Parimenti, Giocacchino Pennino ha confermato che Calvi gestiva il denaro di Cosa Nostra, che il banchiere non aveva onorato l’impegno preso con Cosa Nostra, che non era stato più nelle condizioni di restituire il denaro e che l’organizzazione, per il tramite di Vitale, si stava attivando per recuperarlo. In particolare, ha articolato il suo racconto nei termini che seguono. Aveva appreso da Bontate e, soprattutto, da Giacomo Vitale che i proventi illeciti delle famiglie di Santa Maria del Gesù, di Uditore-Passo di rigano, le quali facevano capo, rispettivamente, a Bontate e a Inzerillo, erano stati convogliati nelle holding di Sindona. Erano stati fatti confluire anche soldi di altre famiglie, collegate alle due, ma che non sapeva indicare. Nella seconda metà degli anni ’80 aveva appreso da Giuseppe Marsala, il cui diminutivo era “u Pinuzzu”, e da Giacomo Vitale, il quale, in quegli anni, si era recato al suo laboratorio di analisi cliniche, in quanto “doveva recuperare i loro capitali, i capitali fuori famiglia mafiosa, della sua famiglia di sangue”. Costoro lo avevano reso edotto del fatto che Sindona ”quando vi fu il crack delle sue banche (…) canalizzò (…) il denaro presso il Banco Ambrosiano di Calvi”.
Egli era a conoscenza del fatto che il Banco Ambrosiano “aveva nel suo statuto delle facoltà di gran lunga superiori” a quelle degli altri istituti. Gli era stato detto che vi erano dei “vantaggi legati alla gestione del denaro”, ma non poteva specificare quali perché non era un tecnico. Sindona aveva degli “impegni di carattere economico perché deteneva i soldi” delle famiglie mafiose e “quando ebbe il crack, li dovette restituire”. Una parte era riuscito a restituirli e la restante la “canalizzò” nel Banco Ambrosiano di Calvi… che era pur sempre di origine cattolica”. Sindona aveva rispettato i suoi impegni con Cosa Nostra. Sempre dalle stesse fonti aveva appreso che Calvi aveva preso degli impegni con appartenenti a Cosa Nostra e che “non aveva onorato.. l’impegno preso” e “non aveva restituito il denaro che… gestiva”. Calvi aveva ottenuto delle risorse finanziarie tramite lo IOR. Lo Ior è l’Istituto opere religiose, la banca del Vaticano, all’epoca diretta da mons. Marcinkus, e Calvi gestiva anche parte delle finanze di origine vaticana.
Giacomo Vitale si era recato da lui perché voleva sapere se fosse “nelle condizioni di reperire Licio Gelli”. Egli non era nelle condizioni di farlo e gli aveva risposto che non aveva la possibilità. Lo scopo che “si prefiggeva era quello di rientrare del denaro che era stato consegnato a suo tempo al banco Ambrosiano di Calvi” per rientrare “in possesso”. Agiva per sé, per la sua famiglia di sangue e per la famiglia di cui faceva parte. Vitale si era rivolto a lui perché “sapeva che era massone e che aveva avuto la possibilità di conoscere un po’ tutti i massoni dell’epoca”. Tali indicazioni sono state in buona sostanza ribadite nel prosieguo della sua deposizione in sede di controesame della difesa: riferiva che Vitale gli aveva dato l’impressione che cercasse Gelli per poter recuperare il denaro del banco Ambrosiano, e gli aveva detto che i loro capitali erano nel Banco Ambrosiano. Invitato a precisare se gli avesse dato l’impressione o se glielo avesse detto che vi era un nesso tra la ricerca di Gelli e il denaro del Banco Ambrosiano, ha sottolineato che erano trascorsi circa vent’anni e non poteva avere una visione precisa “di problemi” che non lo interessavano. Aveva ascoltato “mal volentieri fatti” che non lo riguardavano.
Gli veniva ricordato che, in data 10.2.2004 aveva dichiarato: “Nella circostanza di questo… di questo colloquio mi disse anche che cercava di mettersi in contatto con Licio Gelli per poter recuperare il denaro che ormai Calvi non poteva più restituire”. Pennino ribadiva che Vitale “doveva recuperare i soldi del Banco Ambrosiano”. (…) Non gli aveva spiegato cosa c’entrasse Gelli con il denaro di Calvi, con quali modalità Sindona aveva trasmesso i soldi a Calvi, quale fosse il quantitativo di denaro, e se la mancata restituzione di soldi da parte di Calvi fosse stata preceduta da richieste di restituzione. Egli si limitava ad ascoltare.
Aveva avuto per la prima volta notizia che i mezzi finanziari affluivano nelle holding di Sindona nella metà degli anni ’70. Sindona era un banchiere che si diceva operasse tanto in Italia quanto in Svizzera e all’estero, ove agiva con la Franklin Bank. Il fatto che il denaro confluisse nelle holding di Sindona lo aveva saputo da Bontate e da Vitale, nei momenti di frequentazione. Vitale non era un uomo d’onore, mentre Bontate era il capo mandamento della famiglia di Santa Maria del Gesù ed era suo coetaneo, entrambi erano nati nel 1938, e da sempre lo aveva frequentato. Entrambi si recavano nella casa di suo zio Gioacchino Pennino, che fu una delle persone più rappresentative di Cosa Nostra.
Aveva appreso soprattutto da Giuseppe Marsala – uomo d’onore della famiglia di Santa Maria del Gesù, che nel periodo in cui aveva avuto rapporti con lui ricopriva un ruolo di comando e di coordinamento in quella famiglia – che parte dei capitali consegnati a Sindona erano poi confluiti nelle holding di Calvi. Quando si era verificato il crack finanziario di Sindona aveva restituito una parte dei capitali a Cosa Nostra e la restante l’aveva dirottata, “certamente con il placet di coloro che gli avevano affidato il denaro al Banco Ambrosiano di Calvi”.
Estratto dalla requisitoria del pm Tescaroli riportata nel libro “Dossier Calvi”.
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