. L’ing. Girotti, non solo ha chiuso lo jutificio di Terni, ma ora ha deciso di chiudere anche lo stabilimento di Papigno che dava lavoro a 540 operai. Nulla si sa, ha poi affermato Manca, dei programmi della Terni Chimica, anch’essa passata al gruppo ENI.
On. Danilo De Cocci (DC)
Indagini su finanziamenti ENI
L’on. Danilo De Cocci sta raccogliendo, negli ambienti romani, informazioni riservate sui contatti fra l’ENI e gli esponenti delle varie correnti della DC. Secondo De Cocci, non una ma tutte le correnti democristiane attingono dai fondi dall’ENI, dell’IRI, eccetera. Non si conosce lo scopo per il quale il parlamentare sta effettuando l’indagine.
On. Giacomo Mancini (PSI)
Dr. Vincenzo Ricucci (SOI-ENI)
Finanziamento
Fonte della Segreteria del PSI segnala che il dr. Vincenzo Ricucci, direttore generale della Società Oleodotti Italiana, SOI, (dell’ENI), finanzia a Civitavecchia (in vista della futura raffineria ENI) la corrente nenniana del PSI per l’attuale campagna pre-congressuale. L’on. Mancini ha saputo di tale sovvenzionamento e vorrebbe appurare se esso si inquadra in una iniziativa del Ricucci oppure in quella più ampia di un “interesse diretto” dell’ENI.
On. Eugenio Peggio (PCI)
Presunte operazioni immobiliari (ENI) a Prato
Indagini
Fonte della Segreteria del PCI segnala che la federazione di Firenze è stata invitata dalla commissione economica (on. Eugenio Peggio) di controllare e riferire sulle “manovre immobiliari” dell’ENI nella zona di Prato. Si chiedono i particolari sull’acquisto, da parte dell’ENI, di un terreno di dieci ettari e sulla prossima vendita di un altro terreno su cui attualmente sorge uno stabilimento tessile del gruppo ENI. Si chiedono innanzitutto i particolari finanziari e gli aspetti politici di tali operazioni.
On. Enrico Berlinguer (PCI)
Presunti contatti ENI con “Il Borghese”
Fonte della segreteria del PCI segnala che l’on. Enrico Berlinguer ha dato incarico all’ufficio stampa del partito di esaminare tutti i numeri del settimanale “Il Borghese”, pubblicati dal 1° gennaio 1970 in poi per registrare le note e gli scritti apparsi a favore dell’ENI e di registrare tutta la pubblicità delle aziende ENI e della Montedison apparsa sulle pagine del periodico. Berlinguer ha chiesto che tale relazione fosse pronta per il 15 ottobre prossimo.
On. Francesco De Martino (PSI)
Richieste Montedison
Considerazioni
Fonte della Segreteria del PSI segnala che, in una riunione di partito, l’on. Francesco De Martino si è pronunciato contro l’accoglimento, da parte del governo, delle richieste del dott. Cefis. Secondo De Martino, la Montedison dovrebbe rinunciare ad occuparsi della chimica, lasciando tale campo interamente all’ENI e alle altre aziende che operano bene in tale settore e sono attive.
On. Ugo La Malfa
Rapporto sui problemi della Montedison
Fonte della Segreteria del PRI segnala che il prof. Tiziano Federighi, membro della direzione del partito e funzionario della Montedison, ha preparato un lungo rapporto riservato sui problemi interni della società. La Malfa lo aveva incaricato di occuparsi dei problemi della Montedison, in relazione al programma delle ricerche di tale società.
On. Angelo Nicosia (MSI)
Indagine parlamentare sul CONI
Fonte diretta a contatto con Attilio Monti segnala che l’on. Angelo Nicosia si è incontrato con l’industriale, al quale ha illustrato la strategia che intende svolgere per provocare la nomina di una commissione parlamentare di indagine sul CONI. Nicosia si dice sicuro che usciranno fuori delle cose enormi ed irregolarità che colpiranno più di un esponente politico. Nicosia ha detto: “Per me Giulio Andreotti e Giulio Onesti sono una persona sola”. Ha detto anche che se si vorrà andare a fondo in merito allo scandalo dell’on. Gargano, si dovrebbe parlare della sua attività di quand’era segretario particolare di Giorgio La Morgia, assessore ai Lavori Pubblici di Roma. La Morgia, Gargano ed Andreotti fanno parte dello stesso “clan” romano.
On. Pino Rauti (MSI)
Dr. Bruno Riffeser
Contatti
Fonte diretta a contatto con Attilio Monti segnala che il dott. Bruno Riffeser si è incontrato nei giorni scorsi a Roma con l’on. Pino Rauti. I due hanno discusso lo sviluppo delle indagini giudiziarie nei confronti di Rauti in merito agli attentati della estrema destra e sulle accuse che sono state formulate a Monti, di aver finanziato il movimento estremista di Pino Rauti. I due hanno concordato che quanto prima si sarebbero rivisti, insieme ad alcuni legali, per essere da questi consigliati.
On. Francesco De Martino (PSI)
Ing. Nino Rovelli
Finanziamento
Funzionario amministrativo del gruppo SIR segnala che l’ing. Nino Rovelli ha versato nei giorni scorsi un aiuto finanziario per la propaganda pre-congressuale della corrente dell’on. Francesco De Martino in Campania.
On. Carlo Molé (DC)
Ing. Nino Rovelli
Opportunismo
Fonte della presidenza del gruppo SIR segnala che l’ing. Nino Rovelli ha dato direttive alla direzione del suo giornale “Nuova Sardegna” di Sassari, di appoggiare e divulgare l’iniziativa dell’on. Carlo Molé affinché i giovani sardi in servizio di leva possano rimanere in Sardegna, e non essere inviati in altre lontane Regioni. Molé ha criticato il fatto che buona parte dei soldati sardi viene inviata addirittura a Trieste o nella Venezia Giulia. Secondo lo stesso Rovelli, egli non si sarebbe disturbato per appoggiare l’iniziativa di Molé, che giudica inopportuna e inconsistente, se non fosse presidente della Commissione parlamentare d’indagine sull’industria chimica italiana.
On. Mauro Ferri (PSDI)
Norman Bain (Shell)
Orientamenti per l’Iva
Fonte della presidenza della Shell Italiana segnala che Norman Bain ha avuto a Roma un lungo colloquio con l’on. Mauro Ferri. Per incarico della “casa madre”, ha chiesto informazioni sugli orientamenti della politica governativa in merito alle società petrolifere, dopo l’entrata in vigore dell’Iva. Ferri ha detto che la questione riguarda la competenza di altri ministeri, ma si è detto in grado di poter assicurare Bain che il governo Andreotti non intende far pesare sulle società petrolifere alcun aumento fiscale, derivante dall’entrata in vigore dell’Iva.
On. Ugo La Malfa (PRI)
On. Francesco Compagna (PRI)
Jean Louis Lehmann (Mobil Oil)
Richiesta di sovvenzionamento
Fonte della Segreteria del PRI segnala che l’on. La Malfa ha dato incarico all’on. Francesco Compagna di chiedere a Jean Louis Lehmann l’aiuto finanziario della Mobil Oil Italiana per la campagna elettorale del PRI in vista delle prossime elezioni amministrative.
On. Mario Zagari (PSI)
Costituzione agenzia stampa “Iniziativa Socialista”
Finanziamento Esso
Fonte diretta segnala che l’on. Mario Zagari ha dato vita ad una nuova agenzia stampa, intitolata “Iniziativa Socialista”. Ha sede a Roma, via Colonna Antonina 35. La dirige, per conto di Zagari, un suo fiduciario, Giorgio Nardi. Zagari ha ricevuto per questa agenzia un aiuto finanziario della Esso Italiana.
Prof. Francesco Forte (ENI)
Alberto Grandi (Montedison)
Notizie
Fonte della Segreteria del PSI segnala che il prof. Francesco Forte, parlando con appartenenti alla sezione economica del partito, ha affermato che Alberto Grandi, il quale ha lasciato nei giorni scorsi l’ENI per passare alla Montedison, punta ad ottenere dal dott. Cefis l’incarico di amministratore delegato della Montedison. Alcuni grossi azionisti privati della Montedison cercherebbero di impedire tale nomina.
Ing. Renato Lombardi (Confindustria)
Dr. Vincenzo Cazzaniga
Nomina presidente dell’UCID
Considerazioni
Fonte della presidenza della Confindustria segnala che l’Ing. Renato Lombardi ha affermato che la nomina del dott. Vincenzo Cazzaniga, oggi alto dirigente di una delle società del gruppo Montedison, a nuovo presidente dell’UCID, è la migliore prova dell’alta considerazione di cui Cazzaniga gode negli ambienti vaticani. La UCID è una “opera” dell’Azione cattolica italiana, che riunisce i dirigenti industriali di dichiarata fede cattolica. L’assistente ecclesiastico generale dell’UCID è il cardinale Siri, mentre assistente ecclesiastico della sezione romana è mons. Agostino Casaroli, che dirige la diplomazia pontificia. Investito di questo nuovo incarico, Cazzaniga avrà maggiori possibilità di operare, servendosi anche di autorevoli appoggi vaticani.
Dr. Gianni Agnelli
Dr. Alessandro Alessandri (Standa)
Standa
Industriale milanese segnala che, secondo il dott. Alessandro Alessandri, segretario generale della Standa, Gianni Agnelli continua ad interessarsi della situazione della Standa e dei suoi problemi, perché vorrebbe comperare tale società. Agnelli, secondo Alessandri, sarebbe disposto a tale acquisto, pagandone l’importo con le azioni Montedison che sono nelle sue mani.
Cottafavi (Ambasciatore a Teheran)
Polemico verso l’ENI
Fonte del Ministero Affari Esteri segnala che, in merito alla nomina dell’ex capo di gabinetto dell’on. Moro, Cottafavi, a nuovo ambasciatore dell’Italia a Teheran, risulta che egli è piuttosto polemico verso la politica filo-araba dell’ENI. Cottafavi risulta legato ad Attilio Monti e agli interessi petroliferi della BP. Tali affermazioni sono state controllate e sono risultate vere.
Bozzini (Capo gabinetto del MAE)
Avverso all’ENI
Fonte del ministero Affari Esteri segnala che il sen. Medici ha nominato capo gabinetto il ministro plenipotenziario dr. Bozzini. Bozzini doveva permanere a Damasco, in qualità di ambasciatore. E’ un esperto dei problemi del Medio Oriente. Non è amico dell’ENI.
Dr. Antonio De Bonis (Centro relazioni italo-arabe)
Contatti con l’ambasciata siriana a Roma
ENI
Fonte diretta specializzata segnala che il dott. De Bonis, funzionario del “Centro per le relazioni italo-arabe” di Roma, prepara settimanalmente una relazione sui rapporti internazionali dell’ENI, per conto dell’ambasciata siriana a Roma. Egli tiene i contatti con il diplomatico Hafez Al Jamali. Ultimamente De Bonis ha accompagnato il diplomatico siriano, durante un viaggio in Sicilia.
Scv. Mons. Felice Bonomini (Vescovo di Como)
Dott. Eugenio Cefis
Fonte della Segreteria di Stato vaticana segnala che il vescovo di Como, mons. Felice Bonomini, ha compiuto un passo presso i parlamentari democristiani della zona di Como, invitandoli ad adoperarsi affinché il governo accetti le richieste finanziarie della presidenza della Montedison. Secondo mons. Bonomini, il piano del dott. Cefis è l’unico in grado di creare nuovi posti di lavoro. Mons. Bonomini ha inviato anche una lettera in tal senso al Vaticano, chiedendo il suo intervento presso le autorità governative, “nei modi più opportuni”.
Attilio Monti
Prof. Luigi Gedda
Contatti e sovvenzione
Fonte diretta a contatto con Attilio Monti segnala che l’industriale ha fissato un contatto “permanente” tra lui e il prof. Luigi Gedda, Presidente del Comitato Civico Nazionale, cui Monti versa mensilmente, dal 1° settembre, la somma di un milione di lire. Il contatto viene svolto da Angelo Berti, che fa parte del direttivo dei “circoli Mario Fani”, una organizzazione politico religiosa costituita qualche anno fa da Gedda. Berti è componente anche del direttivo nazionale della Federazione nazionale stampa italiana.
Ing. Aldo Sala
Movimenti al MAE: ambasciatore Sensi al Quirinale
Staderini ambasciatore a Madrid
(Relazione ad Esso/Europe)
Fonte della presidenza della Esso Italiana segnala che l’ing. Aldo Sala ha trasmesso alla Esso/Europe di Londra una relazione nella quale si afferma il prossimo trasferimento da Mosca dell’ambasciatore italiano Sensi. L’ing. Sala lo considera uomo troppo legato all’ENI. Secondo Sala l’ambasciatore Sensi sarebbe nominato consigliere diplomatico del presidente LEone, in sostituzione di Staderini, che sarà nominato ambasciatore d’Italia a Madrid.
Ing. Diego Guicciardi (Shell)
Finanziamenti Shell
a partiti politici a Trieste
Fonte della presidenza della Shell italiana segnala che l’ing. Diego Guicciardi (consigliere di amministrazione della società) è stato incaricato dalla presidenza di occuparsi del problema dei finanziamenti ai partiti politici di Trieste, in vista delle elezioni amministrative del prossimo mese di novembre.
Luigi D’Amato (“Il Fiorino” – “Vita”)
Collaborazione con la Henkel tedesca
Industriale milanese segnala che la Henkel tedesca ha raggiunto un accordo con l’ex deputato DC Luigi D’Amato, il quale appoggerà gli interessi della Henkel in Italia. D’Amato ha ricevuto un “premio di contratto” di 20 milioni di lire, più un assegno mensile di 2 milioni, per fornire notizie e attivare una continua pubblicità sulla stampa da lui diretta. L’informativa della fonte milanese è stata subito confermata dalla fonte diretta che controlla D’Amato e che ha fornito precise informative nel passato, quando questi attivava la campagna anti-ENI pagata dall’ing. Valerio.
Scv: indagine sul gruppo finanziario Charles Forte-Montedison
Fonte della Segreteria di Stato vaticana segnala che, da una indagine della Prefettura affari economici della S. Sede, risulta che da parte del gruppo finanziario britannico che fa capo a Charles Forte, uomo d’affari italo-britannico, è in corso l’acquisto in borsa delle azioni delle società chimiche e farmaceutiche italiane, la Pierrel e la Bracco. Secondo la fonte, esiste anche un chiaro interesse britannico per l’acquisto di azioni dei grandi magazzini italiani, specialmente della Rinascente. Il gruppo britannico tiene d’occhio anche la possibilità di impossessarsi della Standa, se la Montedison dovesse decidere la vendita di tale società.
Questi i risultati della collaborazione tra Cefis e il SID. Risultati che Cefis deve considerare più che soddisfacenti: ci sono le prove che la collaborazione va avanti fin da quando era presidente dell’ENI. Tutto questo merita alcune considerazioni finali.
1. La raccolta di notizie fornita dal SID a Cefis, anche se a volte si tratta di notizie di importanza relativa, è imponente: quanti uomini del SID erano o sono ancora distaccati alle sue dipendenze? Sarebbe curioso venire a sapere che le trame di estrema destra hanno meritato meno attenzione dei pensieri segreti dell’on. De Martino.
2. Le notizie raccolte ubbidiscono al criterio solito di ogni spionaggio, individuare i nemici potenziali di chi le ha ordinate e i loro eventuali punti deboli. Basta pensare alla campagna scatenata contro i socialisti sui fogli di estrema destra per capire che uso possa essere stato fatto del lavoro del SID.
3. La prima regola dello spionaggio è che si archiviano solo le cose meno compromettenti, le altre si distruggono. Quante notizie riservate di ben altra portata di quelle contenute nel fascicolo 37 avrà ricevuto Cefis dal SID fino ad oggi, e come le avrà utilizzate per ottenere vantaggi per sé o per i suoi amici?
4. Gli informatori non vengono citati nei “mattinali”. Può anche darsi che il SID in alcuni casi abbia spacciato entrature politiche inesistenti o abbia venduto a Cefis fonti millantate. Questo non cambia, semmai aggrava, la pericolosità del rapporto.
Giuseppe Catalano – L’Espresso 04.08.1974
Aldo Moro – dichiarazioni 21.03.1975
Al di fuori delle strutture ufficiali del S.I.D. o all’interno di tale organismo, seppure in forme occulte ai responsabili dei reparti, ovviamente non esiste e non è esistita una organizzazione del tipo specificato nelle imputazioni, come pure servizi, unità o gruppi di lavoro, in qualsiasi modo strutturati, ai quali sarebbero stati affidati anche compiti il cui svolgimento avrebbe avuto attinenza con i fatti per i quali’ si procede,oppure compiti non inerenti alla sicurezza interna o internazionale dello Stato.
In particolare, e con riferimento alle discolpe rese da alcuni imputati, cui la S.V. ha fatto riferimento, escludo che esista o sia esistita una organizzazione occulta, composta da militari e civili, o di soli militari, per compiti non istituzionali.
LCS
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