Le dichiarazioni di Gioacchino Pennino su Calvi e l’Ambrosiano

Parimenti, Giocacchino Pennino ha confermato che Calvi gestiva il denaro di Cosa Nostra, che il banchiere non aveva onorato l’impegno preso con Cosa Nostra, che non era stato più nelle condizioni di restituire il denaro e che l’organizzazione, per il tramite di Vitale, si stava attivando per recuperarlo. In particolare, ha articolato il suo racconto nei termini che seguono. Aveva appreso da Bontate e, soprattutto, da Giacomo Vitale che i proventi illeciti delle famiglie di Santa Maria del Gesù, di Uditore-Passo di rigano, le quali facevano capo, rispettivamente, a Bontate e a Inzerillo, erano stati convogliati nelle holding di Sindona. Erano stati fatti confluire anche soldi di altre famiglie, collegate alle due, ma che non sapeva indicare. Nella seconda metà degli anni ’80 aveva appreso da Giuseppe Marsala, il cui diminutivo era “u Pinuzzu”, e da Giacomo Vitale, il quale, in quegli anni, si era recato al suo laboratorio di analisi cliniche, in quanto “doveva recuperare i loro capitali, i capitali fuori famiglia mafiosa, della sua famiglia di sangue”. Costoro lo avevano reso edotto del fatto che Sindona ”quando vi fu il crack delle sue banche (…) canalizzò (…) il denaro presso il Banco Ambrosiano di Calvi”.

Egli era a conoscenza del fatto che il Banco Ambrosiano “aveva nel suo statuto delle facoltà di gran lunga superiori” a quelle degli altri istituti. Gli era stato detto che vi erano dei “vantaggi legati alla gestione del denaro”, ma non poteva specificare quali perché non era un tecnico. Sindona aveva degli “impegni di carattere economico perché deteneva i soldi” delle famiglie mafiose e “quando ebbe il crack, li dovette restituire”. Una parte era riuscito a restituirli e la restante la “canalizzò” nel Banco Ambrosiano di Calvi… che era pur sempre di origine cattolica”. Sindona aveva rispettato i suoi impegni con Cosa Nostra. Sempre dalle stesse fonti aveva appreso che Calvi aveva preso degli impegni con appartenenti a Cosa Nostra e che “non aveva onorato.. l’impegno preso” e “non aveva restituito il denaro che… gestiva”. Calvi aveva ottenuto delle risorse finanziarie tramite lo IOR. Lo Ior è l’Istituto opere religiose, la banca del Vaticano, all’epoca diretta da mons. Marcinkus, e Calvi gestiva anche parte delle finanze di origine vaticana.
Giacomo Vitale si era recato da lui perché voleva sapere se fosse “nelle condizioni di reperire Licio Gelli”. Egli non era nelle condizioni di farlo e gli aveva risposto che non aveva la possibilità. Lo scopo che “si prefiggeva era quello di rientrare del denaro che era stato consegnato a suo tempo al banco Ambrosiano di Calvi” per rientrare “in possesso”. Agiva per sé, per la sua famiglia di sangue e per la famiglia di cui faceva parte. Vitale si era rivolto a lui perché “sapeva che era massone e che aveva avuto la possibilità di conoscere un po’ tutti i massoni dell’epoca”. Tali indicazioni sono state in buona sostanza ribadite nel prosieguo della sua deposizione in sede di controesame della difesa: riferiva che Vitale gli aveva dato l’impressione che cercasse Gelli per poter recuperare il denaro del banco Ambrosiano, e gli aveva detto che i loro capitali erano nel Banco Ambrosiano. Invitato a precisare se gli avesse dato l’impressione o se glielo avesse detto che vi era un nesso tra la ricerca di Gelli e il denaro del Banco Ambrosiano, ha sottolineato che erano trascorsi circa vent’anni e non poteva avere una visione precisa “di problemi” che non lo interessavano. Aveva ascoltato “mal volentieri fatti” che non lo riguardavano.


Gli veniva ricordato che, in data 10.2.2004 aveva dichiarato: “Nella circostanza di questo… di questo colloquio mi disse anche che cercava di mettersi in contatto con Licio Gelli per poter recuperare il denaro che ormai Calvi non poteva più restituire”. Pennino ribadiva che Vitale “doveva recuperare i soldi del Banco Ambrosiano”. (…) Non gli aveva spiegato cosa c’entrasse Gelli con il denaro di Calvi, con quali modalità Sindona aveva trasmesso i soldi a Calvi, quale fosse il quantitativo di denaro, e se la mancata restituzione di soldi da parte di Calvi fosse stata preceduta da richieste di restituzione. Egli si limitava ad ascoltare.
Aveva avuto per la prima volta notizia che i mezzi finanziari affluivano nelle holding di Sindona nella metà degli anni ’70. Sindona era un banchiere che si diceva operasse tanto in Italia quanto in Svizzera e all’estero, ove agiva con la Franklin Bank. Il fatto che il denaro confluisse nelle holding di Sindona lo aveva saputo da Bontate e da Vitale, nei momenti di frequentazione. Vitale non era un uomo d’onore, mentre Bontate era il capo mandamento della famiglia di Santa Maria del Gesù ed era suo coetaneo, entrambi erano nati nel 1938, e da sempre lo aveva frequentato. Entrambi si recavano nella casa di suo zio Gioacchino Pennino, che fu una delle persone più rappresentative di Cosa Nostra.
Aveva appreso soprattutto da Giuseppe Marsala – uomo d’onore della famiglia di Santa Maria del Gesù, che nel periodo in cui aveva avuto rapporti con lui ricopriva un ruolo di comando e di coordinamento in quella famiglia – che parte dei capitali consegnati a Sindona erano poi confluiti nelle holding di Calvi. Quando si era verificato il crack finanziario di Sindona aveva restituito una parte dei capitali a Cosa Nostra e la restante l’aveva dirottata, “certamente con il placet di coloro che gli avevano affidato il denaro al Banco Ambrosiano di Calvi”.

Estratto dalla requisitoria del pm Tescaroli riportata nel libro “Dossier Calvi”.

Claudio Sicilia – dichiarazioni 17.11.1986

Ad un certo punto della comune detenzione lo ZAZA iniziò a parlami più esplicitamente della sua attività e ciò spesso in presenza del BONO; queste confidenze erano motivate dal fatto che in prospettiva io avrei potuto far parte di associazioni mafiose, in quanto ero persona fidata attese le mie parentele. Mi parlò in proposito di Danilo ABBRUCIATI che era appunto mafioso pur operando con altri gruppi i cui componenti erano all’oscuro della appartenenza alla mafia dell’ABBRUCIATI.

Mi raccontò che l’ABBRUCIATI pur avendo tolto a Umberto AMMATURO la donna, tale Toscano mi sembra comunque una brasiliana cognata di un altro mafioso Nunzio GUIDA, non aveva subito conseguenze proprio per la sua appartenenza alla mafia. Lo ZAZA era a conoscenza di tutti i fatti avvenuti a Roma in quanto gli erano riferiti dall’ABBRUCIATI il quale faceva parte della “famiglia” di Pippo CALÒ. Lo Zaza mi parlò delle vicende del suo processo a Roma; mi disse che si occupava da tempo del traffico dell’eroina, che per li traffico si serviva della struttura della sua organizzazione napoletana”.

Memoriale Francesco Pazienza 30.11.1982

a) Rapporti con il Sig. Flavio Carboni
Il Sig. Carboni mi fu presentato casualmente dal dr Pompò dirigente del primo distretto di polizia all’inizio del 1981 nella sede dello stesso. Il Carboni si trovava colà per un rinnovo di passaporto mentre il sottoscritto vi era passato per salutare lo stesso dr. Pompò che mi stava aiutando a reperire una casa in affitto nel centro storico.
Il Sig. Carboni si mostrò immediatamente molto interessato al sottoscritto anche perché erano già usciti gli articoli su Panorama ed Espresso e concernenti il viaggio in USA dell’on. Piccoli. Il Carboni, inoltre, era a conoscenza del mio rapporto di consulenza con il Sig. Calvi.
Nelle settimane successive il Carboni mi contattò telefonicamente varie volte ivi compreso al residence in cui vivevo.
Una sera mi invitò a cena a casa sua in via Orti della Farnesina ove mi parlò a lungo del suo rapporto di associazione con Berlusconi in Sardegna. In tale occasione mi parlò di un suo amico che mi avrebbe potuto aiutare effettivamente a trovare un appartamento in centro perché possedeva un grosso patrimonio immobiliare. Il suddetto signore era Domenico Balducci. Ricordo che in quella serata fui invitato ripetutamente a fare uso di sostanze stupefacenti (cocaina) cosa che rifiutai categoricamente. Il Carboni, inoltre, si dilettava a riprendere gli invitati con una telecamera e video registratore. Ricordo di essermene andato intorno alle dodici. Nei giorni successivi mi fu presentato il Balducci in una specie di ufficio nei pressi di Corso Vittorio. Questi mi disse che mi avrebbe aiutato a reperire un appartamento nel centro storico.
Rividi molto sporadicamente il Carboni che si auto invitava a casa mia e passava direttamente a salutarmi.
Due o tre volte venne con il Balducci. Entrambi mi iniziarono a parlare di possibili investimenti in Sardegna che sarebbe stato interessante intraprendere con finanziamenti del Banco Ambrosiano. Tengo a precisare che di tali possibilità non feci mai nessun accenno al presidente del Banco. A metà giugno, dopo averne ripetutamente sentito parlare, mi recai a visitare con il Balducci e il Carboni un grande appezzamento di terreno vicino a Porto Rotondo. Tale appezzamento era di proprietà di una certa famiglia Tamponi. Il progetto del duo Carboni-Balducci era di poterlo comprare ad un prezzo per poterlo rivendere al doppio o triplo a Berlusconi. Naturalmente necessitava il solito finanziamento dell’Ambrosiano. L’affare era irrealizzabile anche perché il processo Calvi era in pieno svolgimento. Durante questo periodo il duo Carboni-Balducci mi propose di comperare una villa di proprietà dello stesso Balducci per una somma di quattrocento milioni. Mi fu anzi detto che se l’affare Tamponi fosse andato in porto la villa mi sarebbe stata offerta. Per allettarmi mi fu anzi prestata la villa per due week end durante questo periodo.
Il Carboni fu da me rivisto entro il mese di luglio solamente una volta. Avendo egli diverse imbarcazioni gli chiesi se era in grado di farmene affittare una per il mese di agosto. Egli si presentò un giorno con il Balducci ed un certo Sig. Merluzzi che si spacciava come consulente del cantiere Canados di Ostia. Dopo questa volta il Carboni fu rivisto solamente a Porto Rotondo ove si presentava senza essere invitato alle porte di Villa Monasterio.

b) Rapporti con il Balducci
Gli unici rapporti separati con il Balducci si sono verificati quando questi mi disse di necessitare il mio aiuto per due operazioni:
a) Finanziamento di un albergo-casino a Rio de Janeiro.
b) Aiuto per un suo “amico” il Comm. Costantini, onde esportare legname brasiliano verso gli Stati Uniti.
Trovandomi in Sud America incontravo il Balducci a Rio nella prima settimana di giugno. Insieme a lui si trovava il Comm. Costantini. La mia permanenza a Rio fu di due giorni. Mi resi conto che Balducci parlava di cose irrealizzabili e rientrai immediatamente in Europa. Ricordo anzi che incontrai per caso a Rio il giornalista Bongiorno che rimase con me tutto il tempo della permanenza in questa città. Durante una pausa delle discussioni con una società locale (di cui includo fotocopia del biglietto da visita) il Comm. Costantini mi mise sull’avviso nei riguardi del Balducci tanto da definirlo un pericolosissimo ricattatore. Al mio stupore sul motivo, dunque, della sua permanenza a fianco del medesimo questi mi rispose evasivamente dicendomi di essere obbligato a farlo. Altro personaggio presentatomi dal Balducci, una volta di passaggio da Losanna, fu il Sig. Ravello. Anche questo personaggio propose alcune operazioni da fare con l’Ambrosiano. Successivamente il Calvi mi disse che costui aveva effettuato operazioni “in nero” con diversi operatori italiani a cui non aveva corrisposto il dovuto in Svizzera. Era quindi da evitare accuratamente. I miei rapporti con il Balducci finiscono alla metà di luglio dopo che il Carboni me lo portò con il Merluzzi per il problema dell’affitto della barca.

c) Vacanza in Sardegna
La Villa Monasterio fu reperita dal Dr. Sergio Cusani collaboratore del Dr. Cabassi. Non fu corrisposto nessun canone di affitto per tale villa ed anzi lo stesso Dr. Cusani trascorse un periodo di vacanze con il sottoscritto, la Sig.na De Laurentiis e i coniugi Calvi. Tutte le spese di vitto furono sostenute dal sottoscritto ivi comprese quelle di sicurezza (Flashpol) e di personale Hotel San Marco.
Il Carboni era solito presentarsi all’ingresso della Villa senza essere annunciato. Un giorno riuscì ad ottenere un appuntamento per conoscere Calvi. Tale appuntamento fu fatto all’isola di Budelli. Il Carboni vi arrivò con una barca di ventidue metri e molte persone. Calvi trasbordò su questa barca per circa mezzora. Tra gli altri vi erano il Prof. Binetti; l’On. Pisanu ed un ambasciatore o diplomatico venezuelano. Il Carboni si invitò per cena a Villa Monasterio non ricordo se per la stessa sera o per la successiva.
Durante la cena il Carboni parlò allusivamente dei suoi stretti rapporti con Scalfari-Caracciolo, con certi settori del Vaticano e con il Ministero del Tesoro. La cena terminò con scambi di numeri telefonici da parte di Calvi e Carboni. Durante la vacanza mi pare che il Carboni venne solo un’altra volta per salutare il Pres. Calvi.
Durante questa vacanza fu da me invitato durante una giornata anche il Gen. Santovito. Questi ha una villetta a Stintino. Egli venne con la sua signora. Si trascorse la giornata in motoscafo e fece ritorno la sera a Stintino.

“Che succede al Banco Ambrosiano” – Agenzia Axel 05.11.1981

Lettera aperta al Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi.
Egregio Signor Governatore, sappiamo che nella Banca d’Italia, in tema di vigilanza sugli istituti di credito, da lungo tempo si combattono due opposte tendenze: quella favorevole ad un più deciso intervento dell’Autorità Centrale che faccia rispettare la legge bancaria (e non solo bancaria) riportando il credito alla sua utile funzione istituzionale; e quella che, in quest’area di dirigismo statalistico, ha paradossalmente abbracciato la politica del “laisser faire”, una politica soprattutto non dannosa alla propria carriera.
La prima tendenza, dopo i guai capitati al suo leader, il dottor Sarcinelli, è tornata nell’ombra, ma non per questo demorde dalle sue convinzioni; la seconda è quella che, sotto il segno di opposte bandiere, ha preso attualmente il sopravvento e che, a nostro avviso, nonostante il suo abile ruolo di mediatore, sta conducendo alla rovina il Paese. Le abbiamo più volte espresso i motivi della nostra convinzione e Le saremmo grati se Ella volesse in qualsiasi modo commentare quanto da noi affermato; ma questa volta vorremmo attirare la Sua attenzione sul Banco Ambrosiano, e cioè sulla più forte banca privata italiana che – pur godendo, secondo i suoi amministratori dell’appoggio della divina provvidenza – è sottoposta al controllo della Banca d’Italia.
Ebbene, nel Banco Ambrosiano, almeno a quanto dice la Magistratura o si legge sulla stampa, ne stanno succedendo di tutti i colori. Il suo Presidente, Roberto Calvi, condannato per infrazioni valutarie e incriminato per gravi reati che vanno dalla truffa al falso in bilancio, è stato riconfermato in tutte le sue cariche sociali. Interi partiti, come il PSI, finanziati, per esplicita ammissione dello stesso Calvi, per mezzo di linee di credito concesse sull’estero e, quindi, con parecchie violazioni di legge. Importanti gruppi editoriali, come quello RIZZOLI, indebitati fino all’osso con questa banca, centro di ‘piduisti’, e forse braccio operativo di oscure manovre politico-finanziario-mafiose. Ce ne
dovrebbe essere abbastanza per dar lavoro per anni a tutti gli ispettori della Vigilanza della BANCA D’ITALIA. E invece la BANCA D’ITALIA è tanto assente da far sembrare questa sua totale indifferenza di fronte a quanto appurato dalla Magistratura ordinaria, quasi un’omissione di atti d’ufficio.
Gravissimo, in tal senso, ci sembra l’episodio accennato dalla grande stampa di informazione e relativo a complicatissimi rapporti esistenti tra RAVELLI, il BANCO AMBROSIANO, la SAVOIA ASSICURAZIONI (del Gruppo RIZZOLI), lo stesso RIZZOLI e la SPARFI (società de LA CENTRALE), rapporti che attraverso la compravendita della BANCA MERCANTILE DI FIRENZE, sono stati in grado di concretizzare nel giro di due giorni, un utile di 2.336 milioni che non si comprende bene in quali tasche sia finito.
Senza addentrarci negli intricati particolari di questa operazione – che peraltro ricalca gli schemi preferiti di CALVI, con società del suo stesso gruppo che vendendosi fra loro qualche partecipazione fanno saltar fuori più di qualche
miliardo che poi sparisce – ci limitiamo a farLe osservare che, secondo quanto risulta dagli accertamenti della PROCURA DELLA REPUBBLICA DI MILANO:
1) il BANCO AMBROSIANO, su ordine della SAVOIA ASSICURAZIONI, ha distribuito 230 assegni circolari da 10 milioni ciascuno, frutto dell’operazione accennata.
2) funzionari del BANCO AMBROSIANO hanno consegnato assegni circolari per 200 milioni di lire, che fanno parte della stessa operazione cui ci riferiamo, senza identificare la persona, che li ritirava.
3) almeno uno di questi assegni circolari, che potremmo definire “di fantasia”, è finito all’estero.

Davvero singolare in questo brutto pasticcio il comportamento dei dirigenti del BANCO AMBROSIANO che in un, primo tempo tacevano perfino alla GUARDIA DI FINANZA che indagava sui 10 milioni finiti all’estero, l’operazione alla quale l’assegno incriminato si riferiva, e poi ammettevano (ma, solo dopo l’intervento del magistrato) che
la compravendita era avvenuta fra società dello stesso Gruppo AMBROSIANO.
Legittimo e fondato appare quindi il sospetto ingeneratosi negli inquirenti che i vantaggi di questa operazione, e cioè i 2.336 milioni, siano finiti nelle tasche di esponenti di primo piano del BANCO AMBROSIANO, mentre l’inerzia dell’Istituto Centrale appare, anche in questo caso, incomprensibile.
Per lungo tempo, infatti, perfino gran parte, della dottrina è stata favorevole a considerare inammissibile il potere di controllo dell’Autorità Giudiziaria ordinaria sugli istituti di credito, affidati all’ISTITUTO VIGILANZA della BANCA D’ITALIA e, dunque, non sottoponibili ad una doppia giurisdizione. Ma ora, Signor Governatore, come può un azionista del BANCO AMBROSIANO sentirsi garantito anche come cittadino italiano che non voglia correre il pericolo di dover ripianare un altro crack ‘alla SINDONA’?!
E’ quindi nostro indefettibile convincimento che l’Istituto Centrale non possa sottrarsi ulteriormente alla sua funzione di controllo almeno per quanto riguarda il BANCO AMBROSIANO, un controllo che per i suoi stessi fini istituzionali, non deve esercitarsi ed esaurirsi nell’ambito dell’eroica discrezione di qualche ispettore della VIGILANZA, ma deve essere reso pubblico nelle sue risultanze, quali che esse siano.
Per questo, Signor Governatore, ci permettiamo di rivolgerLe la seguente domanda: “Che succede al Banco Ambrosiano?” e sinceramente riteniamo che una risposta, competente, e circostanziata, da parte della “BANCA D’ITALIA sarebbe preferibile alle molte dannose illazioni che in materia bancaria, anche grazie alla disinvolta gestione del BANCO AMBROSIANO, si stanno facendo.

“Arriva la P2” – Estratto commissione di minoranza sulla P2

Nello stesso periodo (estate del 1977) anche il ” Corriere della Sera ” passava sotto il controllo combinato di Marcinkus e di Roberto Calvi. E qui occorrono due righe di spiegazione. Il grande quotidiano milanese non era di proprietà diretta della ” Rizzoli “, ma dell’ ” Editoriale del Corriere della Sera “, società in accomandita semplice, che, a sua volta, era controllata da tre società per azioni di pari valore (33,33 per cento ciascuna): la “Alpi”, della famiglia
Crespi; la “Crema”, di Angelo Moratti; e la “Viburnum” di Gianni Agnelli.
Quando i Rizzoli, nel 1974, avevano deciso l’acquisto dell'” Editoriale Corriere della Sera “, avevano rilevato in contanti le quote della famiglia Crespi e di Angelo Moratti, mentre si erano impegnati con Agnelli per rilevare, in un secondo tempo, il 33,33 per cento della ” Viburnum “.
Poi, negli anni successivi, le crescenti difficoltà economiche della casa editrice avevano costretto i Rizzoli a cedere in garanzia alla ” Cisalpine “, in cambio di finanziamenti ricevuti, il 100 per cento della ” Alpi ” e il 50 per cento della ” Crema “. In altre parole, i Rizzoli avevano dato praticamente in mano alla ” Cisalpine ” (vale a dire al tandem Calvi-Marcinkus) il 50 per cento della proprietà del ” Corriere della Sera “. Restava ancora libero quel 33,33 per cento
in possesso di Gianni Agnelli che i Rizzoli non avevano ancora potuto riscattare. Ma sempre in quell’estate del 1977, Calvi, questa volta come ” Banco Ambrosiano “, si impadronì della quota Agnelli pagandola 22 miliardi e 500 milioni. E adesso tiriamo le somme. Alla fine dell’estate del 1977, la situazione si presentava come segue: la ” Rizzoli ” era, per l’80 per cento, nelle mani di Marcinkus. Il ” Corriere della Sera “, a sua volta, era così controllato: un 33,33 per cento direttamente da Calvi tramite l’ ” Ambrosiano “; un altro 33,33 (” Alpi “) era integralmente nelle mani della “Cisalpine ” (Calvi-Marcinkus); il restante 33,33 per cento della ” Crema ” era suddiviso in due parti: una metà alla ” Cisalpine ” (sempre Calvi-Marcinkus), l’altra metà, rimasta formalmente alla ” Rizzoli “, era in realtà, anche questa, controllata dallo IOR, che deteneva l’80 per cento della ” Rizzoli “.
Abbiamo così dimostrato (anzi, lo dimostrano i documenti raccolti dalla Commissione) che la proprietà della ” Rizzoli ” e del ” Corriere della Sera “, a partire dall’estate del 1977, fu nelle mani di monsignor Marcinkus e di Roberto Calvi.

Estratto relazione di minoranza della commissione P2 – Giorgio Pisanò

Licio Gelli – dichiarazioni 17.02.1993

Io avevo in effetti conosciuto l’on.le Martelli a fine 1979 – inizi 1980, su presentazione del mio amico, dr. Fabrizio Trecca. L’on. Martelli venne a trovarmi alcune volte all’Hotel Excelsior a Roma e avemmo anche occasione di fare colazione una o due volte presso tale hotel. L’on. Martelli mi chiese qualche intervento sul “Corriere della Sera” affinché la posizione del giornale nei confronti del PSI fosse un po’ più favorevole. Egli mi disse che aveva già chiesto ciò sia ad Angelo Rizzoli sia a Tassan Din, che lui conosceva, ma non aveva ottenuto i risultati sperati. L’on. Martelli mi parlò poi – credo fosse la primavera del 1980, se ben ricordo – della situazione finanziaria, assai pensante, del PSI, che era esposto particolarmente nei confronti del Banco Ambrosiano. L’on. Martelli era preoccupato a causa dei continui solleciti del Banco Ambrosiano al partito perché rientrasse della esposizione debitoria. Mi chiese così di interessarmi della questione, sapendo che io avevo ottimi rapporti con Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano. Io promisi l’interessamento ed infatti ne parlai con Calvi, il quale mi confermò che l’esposizione debitoria del PSI era rilevante e per di più non era sufficientemente garantita.
Calvi si disse in difficoltà per questa situazione, però mi spiegò che forse si poteva trovare una soluzione. Disse in particolare che a quell’epoca i vertici dell’ENI erano socialisti e che si poteva trovare una via per risolvere i problemi finanziari del partito. Osservò che l’ENI manovrava all’estero una grande quantità di denaro – si parlava di migliaia di miliardi – e che tale ente avrebbe potuto effettuare dei depositi a società del gruppo Ambrosiano. Tali società avrebbero potuto corrispondere interessi inferiori a quelli dovuti e la differenza sarebbe stata trattenuta e destinata da Calvi a favore del PSI. Questa fu l’idea espostami da Calvi, e io, in base alle sue dichiarazioni, pensai che il gruppo Ambrosiano non dovesse rimetterci dei soldi e che, invece, potesse ricevere dei finanziamenti e contemporaneamente trovare un modo per avere dei rientri sulla situazione debitoria del PSI. Nella prospettazione di Calvi, a rimetterci sarebbe stato il gruppo ENI, che avrebbe percepito interessi inferiori rispetto a quelli normali. Calvi mi disse che era interessato ad avere una sorta di procura dell’ENI, per alcuni paesi esteri dove c’erano grossi interessi dell’ENI; egli si riferì in particolar modo al Canada. Si riprometteva di potersi occupare degli affari bancari dell’ENI e contemporaneamente di poter fare gli interessi del Banco Ambrosiano. In una tale prospettiva, egli sarebbe stato disposto a riconoscere dei benefici al PSI, sempre in funzione dell’obiettivo  di ripianare la situazione debitoria del partito verso il Banco Ambrosiano.
Sulla base delle proposte di Calvi, io riferii all’on. Martelli, e concordammo di vederci anche con l’on. Bettino Craxi, segretario del PSI. L’incontro si tenne nella casa romana dell’on. Martelli, che mi sembra fosse situata in via Giulia. Io ci andai accompagnato dal dr. Trecca e con l’auto di costui. Era una giornata assai piovosa e ricordo un particolare curioso. Io suonai lungamente, e bussai anche con le mani, alla porta dell’on. Martelli, che era al primo piano, ma nessuno venne ad aprire. Insistetti, poiché dalla fessura della porta filtrava la luce accesa. A un certo punto sopraggiunse l’on. Bettino Craxi, e gli esposi la situazione; anche lui provò a bussare, ma senza risultato. Si decise allora di mandare il dr. Trecca presso la sua auto, provvista di telefono, affinché telefonasse all’appartamento dell’on. Martelli. Fu così che riuscimmo ad entrare e l’on. Martelli si scusò perché si era addormentato. Io feci il punto sulle proposte che mi aveva fatto Calvi; l’on. Craxi e l’on. Martelli mi dissero che il fabbisogno del partito, per le sue esposizioni bancarie ammontava a circa 21 milioni di dollari, e che questa era la somma per la quale chiedevano l’intervento di Calvi. Dissero che avrebbero parlato delle proposte di Calvi al vertice dell’ENI e in particolare al vice presidente Leonardo Di Donna. Dopo pochi giorni seppi dall’on. Martelli che le proposte di Calvi potevano essere realizzate. Devo dire che in quell’epoca fra gli iscritti alla mia loggia P2 c’era Leonardo Di Donna, che fra l’altro da tempo aspirava a diventare presidente dell’ENI. Della mia loggia P2 facevano parte anche Fabrizio Trecca e Giorgio Mazzanti, già presidente dell’ENI. Non vi facevano, invece, parte l’on. Martelli e neppure l’on. Craxi, che io in effetti speravo di riuscire ad iscrivere. (…) La cosa però rimase nei miei intendimenti e io non ebbi il tempo di cercare di realizzarla, giacché, come noto, nel marzo 1981 scoppiò la vicenda P2. Proprio perché avevo contatti con Di Donna, seppi anche da lui che era stato informato delle proposte di Calvi. Di Donna mi confermò la sua disponibilità e mi disse che il gruppo ENI avrebbe fatto un deposito di 50 o di 75 miliardi di lire, non ricordo bene, al gruppo Ambrosiano. Mi parò anche di un deposito che la Tradinvest di Nassau, del gruppo ENI, avrebbe fatto al Banco Ambrosiano Andino per circa 50 milioni di dollari.
Di Donna disse che poteva accontentare Calvi anche per la procura dell’ENI a suo favore con riferimento al Canada. Io riferii a Calvi sia quanto avevo appreso dall’on. Martelli sia, soprattutto, quanto avevo appreso dal Di Donna. In prosieguo – non passò molto tempo – Calvi mi disse che il gruppo ENI aveva fatto un primo deposito attraverso il dr. Fiorini, che si occupava della finanza estera dell’ENI. Calvi aggiunse che aveva bisogno di conoscere un conto sul quale far pervenire 3,5 milioni di dollari a favore del PSI. Calvi mi disse che il versamento dei 3,5 milioni di dollari doveva avvenire sull’estero ed aggiunse di raccomandare che poi la cifra fosse rapidamente utilizzata per ridurre l’esposizione debitoria del PSI nei confronti del Banco Ambrosiano. Io riferii all’on. Martelli l’esigenza di avere un numero di conto sul quale fare l’accredito. Dopo qualche giorno, l’on. Martelli venne all’Hotel Excelsior e mi consegnò una busta intestata Camera dei Deputati. Adesso io non ricordo se davanti a me l’on. Martelli scrisse sulla busta il numero e la sigla del conto, Protezione, nonché l’indicazione della banca che era l’UBS. E’ possibile che invece tali indicazioni  fossero scritte su un bigliettino contenuto nella busta ed è anche possibile che tutto fosse già predisposto e che l’on. Martelli si limitò a consegnarmelo. Prendo atto che nel mio dattiloscritto sopra riportato e nella lettera di accompagnamento io avevo evidenziato che le annotazioni furono fatte dall’on. Martelli innanzi a me. Evidentemente all’epoca questi erano i miei ricordi e d’altro canto io inviai la lettera e il testo all’on. Martelli proprio per avere l’indicazione di eventuali inesattezze. Oggi, anche per il tanto tempo trascorso, non ricordo bene questo particolare. Sta di fatto che certamente fu l’on. Martelli che mi diede le indicazioni sul conto sul quale fare l’accredito. Potrà egli stesso, cosa che non fece a suo tempo perché non ricontrò la lettera, essere preciso nei particolari al riguardo.
Io trasmisi le indicazioni datemi dall’on. Martelli a Calvi, affinché provvedesse all’accredito e seppi poi da Calvi che l’accredito era in effetti avvenuto. Io poi mi annotai su un foglio dattiloscritto i vari dati relativi alle operazioni in corso di attuazione. Tale foglio venne poi rinvenuto in occasione del sequestro a Castiglion Fibocchi, unitamente alle annotazioni datemi dall’on. Martelli ed anche il testo della procura che Di Donna aveva fatto a Calvi, come incaricato dell’ENI presso il Canada. Io dovetti raccogliere le lamentele di Calvi, che si dolse con me del fatto che, nonostante l’avvenuto accredito all’estero, lo scoperto del PSI nei confronti del Banco Ambrosiano non era stato poi ridotto. Io riferii tutto ciò all’on. Martelli, il quale mi confermò la ricezione dell’accredito e il fatto che in realtà il partito non aveva potuto ridurre lo scoperto nei confronti del Banco Ambrosiano, a causa di esigenze più urgenti. L’on. Martelli aggiunse che era necessario un secondo versamento di pari importo, una sorta di anticipazione della seconda rata del programma globale concordato. Tale programma come ho detto prevedeva l’erogazione a favore del partito di circa 21 milioni di dollari in più tranches, da corrispondere in concomitanza con i depositi che il gruppo ENI doveva effettuare a favore del gruppo Ambrosiano. L’on. Martelli mi disse che, se avessero ricevuto un secondo accredito di 3,5 milioni di dollari, la metà sarebbe stata sicuramente versata a decurtazione dello scoperto del PSI a favore del Banco Ambrosiano. Riportai queste richieste a Calvi che rispose picche. Devo dire che dell’intera vicenda era informato fin dall’inizio Umberto Ortolani, comune amico mio e di Calvi. L’Ortolani aveva avuto così ampia occasione di essere messo al corrente di tutto sia da me sia da Calvi. Io credo di aver richiesto un suo particolare intervento quando Calvi si irrigidì. E in realtà Ortolani verso la fine dell’anno mi disse che Calvi si era convinto a fare un secondo versamento di 3,5 milioni di dollari, aggiungendo che però dovevano essere rispettati gli impegni di decurtazione sullo scoperto del PSI. Seppi, ancora in prosieguo, dall’on. Martelli che in effetti anche il secondo accredito era stato effettuato. Devo dire che di tutti questi sviluppi Leonardo Di Donna era messo al corrente, anche perché c’erano rapporti con me ed egli era d’altronde in contatto con l’on. Craxi. Credo che abbia anche saputo che gli accrediti vennero fatti sul conto Protezione presso UBS. Dopo lo scoppio della vicenda P2 io non ebbi occasione di parlare né direttamente, né per telefono con l’on. Martelli. Prendo atto che mi si domanda se io abbia mai saputo a chi fosse specificamente intestato il conto Protezione presso UBS. Io non lo ho mai saputo, anche perché ritenevo il particolare di scarsa rilevanza e non mi interessava. Sapevo che si trattava di un conto nella disponibilità dell’on. Martelli o dell’on. Craxi e comunque del PSI proprio per le circostanze che ho innanzi riferito. Mi risultava quindi del tutto trascurabile la questione della effettiva intestazione del conto. Prendo atto che mi viene richiesto se io abbia mai conosciuto Silvano Larini ed altresì sa abbia mai conosciuto Gianfranco Troielli e Ferdinando Mach di Palmstein. Non ho mai avuto alcun rapporto con tali persone né le ho mai conosciute.