Protezioni dei neofascisti di Arezzo – Sentenza Appello Italicus 1986

(…) è risultato come all’epoca la massoneria – ed in particolare la loggia P 2 – fosse ben presente negli ambienti giudiziari della Polizia e dei Carabinieri di Arezzo. Alcuni questori, il col. Tuminello, comandante del gruppo Carabinieri, due sostituti procuratori del­la Repubblica, fra cui il dott. Marsili, genero di Licio Gelli.

Può ritenersi altresì verosimile che gli estremisti di destra usciti dal M.S.I., ma non dall’am­biente che gli gravitava attorno (si vedano al ri­guardo le lucide ed attendibilissime dichiarazioni del Brogi circa le caratteristiche del neofascismo aretino, in contrapposizione a quelle del corrispondente ambiente fiorentino: Vol.B, interrogatorio del 9.1.1986 al G.I. di Bologna) godessero di appoggi e protezioni presso le forze dell’ordine e fors’an­che in ambienti giudiziari. E’ certo che il Franci fruì di una notevole benevolenza: la denuncia di una vicina di casa su un fatto non certo banale come la fabbricazione di “pericolose bombe” rimase lettera morta perché -palleg­giandosi le responsabilità Questura e Procura della Repubblica – sta di fatto che l’abitazione del Fran­ci non venne perquisita. Lo stesso accadde dopo l’arresto del 23.1.1975, quando la scoperta di armi ed esplosivo presso la Luddi avrebbe dovuto far supporre che anche l’abitazione del Franci potesse contenere almeno materiale utile alle indagini.

Vi sono poi i precisi riferimenti del Brogi al­le protezioni di cui il Cauchi godeva presso i Cara­binieri, rese verosimili sia dai pacifici rapporti dello stesso Cauchi con un agente del SID, sia dalla possibilità che gli fu data di sottrarsi all’esecu­zione dell’ordine di cattura spiccato a suo carico subito dopo l’arresto del Franci e del Malentacchi. Del resto lo stesso Tuti fu avvertito della prossima cattura da una misteriosa telefonata not­turna, si che non par dubbio che l’intero gruppo godesse di appoggi, aiuti e vere e proprie complicità nell’ambiente ruotante attorno alla Procura della Repubblica di Arezzo.

Sentenza di Appello processo Italicus 1986 Pag. 430-431

“Sulle trame esplode la polemica tra i giudici di Bologna e Arezzo” – L’Unità 21.10.1976

Nuova disputa fra i giudici di Arezzo e Bologna che si so­no occupati delle inchieste sul Fronte Nazionale Rivoluzionario di Tuti e Ordine Nero. Dopo il “caso” Fianchini, l’evaso di Arezzo che con le sue rivela­zioni ha portato all’incrimina­zione di Tuti, Franci e Malentacchi per la strage dell’Italicus, una nuova vicenda divi­de la procura di Arezzo e quella di Bologna. Al centro del nuovo “caso” c’è l’avvo­cato Oreste Ghinelli, federale del MSI di Arezzo e difensore dei terroristi neri aretini.

Secondo i giudici bolognesi che hanno svolto l’inchiesta su Ordine Nero di cui Augusto Cauchi proprio ieri arrestato in Spagna era uno dei massi­mi esponenti, ci sono suffi­cienti elementi per contestare all’avvocato Ghinelli il reato di favoreggiamento nei con­fronti proprio del Cauchi, ar­restato mentre spacciava dol­lari falsi in un locale della cittadina spagnola di Mar­bella.
La stessa accusa i giudici di Bologna l’hanno rivolta an­che a un sottufficiale della questura aretina. Trasmessi gli atti per competenza terri­toriale (in quanto i reati sa­rebbero stati commessi ad Arezzo) i giudici di Bologna si sono visti tornare l’incarta­mento con una richiesta a dir poco sorprendente. La procura di Arezzo chiede, infatti, che si proceda per il reato di ca­lunnia nei confronti di colo­ro che hanno accusato Ghi­nelli: una richiesta assurda in quanto la procura aretina avrebbe prima dovuto accer­tare se le accuse contro Ghi­nelli erano infondate e rife­rire poi alla magistratura bo­lognese che in questo senso aveva voluto procedere.

In realtà vengono al petti­ne antichi nodi: già quando fu scoperta la cellula nera di Arezzo non furono approfonditi i legami che univano i terroristi con il MSI di Arezzo del quale erano esponenti Rossi, Franci, Malentacchi e Gallastroni. Ed è piuttosto significativo che solo il giudice istruttore di Bologna Vito Zincani e non la procura di Arezzo abbia af­fermato nella sentenza di rin­vio a giudizio degli ordinovi­sti neri che “a onta delle proclamazioni ufficiali le per­sone accusate di aver fatto parte di Ordine Nero opera­vano stando all’interno del partito (MSI-DN, ndr) dal quale ricevevano denaro e protezione per il tramite del locale federale e difensore di alcuni, avvocato Ghinelli”.

Queste accuse vengono dal neofascista fiorentino Andrea Brogi e da Alessandra De Bellis, moglie di Augusto Cauchi. Andrea Brogi partecipò alla famosa riunione di Monte San Savino nel corso della quale furono messi a punto: piani per gli attentati di Moiano, Ancona e Bologna. Brogi non può essere considerato un mitomane: egli faceva parte del gruppo eversivo, conosceva tutti i retroscena dell’organiz­zazione; era amico del Cau­chi e quindi le sue dichiara­zioni dovevano essere per lo meno controllate da parte del­la magistratura aretina. Più o meno le stesse accuse a Ghi­nelli le ha ribadite la moglie del Cauchi che senza dubbio sa molte più cose di quanto si crede. Del resto sulla fu­ga del Cauchi, avvenuta tre giorni dopo la strage di Empo­li, fin dal primo momento so­no stati sollevati molti inter­rogativi. Lo stesso avvocato Ghinelli ammise di essersi in­contrato con il Cauchi poche ore prima che sparisse dalla circolazione. Il federale di Arezzo precisò in quell’occasione di aver consigliato il giovane di Cortona a presen­tarsi alla polizia. Apparve strano tra l’altro che Cauchi, nonostante fosse conosciuto per la sua attività di picchia­tore e di appartenente alla organizzazione eversiva Ordi­ne Nuovo, non venisse posto sotto controllo appena il suo nome, saltò fuori dall’agenda del Tuti e si sia atteso tre giorni prima di spiccare l’ordine di cattura.

La procura di Arezzo ha passato la patata bollente a Bologna, senza però rispondere agli interrogativi sollevati dai magistrati bolognesi i quali si trovano nella condi­zione di non sapere se l’avvo­cato Ghinelli è incorso nel reato di favoreggiamento pro­prio perché i loro colleghi di Arezzo non vogliono preci­sarlo. Questo nodo deve essere sciolto se si vuole fare piena luce sui favoreggiatori, sui mandanti e i finanziatori delle trame nere in Toscana.

“E adesso i fascisti tentano la rissa” – L’Unità 18.11.1981

«Se questo qui mi fa ancora delle domande non circostanziate, non rispondo più, finisce che mi scaldo anch’io… si parla di Ordine nero, di Ordine verde, di fantomatici gruppi, si vuol mettere dentro anche Portella delle Ginestre… signor presidente, vogliamo fare questo processo o no?».

Quando Luciano Franci, accusato della strage dell’Italicus, ha smesso di urlare davanti allo sbigottito presi­dente Nigri di Montenegro, «questo qui», cioè il Pm Luigi Persico, con un sorriso appe­na accennato sotto i baffi leggerissimi, ha spiegato se­renamente: «Temevo che la bonomia del Franci prima o poi scomparisse, per lasciare il posto a questo comporta­mento. Quelle che sto facen­do sono semplici domande su fatti, persone, circostanze reali. E se la Corte vuol fare questo processo deve percor­rere con pazienza questa strada, ma se pensa di esau­rire l’interrogatorio dell’imputato in due ore, tanto vale incappucciarsi la testa e ri­nunciare alla verità».

Appena il processo per l’Italicus è entrato minima­mente nel vivo, appena si è cercato di approfondire, di scavare per chiarire in quale clima politico (e tra quali personaggi) è maturato il massacro, l’arroganza fasci­sta ha tentato di far scadere il dibattimento in rissa. Ma non era, forse, soltanto arro­ganza: il fatto è che quando Franci si è messo a urlare (e a urlare ci si è messo anche il suo difensore, l’ex federale missino di Arezzo avvocato Oreste Ghinelli, al quale Franci un tempo faceva da autista), l’imputato era in se­ria difficoltà. In crisi l’aveva messo il Pm Persico, dopo che per circa due ore il presi­dente aveva lasciato che l’ac­cusato parlasse senza che gli si muovessero contestazioni di sorta.

Franci si è trovato in diffi­coltà su una serie di doman­de che apparentemente ap­parivano ingenue e poco cal­zanti: «Lei, Franci, è stato ri­coverato per un’operazione d’appendicite all’ospedale di Montevarchi. Perché mai a Montevarchi?». Franci: «C’e­ro già stato ricoverato d’ur­genza e mi ci sono trovato bene». Pm: «Lei, Franci. co­nosce Augusto Cauchi?». Franci: «Certamente, lo ve­devo nella sede del Msi di A­rezzo». Pm: «E conosce Mirel­la Ghelli?».

Franci: «No, no, no». E su­bito dopo sono cominciate le urla. Perché? Con quelle do­mande il Pm voleva mettere in evidenza, riuscendoci, una strana coincidenza, o me­glio, alcune strane coinci­denze. La prima: nell’ospeda­le di Montevarchi, nel 1970, era stato ricoverato l’ex am­basciatore ungherese a Ro­ma Joseph Szall, che aveva avuto un incidente di macchina sull’Autostrada del So­le. L’ex diplomatico, divenu­to un dissidente, nell’ospedale aveva conosciuto il prima­rio Luigi Oggioni, che è nelle liste della P2, attraverso il quale era entrato in contatto con Licio Gelli. Con il capo della P2, Joseph Szall, aveva organizzato una «fuga dall’Est», operazione che era sta­ta affidata al colonnello dei servizi segreti italiani (an­ch’egli piduista, coinvolto nello scandalo Sindona) An­tonio Viezzer.

Seconda coincidenza: se­gretaria del primario pidui­sta Oggioni era una certa Mirella Ghelli, amante di Augusto Cauchi, dello stesso gruppo di Tuti (è latitante dai giorni della fuga di Tuti dopo l’assassinio dei due po­liziotti), del quale il Pm ha voluto ricordare un partico­lare non secondario: «L’ulti­ma telefonata prima di scomparire dall’Italia — ha detto Persico — fu fatta da Cauchi ai servizi segreti…».

Non è stato il solo momen­to di difficoltà dell’imputato. La seconda, grave crisi, Franci l’ha attraversata quando il pubblico ministero ha voluto saperne di più su una sua spontanea dichiara­zione al giudice Vigna di Firenze. In questa dichiarazio­ne, il cui verbale è agli atti del processo, Franci affermò che dal camerata Massimo Batani e dallo stesso Cauchi aveva appreso dei rapporti intercorrenti tra Licio Gelli, suo genero il giudice Marsili di Arezzo (uno dei magistrati piduisti), i servizi di sicurez­za italiani ed elementi della destra eversiva. Franci non ha voluto rispondere. Ha commentato: «Sono baggia­nate, ho inventato tutto». E il Pm ha replicato: «Lei aveva un’ottima fantasia quando parlò al giudice in quel lon­tano 8 settembre 1976». E Franci di rimando: «Se aves­si avuto quelle conoscenze, non sarei qui» (ma risulta, da sue dichiarazioni in istrutto­ria che riuscì a entrare nella amministrazione postale per interessamento del dc Bucciarelli Ducci, anch’egli uo­mo di Gelli).

A questo punto, Tuti si è intromesso: «Il Pm vuol se­minare zizzania». Terzo momento di crisi per Franci, quando il Pm gli ha chiesto se era presente, il 22 gennaio 1975, a una confe­renza tenuta da Cauchi a Ca­stiglione Fiorentino sui ser­vizi segreti. Da una rivelazione di Pietro Malentacchi si apprende che a quella con­ferenza erano presenti, tra gli altri, Tuti, Franci e lo stesso Malentacchi. Franci ora dice: «Assolutamente no». In quella circostanza Cauchi — si legge negli atti istruttori — illustrò le vicen­de d’Italia e «di come i servizi segreti fossero responsabili degli attentati terroristici». Ma non era, Cauchi, collaboratore privilegiato dei servi­zi? Per il resto, Franci ha rac­contato, o meglio non ha raccontato, di quando, quel­la notte tra il 3 e 4 agosto 1974, si trovava sul marciapiede della stazione di Santa Maria Novella di Firenze (la­vorava lì come «carrellista po­stale») e da quel marciapiede vide partire il treno «Italicus», ormai minato dalla bomba, verso Bologna e vide un poliziotto affacciarsi da un finestrino e fare un gesto, come di convalida, di assen­so. A chi? Franci dice di non sapere. Il processo continua oggi.

Gian Pietro Testa, L’Unità 18.11.1981

“Si può parlare ad Arezzo di Gelli e le sue trame?” – Vasco Giannotti 13.01.1982

Venerdì 8 gennaio: Mario Marsili, genero di Licio Gelli, iscritto anche se “in sonno” nella lista della P2, riappare come componente della Corte in un processo che si celebra presso il tribunale di Arezzo. Marsili dunque, dopo una lunga vacanza, sembra pro­tetto anche da un perentorio intervento di qualche autori­tà superiore perché lo si lasci lavorare in pace, è tornato a svolgere il suo delicato compi­to dì giudice, nonostante che nei suoi confronti siano aper­ti davanti al Consiglio supe­riore della magistratura al­meno due procedimenti disci­plinari. Ma non è il solo caso, purtroppo. Altri magistrati a­retini iscritti alla P2, che ope­rano in altre sedi, hanno tranquillamente continuato ad occupare i loro posti. E hanno ripreso possesso delle loro funzioni anche alcuni di quei personaggi tramite i qua­li Gelli aveva stabilito un filo diretto con altri delicatissimi ambienti di questa città come la questura, la guardia di fi­nanza, gli uffici finanziari, il mondo economico. È un dato motto inquietan­te e non certo solo aretino, ma molto più generale. Si vanno ricomponendo le tessere del mosaico sull’onda di quelle grandi manovre in atto a tutti i livelli per cercare di inqui­nare le prove, di rallentare ed ostacolare la ricerca della ve­rità, di insabbiare anche que­sto gravissimo scandalo della P2.

gelli

Lunedì 11 gennaio: in quel­la stessa aula del tribunale viene condannato a otto mesi di carcere il compagno Sergio Nenci, responsabile della stampa e propaganda della Federazione aretina del PCI. È la prima sentenza per la P2 in Toscana, la prima in Italia, tolta quella del pretore di Messina. Una condanna pe­sante inflitta non ad un pi­duista ma ad un comunista ritenuto colpevole per aver redatto un volantino dove ve­nivano riportati, con assoluta fedeltà, i punti salienti di un dibattito avvenuto nel Consi­glio comunale di Arezzo sulle vicende della P2. Secondo il tribunale di Arezzo, quindi, fare cronaca di un pubblico dibattito consiliare è reato. È reato riferire quanto dichia­rato in tale assise da un consi­gliere comunale. Questo è solo l’avvio. Tra poco, per reati analoghi dovranno presentarsi davanti al tribunale il segretario della federazione comunista, due giornalisti dell’Unità, il diret­tore di Radio Torre Petrarca, emittente locale democratica. Con altri nomi e con altri personaggi si ripete la vicen­da di Lucca, dove è finito sot­to processo il segretario pro­vinciale del PCI, querelato dal piduista Danesi. È solo ironia della sorte che sul banco degli imputati fini­scano gli accusatori e non gli accusati? È sempre e soltanto ironia della sorte che il primo ad essere colpito è proprio un comunista che cercava one­stamente di informare la gen­te su una vicenda così allar­mante come la P2?

Una vergognosa sentenza dunque quella del tribunale di Arezzo, prima di tutto gra­vemente lesiva del diritto di informazione e di cronaca, del diritto dei cittadini a cono­scere e sapere quello che di­scutono i loro rappresentanti democraticamente eletti di frante a problemi di così gran­de interesse pubblico.
A dir la verità non era mai accaduto prima: è accaduto solo quando i comunisti han­no messo le mani su questioni che scottano molto, quando hanno preteso di aprire uno squarcio su piccoli santuari che molti ad Arezzo si illudo­no di tenere ancora al riparo di ogni forma di controllo de­mocratico. E c’è persino il so­spetto che alcuni abbiano ten­tato di coprire fatti molto tor­bidi che sono avvenuti ad Arezzo negli anni passati.

È emblematico ripercorrere il modo con cui si è giunti al processo ed alla sentenza di lunedì. Il 3 giugno 1981 du­rante il dibattito in Consiglio comunale, a sostegno di quan­to andava già emergendo ri­spetto a precisi collegamenti tra loggia massonica P2, am­bienti dell’estrema destra a­retina ed il gruppo terroristi­co di Mario Tuti che ad Arez­zo aveva reclutato molti personaggi nelle stesse file del MSI, il gruppo comunista sentì il dovere di mostrare al­cuni verbali di interrogatorio allegati agli atti del processo per l’uccisione del giudice Occorsio e una sentenza del giu­dice bolognese Vella. In questi documenti erano contenute prove di rapporti tra Gelli ed i terroristi neri e si ipotizzava­no reati gravissimi per il se­gretario del MSI aretino avv. Oreste Ghinelli, che ora ritro­viamo come difensore di Franci e Malentacchi impu­tati per la strage dell’Italicus davanti alla Corte di Assise di Bologna.
Il giorno dopo il Consiglio comunale, numerosi organi di informazione, non solo areti­ni, scrissero la cronaca del di­battito. La Federazione co­munista pubblicò il volantino poi incriminato. Ghinelli querelò i comunisti. Le sue de­nunce finite sul tavolo della Procura della Repubblica di Arezzo hanno avuto un cam­mino contorto. Come risulta infatti dalle carte processuali alcuni magistrati s’erano in­fatti espressi per l’archivia­zione. D’altra parte lo stesso pubblico ministero ha sostenu­to l’assoluzione in quel pro­cesso che invece ha visto il compagno Nenci condannato così duramente. La verità è che il missino Ghinelli ha po­tuto controllare, passo dopo passo, l’evolversi di questa vi­cenda giudiziaria, tanto che la Procura di Arezzo ha dovuto passare tutta la questione a quella di Firenze con una motivazione a dir poco scon­certante.

L’ha riferito l’avv. Tarsia­no nel corso della sua lucidis­sima difesa del compagno Nenci. Il procuratore capo di Arezzo, trasmettendo gli atti a Firenze, scrive infatti che l’avv. Ghinelli ha dimostrato «animosità ed intolleranza», che ha protestato contro il suo operato con «tono esaspe­rato ed irruente«. Il procura­tore capo di Arezzo conclude affermando di trovarsi «in condizioni di vero disagio, non potendo avvalersi della colla­borazione dei colleghi in ferie, né ritiene di avvalersi della collaborazione del dr. Anania che potrebbe non tornare gra­dito all’avv. Ghinelli». Di fronte a queto processo si ripropongono ancora in modo più allarmante tutti gli interrogativi sui quali da anni i comunisti aretini hanno cer­cato di richiamare l’attenzio­ne e l’impegno dei pubblici poteri, la vigilanza di tutte le forze democratiche.

Se qualcuno ha ancora mo­tivo per dubitare sulla nostra caparbietà può andare a rive­dere il contenuto di una in­terrogazione che i parlamentari comunisti hanno presentato mesi fa al Senato ed alla Camera. In questa interroga­zione, tra l’altro, si ricorda di un incontro avvenuto più di cinque anni fa, esattamente l’11 agosto 1976, tra una dele­gazione di parlamentari del PCI ed i ministri dell’Interno Cossiga e della Giustizia Bo­nifacio per informare sulla si­tuazione dell’ordine pubblico ad Arezzo. E già allora in quella sede furono richieste indagini precise su collegamenti tra la Loggia P2 di Li­cio Gelli e le trame eversive di destra e fu messo in evidenza il particolare della magistra­tura aretina, e il modo di fun­zionare del Tribunale di Arez­zo dove sembrava che quanto­meno si sottovalutasse quan­to di grave già allora emerge­va. Quegli interrogativi, quei dubbi, quelle perplessità, quelle denunce, attendono oggi più di ieri una risposta chiara e definitiva.

“L’Unità” 13.01.1982

Lettera di Mario Marsili a Licio Gelli sul delitto Occorsio

Nella mia ultima gita a Grosseto ho appreso che il giornale “Il Telegrafo” (quotidiano a diffusione locale) ha riportato un articolo nel quale si parla di una istruttoria pendente a Firenze (colà trasmessa da Roma), relativa al delitto Occorsio, del quale reato, al dire dell’articolista, Ella sarebbe indiziato. Premesso che non credo e non ho mai creduto a consimili calunnie di stampo marxista, mi domando per qual motivo Ella non provveda a tutelare con querele e processi veri la sua onorabilità.
Tale onorabilità non è solo sua ma, nella specie, anche di chi ha sposato Sua figlia (cosa nota nella piccola città di Grosseto e nel mio paese) tanto più che il fortunato marito (il sottoscritto) è anche magistrato e uomo pubblico. Capisco che a Lei, preso da ben altri interessi e problemi, non interessino le dicerie di un giornaletto locale, ma a me sì, perché da anni ormai ho timore di entrare in un caffè e trovare i soliti amici che magari, dopo avermi salutato, mi mostrano il giornale tale o tal altro. Fino a quando durerà questa situazione? Sappia che i danni non sono soltanto i suoi ma anche i miei e che gli stessi, ormai, durano da quattro anni, senza che si sia messo un freno preciso e processuale alla calunnia.
Non sto a rimarcare quanto simili cose mi abbiano danneggiato, umiliato, avvilito; la invito soltanto a porvi un freno per rispetto alla mia persona ed alla mia famiglia.
Se a certuni può far piacere avere un parente discusso, a me non giova affatto e non ha giovato, avere un affine discusso. La invito pertanto a tutelare la sua onorabilità nelle forme di legge.

Con osservanza
Mario Marsili

PS voglia estesamente rispondere per iscritto

Udienza 25.01.1983 – confronto Gallastroni, m.llo Baldini, dott. Luongo

Maresciallo Sergio Baldini, già qualificato in atti: “Sono in pensione dal 22 gennaio scorso”.

A.D.P.R. “Malentacchi e il Franci furono fermati sul Fiat 1100; furono condotti in Questura di Arezzo. Mi pare che l’operazione scattasse il 22/1/1975 poi istituimmo il servizio in Castiglion Fiorentino nei pressi della chiesa sconsacrata. Il primo turno lo effettuai io, cioè la notte fra il 22 ed il 23 gennaio; il secondo turno lo effettuò il maresciallo Lucani, deceduto; il terzo turno lo effettuò il maresciallo Peruzzi ed avvenne nel pomeriggio del 23, penso di sì. Il 23 vennero bloccati il Franci e il Malentacchi, vennero perquisiti e vennero condotti in Questura nel tardo pomeriggio. Il Franci venne interrogato per primo, mi pare che intervenne anche l’avvocato Ghinelli e mi pare che fece un cicchetto ad uno dell’antiterrorismo; il Malentacchi in attesa venne condotto nel mio ufficio e guardato a vista.

A.D.P.R. “Senz’altro fermammo il Franci e il Malentacchi il 23 pomeriggio, io ricordo così”.

A.D.P.R. “Dopo l’arresto, anzi il fermo il Marsili emise ordine di cattura e vennero condotti nella stessa giornata nel carcere di Arezzo; non passarono la notte del 23 nei locali della Questura, furono portati alle carceri di Arezzo. (…) Noi sapevamo i nomi già in precedenza e aspettavamo il Franci e il Malentacchi. Trovammo l’esplosivo e lasciammo questo nel luogo d’accordo con il Dott. Marsili”.

A.D.P.R. “I nomi del Franci e del Malentacchi ce li aveva dati il Del Dottore. (…) Su disposizione del dott. Luongo io fui mandato nel negozio della Patrassi e dopo poco che fui lì pervenne una telefonata dalla figlia della signora Patrassi, fu una telefonata non ricordo se del dott. Carlucci, da cui appresi che il telefono era sotto controllo. Io ho saputo che il telefono era sotto controllo dopo che fui mandato là con l’incarico di aspettare un certo Mario, era la mattinata, ma non ricordo l’ora. Io andai nel negozio con il Dott. Esposito che mi chiamò con lui, ma non sapevo della intercettazione telefonica di cui venni a conoscenza dopo che mi ero presentato alla Patrassi. Io la Luddi non la conoscevo si sentiva dire da quelli della squadra che (Franci) aveva un’amante”.

A.D. del P.C. R. “Il Del Dottore non mi confidò nulla. Il dott. Luongo mi chiamò il 22 e quella sera andammo ed incontrammo il Del Dottore che ci portò nel fosso dove rinvenimmo l’esplosivo ed il mitra. Non credo che l’iniziativa dell’intercettazione partisse dal mio dirigente, ma io so che furono quelli dell’antiterrorismo a chiedere che il telefono della Patrassi venisse messo sotto controllo; io ciò lo seppi dopo, a fatto avvenuto. (…) andammo nel luogo vicino al fossato accompagnati dal Del Dottore, informammo Roma, ed arrivarono quelli dell’antiterrorismo che presero i contatti con il Del Dottore. (…)”.

A.D. del P.C. R. “Il Del Dottore fece i nomi del Franci e del Malentacchi come coloro che dovevano andare a ritirare l’esplosivo, non fece il nome del Tuti; non dette indicazioni atte ad individuare il numero della Patrassi, credo che tale numero sia stato trovato in una rubrica da quelli dell’antiterrorismo sotto la guida del dott. Carlucci”.

Dott. Sebastiano Luongo già qualificato in atti “Io avvalendomi anche degli uomini dell’antiterrorismo ho sequestrato l’esplosivo nel fossato, ma non sapevamo che dovevano arrivare il Franci e il Malentacchi”.

A.D.P.R “Il Del Dottore ci indicò la chiesetta, così come ci indicò il luogo vicino al fossato, ma non ci fece i nomi né del Franci, né del Malentacchi, che peraltro non era neppure conosciuto. Il Del Dottore a quel che ricordo non ci fece dei nomi, mi pare dicesse qualcosa sul gruppo, sul Franci che apparteneva a quel gruppo”.

A.D.P.R. “Il Del Dottore ci disse di un gruppo che compiva anzi di cui faceva parte anche il Franci, anzi non sono nemmeno sicuro che ci fece il nome del Franci perché lo avremmo catturato subito. Supponemmo che qualcuno sarebbe venuto a ritrovare l’esplosivo e ci appostammo, seguì poi l’arresto del Franci e del Malentacchi. (…) “Prendo visione della copia della missiva datata Arezzo 23/1/1975 con la quale è stata richiesta al comandante del carcere di Arezzo di ricevere Franci Luciano. Tale missiva non è stata firmata da me, però posso affermare per quella che è la prassi tra i rapporti vigenti tra il carcere e la questura, che la stessa, accompagnò il Franci nel momento dell’entrata in carcere, in caso contrario non avrebbero consentito l’ingresso del detenuto in carcere”.
Il teste dichiara: “Se il giorno 22 è stato il giorno del ritrovamento del mitra e dell’esplosivo nel luogo vicino al fossato, l’arresto del Franci e del Malentacchi avvenne certamente il giorno 23 gennaio 1975, perché ricordo che avvenne il giorno dopo il rinvenimento del mitra e dell’esplosivo. Ricordo anche che il Franci ed il Malentacchi furono portati in carcere dopo l’interrogatorio in Questura, in due momenti successivi: il Franci alle 20 ed il Malentacchi più tardi”.

A questo punto il Presidente chiama il teste Gallastroni Giovanni per il disposto confronto (…). Il Presidente dà lettura della deposizione resa dal teste Luongo all’udienza del 16/12/1982 sul punto delle dichiarazioni riferite a lui dal teste Gallastroni riguardo ai finanziamenti dati al Cauchi.
Il dott. Luongo dichiara: “Io non ho mai avuto nessun contatto con il dott. Persico, fui chiamato dal dr. Di Francisci e la circostanza riportata dal Gallastroni fu detta informalmente dallo stesso al maresciallo Baldini in occasione di un interrogatorio. Il Gallastroni disse che il Cauchi si recava dal Gelli e aveva dei finanziamenti dallo stesso Gelli; ma ripeto che ciò fu detto dal Gallastroni al maresciallo Baldini, il quale poi mi riferì la circostanza”.

A.D.P.R. “Io ricevetti dal maresciallo Baldini la notizia, ma non chiesi nulla al Gallastroni sul punto, mi limitai a comunicarle sia al mio superiore diretto, sia al Questore, sia al dottor Persico con una relazione che riguardava altre circostanze. Io ho precisato in questi termini quanto verbalizzato sul punto all’udienza del 16/12/1982.

Il teste Gallastroni dichiara: “io in quella circostanza ho solo detto della cena, ma non fu fatta quella affermazione. Io ho solo detto che il Cauchi era andato a cena con Gelli o con il figlio di Gelli.

A.D.P. il teste Luongo risponde: “il rapporto che feci al Dott. Persico è dell’estate ’80, dopo la strage di Bologna alla stazione, verso i primi di settembre, la circostanza la appresi circa un mese prima di riferirne i fatti”.

A questo punto il Presidente fa allontanare il dott. Luongo e fa chiamare il M.llo Baldini.
A.D.P. il teste Baldini risponde: “Conosco il Gallastroni. Il Gallastroni accennò al gruppo, dicendomi che Cauchi era stato a cena dal Gelli e che Cauchi disponeva di molto denaro facendomi capire che il Gelli dava del denaro al Cauchi e ciò riferii al Dott. Luongo. Il Gallastroni mi disse che Cauchi frequentava Licio Gelli e che il Cauchi disponeva di molto denaro, lasciandomi capire chiaramente che detto denaro proveniva dal Gelli”.

A.D.P. il teste Baldini risponde: “Il Gallastroni mi disse queste due circostanze: il Cauchi disponeva di molto denaro. Io mi sono domandato perché il Gallastroni ha fatto questo abbinamento ed ho intuito che il Gallastroni mi volesse far capire che il denaro il Cauchi lo riceveva dal Gelli”.

A.D.P. il teste Baldini risponde: “A me non risulta che il padre di Cauchi fosse persona facoltosa, mi risulta che fosse impiegato del comune e la madre insegnante”.

A.D.P. il teste Gallastroni risponde: “Io ho sempre detto il discorso della cena, non ricordo le parole precise dette a Baldini. Dissi a Baldini: Ho sentito dire che Cauchi è stato a casa di Gelli una sera per cena. Io durante i miei interrogatori ho sempre confermato la disponibilità di denaro da parte del Cauchi. Io escludo di avere voluto fare intendere al M.llo Baldini che Cauchi riceveva i soldi dal Gelli”.

A questo punto il Presidente fa allontanare il teste Gallastroni.
A.D.P. il teste Baldini risponde: “Confermo che sapevo da ciò che mi disse Luongo che aspettavano Franci e Malentacchi”.

Il Presidente fa chiamare il Dott. Luongo.
A.D.P. il teste Luongo risponde: “Per ciò che ricordo il Del Dottore non mi fece il nome del Franci e del Malentacchi, sono passati tanti anni, ma io ricordo così”.

Il teste Baldini dichiara: “Il Del Dottore fece i nomi del Franci e del Malentacchi che non conoscevamo nell’ufficio”.

Il teste Luongo dichiara: “Io non ricordo, ma non lo escludo e non ho nessun motivo per smentire il maresciallo Baldini: io ricordo che il Del Dottore non fece i nomi”.

A questo punto il Presidente fa allontanare il maresciallo Baldini.
A.D.P. il teste Luongo risponde: “Ho chiesto l’intercettazione telefonica sul telefono della Patrassi a seguito della comunicazione di un mio dipendente che mi disse che il Franci se la faceva con la Luddi, per cui disponemmo l’intercettazione per controllare la Luddi in quanto amica del Franci. La mia richiesta di intercettazione telefonica è successiva alla data dell’arresto del Franci e del Malentacchi”.

Il PM contesta al teste che la data della richiesta dell’intercettazione è antecedente la data dell’arresto del Franci e del Malentacchi.
A.D.P. il teste Luongo risponde: “Il Del Dottore era l’unica fonte di informazione, io non so di altre fonti di informazione; io non ricordo che il Del Dottore abbia fatto i nomi del Franci e del Malentacchi, ma non posso smentire il maresciallo Baldini che si ricorda i nomi del Franci e del Malentacchi, in quanto non ho nessun motivo per farlo”.

L’avv. Ghinelli insiste perché si senta il teste Gelli Licio.

A.D.P. il teste Luongo risponde: “Oltre al Del Dottore non c’è altra fonte fiduciaria”.
A questo punto il Presidente licenzia il teste Luongo.