Giuseppe Niccolai – “Dal bandito Giuliano al generale Maletti”

Maletti e La Bruna. La grande stampa ha dimenticato che a prendere, fin dall’inizio, le difese di questi due ufficiali del SID fu il PSI, in particolare l’on. Mancini. Quest’ultimo, in occasione del Convegno delle Regioni meridionali svoltosi a Catanzaro il 17-2-1977 ebbe modo di fare pubblica apologia del SID rappresentato da Maletti e La Bruna.
C’è di più. Erano Maletti e La Bruna ad informare l’ex senatore Iannuzzi che, dalle colonne di “Tempo illustrato”, in parallelo con Mancini, combatteva la battaglia per rifare «da sinistra» la verginità di Andreotti con il ripescaggio del cosiddetto golpe Borghese.
Comunque nulla di nuovo sotto il sole. Maletti e La Bruna, fra contorsioni terribili per non dire come stanno le cose, una «costante storica» della Repubblica italiana l’hanno confermata. E cioè che il potere politico di vertice sapeva e sa tutto e, come al solito, per i suoi luridi giochi di potere si è sempre servito di tutti e di tutto: del SID, degli Affari Riservati, della Polizia, dei Carabinieri. E, nel mezzo, squallidi personaggi, ai quali, guitti autentici, per coprire il regime e i personaggi di vertice, si fa assumere il rango di protagonisti.
Ma si tratta di un vecchio copione. Fu utilizzato, per la prima volta, esattamente ventisette anni fa, la mattina del 5 luglio 1950 quando la radio di Stato, alle sette della mattina, trasmise che il bandito Giuliano, « nel tentativo di espatriare con un aereo straniero», era rimasto ucciso in un conflitto a fuoco con i carabinieri guidati dal capitano Parerze.
Tutto falso. Giuliano era stato ucciso nel sonno. E ad ucciderlo era stata la mafia, quella mafia alla quale si chiedeva, per la seconda volta, aiuto. La prima volta per aiutare, d’accordo con il gangsterismo nord americano di origine mafiosa, lo sbarco alleato; la seconda per sbarazzarsi di Giuliano che, divenuto troppo ingombrante per i segreti che custodiva, doveva venire eliminato. Guai se Giuliano fosse stato catturato vivo!
E così fu. Solo che i vertici politici inventarono, per la pubblica opinione italiana, il falso conflitto a fuoco con le forze dell’ordine, conflitto a fuoco che mai ci fu. E se si fa caso che alle spalle di Giuliano vivo c’era una «strage», quella di Portella della Ginestra, e che su questa «strage» la verità non si è mai saputa (sono passati trenta anni!), non è certo azzardato affermare che anche le successive «stragi» (Piazza Fontana, Brescia. Italicus) portano, come caratteristica di fondo, gli stessi ingredienti che emergono in Sicilia 27 anni fa.
Maletti e La Bruna, distributori di passaporti falsi. E perché con Giuliano vivo, non avveniva lo stesso?
Il bandito Ferretti, detto Fra’ Diavolo, pluriomicida, non aveva forse un lasciapassare ufficiale con il quale girava tutta la Sicilia?
SID e Affari Riservati: si accusano. Vicendevolmente. E delle azioni più spaventose. Addirittura di avere piazzato bombe.
Forse che in Sicilia, agli inizi dello Stato repubblicano quando le trame nere non erano di moda come adesso, accadeva qualcosa di diverso?
Polizia e Carabinieri non si ammazzavano… scambievolmente i propri confidenti? E, leggendo i rapporti del generale dei carabinieri Amedeo Branca in relazione ai comportamenti degli Ispettori di polizia Messana e Verdiani che quadro si ha, se non quello di una guerra aperta fra polizia e arma dei carabinieri?
Il Capitano La Bruna dichiara: non parlo più, ne va della mia vita. Forse il clima di 27 anni fa era diverso?
Il luogotenente di Giuliano, Gaspare Pisciotta, che pur era rimasto mesi nascosto in casa di un capitano dei carabinieri a Palermo, non viene raggiunto in carcere dalla «stricnina» perché taccia per sempre?
Afferma il Generale Maletti: fu il Presidente del Consiglio Rumor e i ministri dell’Interno e della Difesa Taviani e Tanassi a far si che il silenzio sui rapporti fra il giornalista Giannettini e il SID fosse mantenuto.
Quale meraviglia? E chi fu ad impedire nel 1950 al Procuratore Generale di Palermo, dott. Pili, di aprire un’inchiesta sulla morte del bandito Giuliano?
E come fu ricompensato il Pili della sua inattività? Non fu nominato dall’on. Restivo, allora Presidente della Regione siciliana, consulente giuridico della regione?
E il caso del giornalista De Mauro? E l’assassinio del Procuratore Scaglione? E la morte misteriosa del petroliere Enrico Mattei?
Tutto cominciò così: luglio 1950. Il sasso in bocca al bandito Giuliano.
Da allora il sasso in bocca continua ad essere piantato in tante bocche.
Stessa tecnica, stessa mano. E la verità continua ad essere assassinata.

“Secolo d’Italia”, 26 luglio 1977
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Giannettini Guido – dichiarazioni 19.02.1990

Nel novembre ‘73 mi trovavo in Francia, a Parigi, in stato di irreperibilita’ in Italia. Cola’ mi ero recato nell’ aprile dello stesso anno per sfuggire alle ricerche del GI di Milano D’Ambrosio per i fatti di Piazza Fontana.
Ero collaboratore del Sid sin dal 1966, 1967 e fui contattato da un ufficiale del capo di Stato Maggiore della Difesa Aloja, generale Stefani, che mi presento’ all’ ufficio “D” all’ epoca retto da Viola che all’ epoca era temporaneamente sostituito da un altro ufficiale che poi mi presento’ al predetto, col. Fiorani.
Indi comincio’ la mia collaborazione esterna, fonte retribuita, e sempre in ambito ufficio D, cui fornivo anche notizie su situazioni di paesi esteri, poi devolute all’ ufficio “R”, ricerca all’estero.
Conobbi indi Gasca Queirazza, mi rapportavo direttamente a lui e pertanto, in tempi successivi, collaborai anche col gen. Maletti, che, verso la fine del 1972 o inizio del 1973, mi presento’ al suo sottoposto cap Labruna, alias dr Brandolesi.
Il passaggio del contatto fu deciso a seguito di alcune indiscrezioni comparse sui giornali a fine 1972 circa i miei contatti col gruppo veneto di Freda.

Adr: nulla so circa la caduta del velivolo militare Argo 16, avvenuta a Marghera il 23.11.73.

Adr: nell’agosto ‘74 mi consegnai all’ ambasciata italiana a Buenos Aires.

Adr: con Labruna, dipendente del Maletti, ho intrattenuto piu’ contatti fino all’aprile ‘74, anche in Parigi; transitai in Spagna nel giugno successivo, quivi arrestato dalla Seguridade e indi come ospite libero, e poi, a causa di una fuga di notizie avvenuta in Francia, il dirigente della brigata politico “social” consenti’ il mio espatrio verso l’ argentina, paese da me scelto. Qui non avvenne il contatto con i servizi in loco cosi’ come promessomi da Madrid perche’ seppi che il Sid aveva consigliato i madrileni di “non ostacolarmi e di non aiutarmi”.

Adr: a Labruna, per l’ inoltro al generale Maletti, consegnavo anche relazioni dattiloscritte. Effettivamente ebbi a consegnare, mi pare a Parigi, al Labruna una relazione sui fatti retrostanti il “Golpe Borghese”.

Mi viene mostrata la relazione dattiloscritta acquisita dalla sv di cui al verbale Labruna: la riconosco come da me stilata e dattiloscritta, confermo che la nota allegata era costituita da un appunto ad hoc, pure da me dattiloscritto, riguardante “l’ ammiraglio YW” e cioe’ il Torrisi, che, all’ epoca del Golpe, mi pare fosse capitano di vascello e comunque preciso che, in gergo, si adopera il termine ammiraglio anche per soggetti che rivestono un grado inferiore, da contrammiraglio in poi.

Adr: l’ ufficio indicato come “YYY” se ricordo bene era l’ ufficio Operazioni.

Adr: alla fase dibattimentale svoltasi presso la corte di assise di Catanzaro, nel 1977-1978, io addussi, a fronte di un accenno del Labruna o del Maletti circa una relazione da me stilata e a lui consegnata, concernente il Golpe Borghese, che non ricordavo la circostanza. Anzi addirittura la esclusi. A domanda sul motivo per il quale solo in ordine all’ “ammiraglio” apposi la dicitura “vedi nota” rispondo che solo di questo ufficiale ero a conoscenza del nome.

Adr: effettivamente, come la sv mi rappresenta, la “nota” stilata a parte era stata organizzata da me in funzione oggettiva di una eventuale censura del capo del reparto D, Maletti, vista la delicatezza dell’ incarico gia’ all’ epoca rivestito dal Torrisi.

Adr: circa i rapporti diretti tra il capo dell’ Ufficio Affari Riservati dr D’ Amato ed il Delle Chiaie, ebbe a parlarmene il giornalista, collaboratore de “Il Tempo” e di altri giornali, Beltrametti Edgardo, deceduto, cosi’ come anche altri colleghi. Ricordo che anche il cap. Labruna mi addusse che il D’ Amato era in rapporto con Delle Chiaie, “manovrato” dal predetto e dal suo ufficio, ritengo attraverso finanziamenti. Dagli anni ‘60 in poi era arcinoto, negli ambienti politici e giornalistici, che D’Amato manipolava Delle Chiaie e la struttura di AN, di cui il Delle Chiaie era il dirigente.

Adr: secondo i miei ricordi, del Torrisi e delle sue attivazioni circa il Golpe me ne parlo’ un amico del costruttore Orlandini, gia’ mercenario in Africa, residente all’ epoca in Manziana, gia’ militante del Msi, collaboratore di uffici di vertice, Generali Enzo che non vedo dal 1972 e di cui non ho avuto piu’ notizie. Col predetto eravamo amici e avevamo lavorato insieme, collegandoci alla destra francese, Oas, nonche’ alla Spagna di Franco: erano contatti che intrattenevamo insieme, volti alla creazione di un centro anticomunista a carattere europeo.

Adr: l’ appunto ad hoc sul Torrisi recava, in chiaro, il nome e cognome dell’ ufficiale e il ruolo da lui rivestito all’ epoca delle riunioni segrete. Non ricordo ulteriori particolari. Sostengo che al reparto D non vi era preesistente un codice circa le sigle da me impiegate nelle relazioni.

“Resistere fino all’ultima sigaretta” – L’Espresso 01.12.1974

Roma. Guido Giannettini: 44 anni, amico di Freda, Ventura e Pino Rauti, legami con la destra oltranzista internazionale, teorico della guerra civile e dei colpi di Stato. Dal ’64 al ’67 “informatore” dello Stato Maggiore dalla Difesa, dal ’67 in poi agente tuttofare del SID. Oggi in carcere per la strage di piazza Fontana.
Il curriculum di Giannettini è ormai abbastanza completo. Restava solo un punto da chiarire: le circostanze che hanno deciso quest’uomo a costituirsi il 14 agosto scorso. Si erano avanzati molti interrogativi al proposito. Erano stati i “cervelli” della strage di piazza Fontana a consegnarlo al giudice D’Ambrosio per influenzare le indagini sulle “trame nere”? Giannettini aveva scelto la prigione per paura di essere eliminato dagli “amici” di un tempo? Era la vittima di oscuri giochi di potere ai vertici del SID?
Ma adesso anche questa lacuna può essere riempita. Un informatore ci ha raccontato infatti come sono andate esattamente le cose. Ha potuto seguire l’ultimo capitolo della storia Giannettini passo per passo. Il suo è un contributo più che attendibile. Dunque: Giannettini si allontanava improvvisamente dall’Italia, agli inizi del 1973, quando ancora le indagini sulle bombe di piazza Fontana non lo hanno nemmeno sfiorato. Come mai? “Era stato avvisato di come si mettevano le cose da alcuni amici dei servizi segreti”.
“Dove si rifugia?”. “Fa la spola tra la Svizzera e la Francia. Ma si mette subito in contatto con il SID. Telefona varie volte al capitano Labruna: chiede soldi e un nuovo passaporto per potersi muovere all’occorrenza con più tranquillità. Labruna si consulta con il suo superiore, il generale Maletti e Maletti dà disposizioni precise: ‘Niente soldi, è da un po’ di tempo che Giannettini non ci manda più nulla di interessante. Quanto al passaporto non se ne parla nemmeno. Hanno appena perquisito la sua casa a Milano, si parla di veline compromettenti che riguardano i suoi rapporti con Freda e Ventura. Niente da fare'”.
“E Giannettini?”. “Per un po’ sparisce. Torna a farsi vivo nel giugno del ’73. Telefona a Labruna da Parigi: ‘Ho delle importanti rivelazioni da fare’. Maletti consente che Labruna vada a trovarlo a Parigi. L’appuntamento è ad Orly. Labruna si trova di fronte un Giannettini trasandato, sporco, irriconoscibile, l’aria di un uomo che sta andando ala deriva. Giannettini gli consegna una lunga lettera che contiene più o meno le stesse cose che di lì a poco racconterà ai giornalisti dell'”Espresso” e dell'”Europeo” nelle sue interviste. Niente di nuovo per il SID. La Bruna ne ha tanta pena che di sua iniziativa, dice, gli regala 150 delle 200 mila lire che il SID gli aveva assegnato come fondo spese per il viaggio. Giannettini per un po’ se ne sta buono, poi si rifà vivo al telefono. Siamo a settembre del 1973. Chiede di nuovo un passaporto”.
gianadelio-maletti2“E questa volta il SID glielo dà?”. “Maletti è sempre contrario, Miceli è incerto. Dove vorrebbe andare Giannettini?, s’informa Miceli. Sembra in Spagna. Allora, ordina Miceli, informatevi dai servizi spagnoli cosa farebbero nel caso si vedessero arrivare Giannettini. I servizi spagnoli rimangono abbastanza sconcertati di fronte alla domanda: siamo buoni amici, dicono, faremo quello che vorrete. E arriviamo così al gennaio del 1974”.
“All’epoca del mandato di cattura”. “Esatto. Non appena ne ha notizia, Giannettini telefona ancora a Labruna. Guardate che adesso io scappo da Parigi, ma ho preparato per voi un documento eccezionale. In cambio del documento Giannettini chiede qualche milione e il solito passaporto. Si arriva ad un accordo più ristretto: niente passaporto e 400.000 lire. Il 27 aprile di quest’anno Labruna incontra per l’ultima volta Giannettini a Parigi sempre ad Orly e si fa consegnare il dossier che si rivela tutto sommato un ultimo bluff. Subito dopo di Giannettini si perdono le tracce…”.
“Dove era andato?”. “Era riuscito a ‘filtrare’ in Spagna, come voleva. Intanto in Italia scoppia ufficialmente il ‘caso Giannettini’. Miceli il quale ha nascosto al giudice D’Ambrosio che si trattava del collaboratore del SID finisce sotto accusa. D’Ambrosio vuole assolutamente mettere le mani su Giannettini. Ma intanto in Spagna Giannettini è riuscito a far perdere le sue tracce. Il SID non sa più dove sia…”.
“Come viene ritrovato?”. “Per puro caso. Un ufficiale dei servizi segreti spagnoli sente raccontare che alla facoltà di sociologia di Madrid da qualche tempo assiste, come auditore, ai corsi di Vintila Horia, un italiano, un certo Giannettini che recita la parte dello 007 internazionale e spende continuamente nei suoi discorsi il nome del SID. Informati della cosa quelli dell’ufficio D chiedono ai servizi spagnoli di consegnare all’Interpol Giannettini. La risposta è imbarazzata: ci dispiace ma la questione non dipende più da noi… Era successo che nel frattempo il dossier Giannettini era arrivato nientemeno che sul tavolo del generalissimo Franco. C’era stato l’attentato a Carrero Blanco e gli spagnoli avevano saputo che gli attentatori si erano rifugiati in territorio francese. Giannettini era diventato così la pedina di un curioso baratto tra il governo spagnolo e l’Interpol: noi vi diamo Giannettini e voi ci date i baschi che hanno fatto fuori Carrero Blanco… Lo scambio, naturalmente, non va in porto e allora la polizia spagnola prende Giannettini che era stato isolato in un albergo alla periferia di Madrid e per fare un ultimo dispetto all’Interpol gli offre un biglietto aereo per una città di sua scelta. E Giannettini parte per Buenos Aires…”.
“E il SID come lo sa?”. “Il SID viene informato dai servizi spagnoli e incarica l’addetto militare dell’ambasciata italiana a Buenos Aires di contattare Giannettini. Il compito non è difficile. L’ufficiale ha un incontro con Giannettini che si è installato nell’albergo più lussuoso della città. Giannettini gli racconta per filo e per segno la storia delle sue ultime peripezie. L’ufficiale registra tutto. Passano 15 giorni e Giannettini torna a trovarlo, ha perduto tutta la sua sicurezza, anzi è decisamente spaventato. Gli amici sui quali contava a Buenos Aires lo hanno scaricato, non ha più una lira e un conto d’albergo di 1 milione 300 mila lire da pagare. Chiede un prestito. L’ufficiale chiama Maletti gli suggerisce di proporre a Giannettini una resa onorevole: l’ambasciata gli pagherà il conto dell’albergo se accetta di costituirsi. Giannettini non ha più nemmeno i soldi per pagarsi le sigarette. Resiste una settimana. Poi accetta”.

Giuseppe Catalano, L’Espresso 01.12.1974

“Parola del Sid” – Panorama 26.06.1975 – prima parte

Siglando con una G e una A, le iniziali del suo nome, la lettera di quat­tro cartelle indirizzata al procuratore capo della Repubblica di Roma Elio Siotto, il ministro della Difesa Giulio Andreotti ebbe un momento di indecisione nonostante la sua proverbiale freddezza di nervi. Rivolgendosi a Giorgio Ceccherini, suo braccio destro da sempre, mormorò: « Qui scoppia il finimondo ».

Erano le 11 del mattino del 15 set­tembre 1974. Per la prima volta nella storia della Repubblica italiana un ministro in carica forniva ufficialmente alla magistratura le prove di un tentativo di colpo di Stato che avreb­be dovuto rovesciare nel sangue il regime democratico.

Le prove erano contenute in 30 cartelle accluse alla lettera, rimaste sino a oggi segrete, che narrano la storia completa di quella che nella cronaca politica degli anni Settanta e conosciuta come la congiura golpista di Junio Valerio Borghese. A dare il rapporto ad Andreotti era stato il generale Gian Adelio Maletti, capo dell’ufficio D del Sid, una sezione del con­trospionaggio composta da 13 uomini guidati dal capitano dei carabinieri Antonio Labruna.

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Nella lettera che accompagnava il documento, Andreotti era esplicito. Confermava la gravità dei « temuti fatti », sollecitava un intervento massiccio della magistratura contro i congiurati i cui nomi figuravano nel rapporto del servizio segreto, anche se « pur avendo criticamente selezionato le notizie acquisite, il Sid non poteva assumere la garanzia di corrispondenza al vero ». E concludeva consigliando gli organi di polizia giudiziaria a « verificare e sviluppare autonomamente » gli « indizi » raccolti dal Sid. Battute in bella copia con una macchina dai grandi caratteri, le 30 cartelle fitte di nomi e cognomi raccontano la storia autentica di come nacque e si sviluppò la strategia dei congiurati, di come fallì l’occupazione del ministero dell’Interno la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, sino alla recente riorganizzazione della congiura dopo la morte di Borghese.

Sino a oggi, oltre che da Andreot­ti e dai magistrati che dirigono l’inchiesta sul tentato golpe, il famoso rapporto del Sid è stato letto soltanto dal comandante dei carabinieri Enrico Mino, da quello della Finanza Raffaele Giudice, dall’ex-presidente del Consiglio Mariano Rumor, dall’attuale presidente Aldo Moro e dal capo dello Stato Giovanni Leone. Adesso Panorama lo pubblica. Il rapporto abbraccia un arco di tempo che va dal 1968 al 1974. È composto da quattro fascicoli, due dei quali presentati sotto forma di allegati (A e B). Il primo fascicolo con­tiene la storia dell’organizzazione e poi del tentato golpe della notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 da parte del Fronte nazionale di Valerio Borghese: il secondo (allegato A), i rapporti tra il Fronte nazionale e Avanguardia na­zionale, il gruppo nazifascista guidato da Stefano Delle Chiaie, e la parte che questo gruppo ebbe nel golpe. Questi due primi fascicoli Panorama pubblica in questo numero. Il terzo e il quarto saranno pubblicati la setti­mana prossima. Il terzo (allegato B), contiene le vicende del dopo golpe e gli agganci del Fronte nazionale con la Rosa dei venti e col Movimento azione rivoluzionaria (Mar) di Carlo Fumagalli; il quarto e ultimo fascicolo svela una serie di progettate azioni dinamitarde e attentati alla vita di leader politici e sindacali.

Panorama pubblicherà nel prossimo numero anche un quinto documento. Fu consegnato direttamente dal Sid alla magistratura romana nell’ot­tobre 1974, senza passare ufficialmente dalle mani di Andreotti. Contiene notizie riguardanti la riorganizzazione del Fronte nazionale e una nuova « Intesa » con Avanguardia nazionale, assieme a ennesimi progetti di attentati e uccisioni per raggiungere il fine di sempre: gettare il paese nel caos e scatenare la guerra civile.

Romano Cantore – Panorama 26.061975

Lettera del Ministro Andreotti al procuratore Siotto – 15.09.1974

Chiarissimo Dottore,

sui primi del luglio di quest’anno il generale Miceli mi rendeva noto che il Sid aveva condotto a termine una vasta raccolta informativa sui temuti fatti eversivi del dicembre 1970, attorno ai quali sono tuttora aperte le indagini istruttorie della Magistratura romana.
Nel corso di questa ricerca il Servizio aveva raccolto anche la voce che nell’imminente mese di agosto sarebbe stata tentata nuovamente qualcosa del genere.

Senza indugi venivano informati di quest’ultima prospettiva il Comandante dell’Arma e il Capo della Polizia, nonché gli organi militari perché evitassero un eccessivo alleggerimento di forze nel periodo indicato, usualmente destinato a ferie quasi universali.

Poiché peraltro lo stesso generale Miceli dichiarava che l’attendibilità delle fonti non era ancora valutabile, invitavo lo stesso generale ed il suo successore ammiraglio Casardi (per alcune settimane vi è stato l’affiancamento nel comando) ad approfondire con i mezzi disponibili la rilevazione eseguita, dovendo il Sid evitare il contrap­posto errore: di non trasmettere agli inquirenti ogni ele­mento utile per fare giustizia e, viceversa, di trasmettere carte non controllate ed aventi quindi la squallida fragilità delle anonime. Perché tale cernita fosse tuttavia al riparo da ogni possibile compiacenza, si rendeva edotto il Capo di S.M. della Difesa, ammiraglio Henke, e – per aspetti da loro controllabili – il Comandante dell’Arma dei Carabinieri, generale Mino e il Comandante della Guardia di Finanza, generale Borsi di Parma. Anche il Capo di S.M. dell’Esercito, generale Viglione, veniva interessato per condurre al massimo li­vello alcuni rilievi. Nel frattempo il Sid rimetteva ai giudici di Padova elementi informativi interessanti il generale di brigata Ricci, sul quale appunto quei giudici hanno portato da qualche mese la loro attenzione.

L’ammiraglio Casardi mi consegna ora l’accluso fascicolo, con tre memorie che analiticamente riassumono il frutto della operazione condotta dal Servizio. Nel trasmetterle alla S.V. mi corre l’obbligo di accompagnarle con alcune osservazioni ed una informazione:

1)Pur avendo criticamente selezionato le notizie acquisite, il Sid non può assumerne la garanzia di corrispondenza al vero. Si tratta quindi di indizi che gli organi di poli­zia giudiziaria dovranno verificare e sviluppare autonomamente;

2) Le fonti del SID, come si vede dall’allegato, continuano ad accreditare la notizia di una sia pur parziale occupazione del Ministero dell’Interno il giorno 7 dicembre 1970. Al riguardo si è ritenuto doveroso richiamare l’attenzione sia del ministro dell’epoca, on. Restivo, che del ministro attuale, on. Taviani.

L’onorevole Restivo, che già in Parlamento aveva smentito categoricamente il fatto, conferma che i suoi uffici esclusero senza tema di equivoci che ciò fosse avvenuto. D’al­tra parte il Capo della Polizia attuale, incaricato dal mini­stro Taviani, ha rinnovato riservate indagini al termine delle quali è pervenuto alla medesimi conclusione. Specificamente ha escluso che manchino le armi di cui secondo gli informatori del SID si sarebbe dovuta evidenziare la scomparsa (un certo numero di moschetti automatici).

3) Riguardo agli avvenimenti della notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1970, il SID, avuta, da un informatore notizia di movimenti sospetti di giovani del Fronte Nazionale, di Europa Civiltà e di Ordine Nuovo, dette – secondo quanto mi si dice – immediata comunicazione agli organi operativi del Ministero dell’Interno e dei Carabinieri. In più una macchina dello stesso SID andò a verificare nei pressi del Viminale se qualche cosa stesse accadendo. Nulla emerse da questo sopralluogo pur essendosi protratto fino all’alba. Ma i due agenti del Sid sostarono sulla piazza, mentre gli informatori odierni accennano ad ingressi e uscite secondarie del Ministero, non certo con­trollabili dalla piazza del Viminale.

Ma questo, se non mi si informa in modo improprio, già dovrebbe essere a conoscenza della Giustizia.

4) Altro punto su cui non si è avuta la minima conferma è il coinvolgimento della persona dell’ammiraglio Roselli Lorenzini. La Guardia di Finanza, incaricata di questo, non ha raccolto anche il più remoto indizio di veridicità. Né diverso è stato l’esito di un passo fatto fare, in ambiente della Marina, dall’ammiraglio Casardi.

5) E’ stata portata, infine, a mia conoscenza la esistenza di una dichiarazione registrata su filo, fatta spontaneamente da uno degli indiziati – già incarcerato e poi rilasciato – a due ufficiali del Servizio, che hanno escluso la corresponsione di qualsiasi contropartita per questa sostanziale “confessione”. Non è, almeno a me, facile spiegare il perché di un simile comportamento né può escludersi l’esistenza di manovre diversive o di programmate ritrattazioni volte a far confusione. E neppure si è in grado di dire quanto siano conformi a verità anche alcune affermazioni accessorie rispetto al tema principale. Ritengo tuttavia doveroso portare il fatto a conoscenza della S.V., tanto più che uno dei due ufficiali appartiene all’Arma dei Carabinieri e come tale può avere con Loro magistrati un rapporto istituzionale. A domanda, il capitano La Bruna metterà quindi a disposizione la registrazione effettuata.
Mi auguro che in qualche modo l’opera del servizio riesca comunque utile al compito della Procura e del Giudice Istruttore per far luce su avvenimenti dei quali lo coscienza democratica della Nazione attende da tempo di conoscere la realtà e la consistenza.

Non occorre che Le dica che il Ministero è a disposizione in qualunque altra evenienza possa cooperare al Loro difficile lavoro.

Con distinti saluti

 

Lettera del Ministro Andreotti al procuratore Siotto – 15.09.1974, poi rinvenuta fra le carte di Pecorelli.

Risposta del Ministro Andreotti al generale Miceli – 06.10.1974

Signor Generale,
ho ricevuto la Sua del 4 ottobre… . E’ certamente spiacevole che una parte della stampa pubblichi sul SID informazioni non vere e commenti irriguardosi. Lei sa per diretta esperienza quanto sia difficile – e spesso impossibile – ovviare a questi comportamenti. Il Ministero ha diramato tempestivamente rettifiche e precisazioni; e mi riservo personalmente di utilizzare la via parlamentare – se sarà consentito, anche nel periodo di crisi – per collocare con chiarezza le discussioni in proposito. Sta di fatto però che alia credibilità del SID ha arrecato un delicato colpo il clamoroso falso dichiarato nei confronti della cessazione dei rapporti con GIANNETTINI.

Con la Sua del 1° settembre Lei ne ha attribuito la responsabilità al Capo del Servizio D configurandola come un “incidente tecnico”. Il Capo di S.M.D., incaricato di approfondire, mi ha riferito in via preliminare che l’Ufficiale Generale indicato ha a sua volta affermato di averLe detto nell’aprile che il GIANNETTINI aveva reiteratamente telefonato al capitano LABRUNA, di aver concordato con Lei di non aderire ad una richiesta di passaporto di comodo e di aver ricevuto raccomandazioni “che il capitano usasse la massima cautela nei contatti che avesse a prendere con il giornalista predetto”.

Di tutto questo Lei, consegnandomi la dichiarazione da leggere in Parlamento, non mi fece il minimo cenno, che viceversa mi avrebbe indotto – se vi fossero stati motivi di giustificazione – a spiegarli lealmente sia alle Commissioni delle Camere sia al Magistrato. Attualmente tanto il Giudice che i Parlamentari sono sotto la negativa impressione di una specifica bugia, e si chiedono il perché. Del resto sia l’Ammiraglio HENKE che il Generale della Giustizia Militare MALIZIA deplorano di aver ricevuto il medesimo trattamento “disinformativo”.

In questa pendenza – salvo gli altri punti sui quali lo stesso Capo di SMD Le ha chiesto chiarimenti, a seguito di relative informazioni venute dal SID – non è davvero possibile inviarla a Milano e cioè proprio là dove si svolge l’istruttoria GIANNETTINI.

Debbo aggiungere che nella menzionata prima Relazione dell’Ammiraglio HENKE leggo altresì con preoccupazione la conferma di un Suo diretto contatto con il Principe Valerio BORGHESE nell’autunno del 1969 e di altri contatti con persone implicate in vicende di eversione tutt’altro che chiarite. Mi sembra che, fermi restando tutti i doveri informativi, una elementare prudenza debba comunque sconsigliare ai massimi responsabili del SID e dei SIOS di colloquiare in prima persona con personaggi tanto compromessi. Non è così che si salvaguarda a mio avviso il “prestigio delle Forze Armate”… Aggiungo, ancora, che un’ombra resta anche sulla circostanza dell’invio per due volte di un Ufficiale del SID in Spagna, con il dichiarato compito di accertare se fosse espatriato colà e vi si trattenesse il Principe BORGHESE, senza dare di questa missione, per quel che sembra, notizia ai Giudici che avevano emesso mandato di cattura.

Il “chiarimento ufficiale”, che lei desidera giustamente, potrà essere pieno quando si diraderà ogni equivoco su tutti questi punti. Lei, in ipotesi alternativa, chiede a me – previa autorizzazione del Signor Presidente del Consiglio – di scioglierla dal vincolo del segreto. Non comprendo cosa centri il “segreto” con i fatti di cui si tratta e con le indagini sulle trame eversive di cui si parla in questi giorni. Se, al contrario, Le venissero rivolti addebiti su temi diversi, dovrebbe esaminarsi se dall’accertamento della verità venissero danni a seguito di pubblicizzazione di dati non rivelabili.

Mi consenta di concludere con una Nota di personale amarezza. Accettando di anteporLa nell’assegnazione di un importante comando a più di uno dei Suoi colleghi più anziani, non immaginavo davvero di essere a brevissima distanza costretto da obiettive circostanze emerse a dover modificare la decisione.

Distinti saluti