Omicidio Mattarella – articolo Alberto Di Pisa 17.07.2016

Della possibilità di una “pista nera” e di una compenetrazione di questa con la pista mafiosa nell’omicidio del Presidente della Regione, era convinto lo stesso Falcone il quale, nella audizione del 3 novembre 1988, dinanzi la Commissione parlamentare antimafia dichiarava : “Il problema di maggiore complessità per quanto riguarda l’omicidio Mattarella deriva dall’esistenza di indizi a carico anche di esponenti della destra eversiva quali Valerio Fioravanti. Posso dirlo con estrema chiarezza perché risulta anche da dichiarazioni dibattimentali da parte di Cristiano Fioravanti che ha accusato il fratello, di avergli detto di essere stato lui stesso, insieme con Gilberto Cavallini, l’esecutore materiale dell’omicidio di Piersanti Mattarella. E’ quindi un’indagine estremamente complessa perché si tratta di capire se e in quale misura “la pista nera” sia alternativa rispetto a quella mafiosa, oppure si compenetri con quella mafiosa. Il che potrebbe significare saldature e soprattutto la necessità di rifare la storia di certe vicende del nostro Paese, anche da tempi assai lontani”. Alla domanda rivoltagli dal presidente della Commissione Violante se Fioravanti fosse incriminato per questo delitto, dopo avere dato risposta affermativa, ricollegava l’indagine sull’omicidio Mattarella ad altre delicate indagini. Riferiva in proposito :”Ci sono stati grossi problemi di prudenza in relazione a procedimenti in corso presso altre giurisdizioni, quale ad esempio il processo per la strage di Bologna in cui per parecchi punti la materia è coincidente. Ci sono collegamenti e coincidenze anche con il processo per la strage del treno Napoli-Firenze-Bologna che è attualmente al dibattimento, collegamenti che risalgono a certi passaggi del “golpe Borghese”, di cui possiamo parlare perché se ne è già parlato nel dibattimento, in cui sicuramente era coinvolta la mafia siciliana. Ciò risulta dalle dichiarazioni convergenti, anche se inconsapevoli, di Buscetta, di Liggio   di Calderone. Ci sono inoltre collegamenti con la presenza di Sindona, sono tutti fatti noti. Questi elementi comportano per l’omicidio Mattarella, se non si vorrà gestire burocraticamente questo processo, la necessità di una indagine molto approfondita che peraltro stiamo svolgendo e che prevediamo non si possa esaurire in tempi brevi”. (Audizione di Giovanni Falcone. Dal resoconto stenografico della seduta del 3 novembre 1988 della Commissione Parlamentare Antimafia).

Questa convinzione fu avvalorata dall’avere lo stesso Falcone. , nel frattempo passato in Procura come Procuratore Aggiunto, firmato, insieme agli altri magistrati che si occupavano delle indagini, la richiesta di rinvio a giudizio di Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini nonchè dei componenti della cupola mafiosa. Falcone e gli altri magistrati della Procura erano infatti fermamente convinti che i due terroristi di estrema destra, membri del Nar, fossero gli esecutori materiali del delitto nell’ambito di una cooperazione tra movimenti eversivi e Cosa Nostra.

Ha riferito poi, di recente Massimo Ciancimino che il padre aveva avuto la conferma, da parte di Bernardo Provenzano che per l’esecuzione dell’omicidio del Presidente della Regione erano stati impiegati terroristi venuti da fuori e che a seguito di tale confidenza il padre aveva sospettato un coinvolgimento dei servizi in quanto riteneva anomalo per Cosa Nostra agire in questo modo.

In particolare dichiarava Massimo Ciancimino ai PM Ingroia e Di Matteo nel luglio del 2015 : “Mio padre diceva che c’era un’anomalia in quell’omicidio, che si erano serviti di manovalanza romana legata ai brigatisti rossi, neri, non mi ricordo che colore era…mio padre apprese da Purpi , questo personaggio dei servizi, che c’era stato uno scambio di favori e chiese spiegazioni a Provenzano come mai in occasione di un eccidio così feroce, così eclatante, non si adoperava la prudenza di lasciare tutto in un territorio stagno, perché rendere partecipi e a conoscenza un’altra organizzazione che ha dei fini che sono completamente diversi dal vostro. Gli fu detto che era uno scambio di favori”

Dell’omicidio Mattarella parlò anche Alberto Volo, militante di estrema destra il quale disse :“L’omicidio Mattarella era stato deciso perché quello di Reina non aveva sortito l’effetto sperato”. Facendo poi riferimento ad un colloquio intervenuto con l’esponente di Terza posizione Ciccio Mangiameli, poi ucciso a Roma dallo stesso Valerio , riferiva Volo “A proposito di una mia precisa domanda, Mangiameli mi disse che l’omicidio Mattarella era stato deciso in casa di Licio Gelli, persona quella di cui sentii fare il nome per la prima volta in quella occasione. Quando gli chiesi chi fosse, Mangiameli rispose che si trattava di uno dei capi della massoneria”

Questa la situazione quale cristallizzata ad oggi a seguito della sentenza definitiva che, come si è detto, ha riconosciuto la responsabilità per il delitto dei soli componenti della cupola mafiosa escludendo qualsiasi partecipazione del Fioravanti e del Cavallini quali esecutori materiali del delitto. Non può però omettersi di rilevare che le dichiarazioni dei pentiti di mafia, che hanno ricondotto esclusivamente alla mafia l’omicidio Mattarella, sono apparse in contrasto tra loro per quanto riguarda l’individuazione dei killer che entrarono in azione, avendo ciascuno di loro indicato soggetti diversi. Nessun esecutore infatti è stato individuato e condannato.

Non si è a conoscenza degli elementi nuovi sopravvenuti che avrebbero giustificato la riapertura delle indagini indirizzando e probabilmente valorizzando la c.d. pista nera o ipotizzando l’intervento nel grave delitto di entità diverse che potrebbero avere avuto un interesse alla eliminazione del Presidente della Regione che era stato, sin dall’inizio del suo mandato, portatore di una linea di rinnovamento e di apertura alla sinistra soprattutto nel delicato settore degli appalti pubblici che è il settore in cui convergono e si saldano gli interessi politico mafiosi, con la conseguente volontà da parte di ben individuati ambienti politici, legati ai vertici della mafia, di interrompere la politica di apertura ai comunisti da Mattarella avviata e prima di lui da Michele Reina.

Da quanto peraltro emerso dalle indagini allora effettuate, anche se non sfociate in un definitivo accertamento giudiziario, non è priva di fondamento la tesi sostenuta da Falcone e dagli altri pubblici ministeri della Procura di Palermo secondo cui sarebbe stato Pippo Calò a fare da tramite tra Cosa Nostra e i terroristi neri per la realizzazione dell’omicidio del presidente della regione siciliana. Sarebbe stato infatti Calò, esponente di spicco della commissione mafiosa, con l’incarico di tenere i rapporti con le altre organizzazioni criminali, ad ingaggiare Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini per l’esecuzione dell’omicidio. I giudici di Palermo definirono Calò “un mafioso atipico” il cui nome compare sempre nelle vicende più torbide del nostro Paese. Ciò costituirebbe la prova della compenetrazione tra terrorismo mafia ed altri organismi e cioè di quella saldatura che, come sostenuto da Falcone, comporterebbe la necessità di una rilettura di tutte le più gravi vicende criminali del nostro paese. Non per nulla, nel corso della sua audizione dinanzi alla Commissione parlamentare antimafia, Falcone evidenziò, come si è visto, collegamenti e coincidenze dell’indagine sull’omicidio Mattarella, con il processo per la strage del treno Napoli-Firenze-Bologna, con il “golpe Borghese”, in cui sicuramente era coinvolta la mafia siciliana, con la presenza di Sindona in Sicilia avvenuta con la collaborazione della mafia e della massoneria.

Io credo che una riapertura delle indagini dovrebbe muoversi nella direzione tracciata da Falcone anche se non potrà non tenersi conto che, per quanto riguarda determinati personaggi, tra cui Valerio Fioravanti, questi ormai, ove dovessero essere accertate responsabilità nei loro confronti, non potranno più essere perseguiti essendo intervenute sentenze passate in giudicato che li hanno definitivamente scagionati.

Fonte: http://www.siciliainformazioni.com/fonso-genchi/369923/2reina-mattarella-moro-stesso-movente-politico

Antonio Labruna dichiarazioni 07.02.1990

Confermo quanto ho gia’ detto alla sv, di cui ricevo lettura, nel pp 318/87 contro Zamir e Maletti e altri per fatti relativi alla caduta di Argo 16. Circa la gestione del reparto D da parte del generale Maletti, periodo coincidente con l’epoca: 23.11.73 della caduta del velivolo, preciso che detta gestione fu caratterizzata da fatti che ho gia’ narrato, e ribadisco che il velivolo, fino al giorno della caduta, era gestito dal colonnello Minerva, l’ aereo veniva adoperato anche da lui per la coltivazione di contatti da egli intrattenuti con Malta, Don Mintoff, e con i libici. Tanto mi disse lui stesso nelle circostanze gia’ da me narrate.

Cio’ ovviamente previo accordo autoritativo del generale Miceli. Ritengo che la gestione dell’ Argo 16 da parte di Minerva non fosse di carattere esclusivo. Circa la gestione Maletti voglio precisare che il 06.01.74, lo ricordo perche’ era il giorno della Epifania, io, dietro segnalazione del consigliere Niutta, del consiglio di stato, amico di Cefis, mi recai nello studio del professor vassalli. Tanto accadeva in un contesto in cui le pubblicazioni di Pecorelli mi attaccavano continuamente.

Vassalli mi ricevette e io, oltre ai predetti attacchi, gli parlai degli accertamenti sul golpe Borghese, cominciati nel 1972, e della circostanza cui io, ero stato estromesso dagli accertamenti conseguenti alle rivelazioni di Orlandini, accertamenti devoluti dal generale Maletti al solo Romagnoli, capo della III sezione polizia militare: tanto era avvenuto subito dopo l’ incontro, di cui gia’ ho detto, con il ministro della Difesa. I nastri di Lugano che erano due, e quelli ulteriori e pregressi registrati, da me solo, nel corso degli incontri avuti con Orlandini, per ordine di Maletti assieme alle trascrizioni relative – e dopo l’ incontro con il ministro – furono gestite solo da Romagnoli, che redasse il rapporto avvalendosi progressivamente solo del maresciallo esposito, che in sostanza mi sostitui’ e cio’ anche nei miei rapporti con Maletti.

L’ incontro con il ministro della Difesa voglio precisare che avvenne successivamente al 06.01.74, data del mio contatto con il professor Vassalli, e verosimilmente va inquadrato come mi viene detto ha sostenuto il Romagnoli, nel giugno luglio del 1974, allorche’ io, gia’ estromesso dalle indagini, ero delegato dal Romagnoli unicamente a intrattenere contatti esterni. Al 06.01.74, ovviamente, il rapporto Romagnoli non era stato consegnato alla magistratura e io temevo la conseguenza del fatto che si era deciso da parte di Maletti e Romagnoli, di dare una impostazione al rapporto finale diverso dal reale contenuto delle rivelazioni di Orlandini, di cui alle bobine nonche’ dalle risultanze della relazione, da me prodotta in copia, di Giannettini, risalente al 1973, relazione che ricevetti io dalle mani dello stesso a Roma, corredata da un appunto sulle attivazioni del Torrisi circa il golpe, appunto che io rividi con la relazione nel 1977, esibitami da Maletti, priva pero’ dell’ allegato appunto.
In tale circostanza Maletti mi disse di non produrre la relazione Giannettini alla corte di assise di Catanzaro e di non parlare del Torrisi “che dovra’ diventare capo di stato maggiore della difesa”. Tale incontro e’ inquadrabile temporalmente nell’ intervallo tra l’interrogatorio di Maletti ed il mio, sostenuto dopo una settimana.

Nel rapporto finale non fu denunciato Delle Chiaie nonche’ altri: il predetto era il capo effettivo di Avanguardia Nazionale, cio’ emergeva – e mi riferisco al ruolo di Delle Chiaie – dalle dichiarazioni di Orlandini, Degli Innocenti, Nicoli. Sempre in ordine alla gestione del generale Maletti preciso che egli si rapportava, con incontri ripetuti, direttamente al Giannettini, che, dai tempi del generale Aloja, e’ stato sempre in contatto con i vertici militari e del Sid. Fu alla fine del 1972 che Maletti mi chiese di fare da tramite e non volle piu’ contattarlo personalmente.

All’ epoca io portavo a Giannettini 50 mila lire al mese, datemi all’ uopo dal generale Maletti. Io, a quest’ ultimo, nel successivo novembre del 1972, dissi che il suo amico Paglia guido mi aveva proposto un contatto con Delle Chiaie a Barcellona, raccomandandomi che non gli dovevo chiedere fatti pertinenti al golpe. Gia’ il Paglia mi aveva consegnato un rapporto sulla attivita’ di avanguardia nazionale, molto dettagliato, e ove si adduceva anche che il Delle Chiaie era in contatto con d’ amato e con gli uomini dell’ ufficio affari riservati: dr Drago. Il rapporto precitato l’ ho consegnato al pm Ionta nel 1989 e, all’ epoca, lo consegnai a Maletti, senz’ altro prima del novembre 1972: tale rapporto Maletti, non lo produsse nel procedimento contro il Borghese ed altri, ne’ a Catanzaro. Tale rapporto io l’ ho ricevuto tre o quattro anni fa dal giornalista Biasucci di “Momento Sera”.

Quando io volli esperire verifiche di archivio o pratiche in ordine alle rivelazioni di Orlandini e che sapevo giacere al servizio, Maletti mi rispose negativamente in presenza del genovesi della 1 sezione, che confermò che nell’ archivio del servizio del D nulla c’ era, in quanto il materiale riguardante gli extraparlamentari di destra – quindi anche il materiale sul golpe Borghese – era custodito nella cassaforte della 1 sezione da lui gestita. In sostanza Maletti mi rappresento’ che voleva cominciare gli accertamenti ex novo. ­

Lettera del Ministro Andreotti al procuratore Siotto – 15.09.1974

Chiarissimo Dottore,

sui primi del luglio di quest’anno il generale Miceli mi rendeva noto che il Sid aveva condotto a termine una vasta raccolta informativa sui temuti fatti eversivi del dicembre 1970, attorno ai quali sono tuttora aperte le indagini istruttorie della Magistratura romana.
Nel corso di questa ricerca il Servizio aveva raccolto anche la voce che nell’imminente mese di agosto sarebbe stata tentata nuovamente qualcosa del genere.

Senza indugi venivano informati di quest’ultima prospettiva il Comandante dell’Arma e il Capo della Polizia, nonché gli organi militari perché evitassero un eccessivo alleggerimento di forze nel periodo indicato, usualmente destinato a ferie quasi universali.

Poiché peraltro lo stesso generale Miceli dichiarava che l’attendibilità delle fonti non era ancora valutabile, invitavo lo stesso generale ed il suo successore ammiraglio Casardi (per alcune settimane vi è stato l’affiancamento nel comando) ad approfondire con i mezzi disponibili la rilevazione eseguita, dovendo il Sid evitare il contrap­posto errore: di non trasmettere agli inquirenti ogni ele­mento utile per fare giustizia e, viceversa, di trasmettere carte non controllate ed aventi quindi la squallida fragilità delle anonime. Perché tale cernita fosse tuttavia al riparo da ogni possibile compiacenza, si rendeva edotto il Capo di S.M. della Difesa, ammiraglio Henke, e – per aspetti da loro controllabili – il Comandante dell’Arma dei Carabinieri, generale Mino e il Comandante della Guardia di Finanza, generale Borsi di Parma. Anche il Capo di S.M. dell’Esercito, generale Viglione, veniva interessato per condurre al massimo li­vello alcuni rilievi. Nel frattempo il Sid rimetteva ai giudici di Padova elementi informativi interessanti il generale di brigata Ricci, sul quale appunto quei giudici hanno portato da qualche mese la loro attenzione.

L’ammiraglio Casardi mi consegna ora l’accluso fascicolo, con tre memorie che analiticamente riassumono il frutto della operazione condotta dal Servizio. Nel trasmetterle alla S.V. mi corre l’obbligo di accompagnarle con alcune osservazioni ed una informazione:

1)Pur avendo criticamente selezionato le notizie acquisite, il Sid non può assumerne la garanzia di corrispondenza al vero. Si tratta quindi di indizi che gli organi di poli­zia giudiziaria dovranno verificare e sviluppare autonomamente;

2) Le fonti del SID, come si vede dall’allegato, continuano ad accreditare la notizia di una sia pur parziale occupazione del Ministero dell’Interno il giorno 7 dicembre 1970. Al riguardo si è ritenuto doveroso richiamare l’attenzione sia del ministro dell’epoca, on. Restivo, che del ministro attuale, on. Taviani.

L’onorevole Restivo, che già in Parlamento aveva smentito categoricamente il fatto, conferma che i suoi uffici esclusero senza tema di equivoci che ciò fosse avvenuto. D’al­tra parte il Capo della Polizia attuale, incaricato dal mini­stro Taviani, ha rinnovato riservate indagini al termine delle quali è pervenuto alla medesimi conclusione. Specificamente ha escluso che manchino le armi di cui secondo gli informatori del SID si sarebbe dovuta evidenziare la scomparsa (un certo numero di moschetti automatici).

3) Riguardo agli avvenimenti della notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1970, il SID, avuta, da un informatore notizia di movimenti sospetti di giovani del Fronte Nazionale, di Europa Civiltà e di Ordine Nuovo, dette – secondo quanto mi si dice – immediata comunicazione agli organi operativi del Ministero dell’Interno e dei Carabinieri. In più una macchina dello stesso SID andò a verificare nei pressi del Viminale se qualche cosa stesse accadendo. Nulla emerse da questo sopralluogo pur essendosi protratto fino all’alba. Ma i due agenti del Sid sostarono sulla piazza, mentre gli informatori odierni accennano ad ingressi e uscite secondarie del Ministero, non certo con­trollabili dalla piazza del Viminale.

Ma questo, se non mi si informa in modo improprio, già dovrebbe essere a conoscenza della Giustizia.

4) Altro punto su cui non si è avuta la minima conferma è il coinvolgimento della persona dell’ammiraglio Roselli Lorenzini. La Guardia di Finanza, incaricata di questo, non ha raccolto anche il più remoto indizio di veridicità. Né diverso è stato l’esito di un passo fatto fare, in ambiente della Marina, dall’ammiraglio Casardi.

5) E’ stata portata, infine, a mia conoscenza la esistenza di una dichiarazione registrata su filo, fatta spontaneamente da uno degli indiziati – già incarcerato e poi rilasciato – a due ufficiali del Servizio, che hanno escluso la corresponsione di qualsiasi contropartita per questa sostanziale “confessione”. Non è, almeno a me, facile spiegare il perché di un simile comportamento né può escludersi l’esistenza di manovre diversive o di programmate ritrattazioni volte a far confusione. E neppure si è in grado di dire quanto siano conformi a verità anche alcune affermazioni accessorie rispetto al tema principale. Ritengo tuttavia doveroso portare il fatto a conoscenza della S.V., tanto più che uno dei due ufficiali appartiene all’Arma dei Carabinieri e come tale può avere con Loro magistrati un rapporto istituzionale. A domanda, il capitano La Bruna metterà quindi a disposizione la registrazione effettuata.
Mi auguro che in qualche modo l’opera del servizio riesca comunque utile al compito della Procura e del Giudice Istruttore per far luce su avvenimenti dei quali lo coscienza democratica della Nazione attende da tempo di conoscere la realtà e la consistenza.

Non occorre che Le dica che il Ministero è a disposizione in qualunque altra evenienza possa cooperare al Loro difficile lavoro.

Con distinti saluti

 

Lettera del Ministro Andreotti al procuratore Siotto – 15.09.1974, poi rinvenuta fra le carte di Pecorelli.

Giulio Andreotti – audizione in commissione stragi – 17.04.1997 quarta parte

PRESIDENTE. Le voglio fare un esempio che i colleghi avvocati Saraceni e Cirami apprezzeranno. Se si va nello studio di un avvocato o nello studio di un magistrato e si consulta l’Enciclopedia del diritto di Giuffrè, sotto “Dir”, si trova la voce Diritto civile. Questa è stata scritta da uno dei maggiori giuristi italiani del secolo, un liberale, un democratico. Ebbene le ultime cinquanta righe di quella voce rappresentano un grido di allarme ed io le ho volute riportare per questo nella proposta di relazione. Nell’atmosfera del 1964 e del centro-sinistra addirittura Rosario Nicolò preconizzava “la fine del diritto civile…  splendida creazione dell’intelletto e dell’attività umana” ed insieme “la fine sul piano etico e sociale di valori ancora più sostanziali che investono la stessa dignità dell’uomo, come essere libero e dei quali il diritto civile costituisce la forma giuridica”. Se un giurista nutre una tale preoccupazione non ha altre armi se non quella di impugnare la penna e scrivere una voce dell’Enciclopedia del diritto. La domanda è: cosa fa un generale, cosa fa un uomo degli apparati di sicurezza se nutre lo stesso tipo di preoccupazione? Ecco perché tutto questo non fa parte di una storiografia fantasiosa o enfatizzata. Che poi tutte queste paure fossero irreali ci è dimostrato dalla storia perché alla fine la democrazia ha tenuto. Ed è merito delle classi politiche dell’epoca se queste tentazioni sono restate tali; la tensione però è nata da questo, da tensioni reali che c’erano nella società. Se un giurista scrive, un generale, un colonnello, Federico Umberto D’Amato, avranno fatto una serie di altre cose. lo sto parlando del mio Maestro, giacché ero assistente di Nicolò quando scriveva quella voce dell’Enciclopedia del diritto ed era un uomo che conosceva il mondo, era un grande avvocato.

ANDREOTTI. Non solo il potere politico ma anche le Forze armate come tali sono state immuni. Ritengo che se ad un certo momento a qualcuno fosse venuto in mente sul serio di applicare il piano Solo non avrebbe avuto la partecipazione neppure dell’Arma dei carabinieri. E’ mia opinione perché le Forze armate come tali non hanno mai condiviso questo; è storia, che ognuno può ricostruire. E’ chiaro che la svolta politica del centro-sinistra era stata una svolta importante, ho ricordato anche altre volte che al primo Consiglio Nato il ministro del bilancio Giolitti non poté partecipare perché non aveva il visto Nato.

SARACENI. Nenni lo sentì il rumore di sciabole o se lo inventò?

ANDREOTTI. Sono grato a Nenni perché, come ho detto la volta scorsa, nel suo diario, che è pubblicato, ha chiarito che De Lorenzo fu nominato Capo di Stato Maggiore non perché fosse il mio candidato, giacché il mio candidato era un altro, ma per i suoi precedenti partigiani.

SARACENI. Anche Sogno è stato partigiano.

ANDREOTTI. Comunque devo dire che non ho sentito un tintinnare di sciabole. Devo dire che vivendoci dentro avrei sentito più facilmente se vi fosse stato e questo lo dico da un punto di vista storico; anzi adesso potrei quasi dire che se uno riconosce che proprio i politici non hanno dato seguito a questo potrebbe anche essere un giudizio comodo, ma non sarebbe giusto.

PALOMBO. Perché non ci si viene a dire dove erano dislocati i reparti operativi dell’Arma in quel periodo, in quella fase, dove stavano facendo i campi. Risulta che erano disseminati in tutta Italia e non avevano la possibilità di arrivare a Roma in 24 ore perché non c’erano neppure i mezzi di trasporto. In quella fase la 121 brigata era comandata dal generale Lorentelli ed aveva 13 battaglioni che erano dislocati in tutta Italia. Proprio in quella fase tre battaglioni si trovavano a Foce di Reno per esercitazioni a fuoco e non c’erano, per portarli, mezzi ferroviari o altro. Se si vuole organizzare un colpo di Stato si deve andare sulla Capitale e nelle città più importanti, insomma far accentrare i mezzi corazzati in quelle zone.

ANDREOTTI. Ritengo comunque di aver risposto, nel senso che credo che chiunque ha preso o ritenuto di prendere delle iniziative di questo carattere eversivo – se fosse in buona fede o no lo vedrà il Signore nell’altro mondo – certamente ha camminato fuori di quella che era una linea partecipata dal potere politico, dal Parlamento e devo dire dalle Forze armate come tali.

CO’. Senatore Andreotti, vorrei partire con una domanda su Gladio. Lei all’epoca fece una relazione al Parlamento che è stata smentita almeno su tre punti. Il primo riguarda il numero dei gladiatori; il secondo l’assenza, che lei dichiarò in questa relazione, di appartenenti all’estrema destra; il terzo è che lei omise di dire che la struttura era stata sostanzialmente disattivata nel 1972. Oggi lei è in grado di dirci sulla base di quali indicazioni e da parte di chi riferì queste inesattezze? Oggi può dirci i nomi dei responsabili di queste errate informazioni sulla base delle quali lei ha riferito in Parlamento?

ANDREOTTI. Rispondo senz’altro, ma credo che bisogna prendere atto che almeno due di queste cose non sono state invece smentite: per quello che riguarda il numero, ho detto prima che noi facemmo una riunione con il capo del servizio e con il capo della struttura (il capo del servizio era l’ammiraglio Martini, il capo della struttura era il – forse ancora – colonnello Inzerilli). Chiedemmo in maniera assoluta di darci per iscritto l’elenco e demmo incarico al comandante dei carabinieri e al Capo della polizia di verificare se in questo elenco vi fossero persone che avessero avuto delle controindicazioni di carattere politico. Il numero che, fino a prova contraria, devo ritenere effettivo è quello che mi hanno dato. E’ vero che sarebbe emerso (mi sembra che anche in questa commissione siano state riferite delle distribuzioni di archivi) ma, fino a prova contraria, debbo ritenere che il numero che fu dato e trasmesso al Parlamento fosse quello effettivo. Non ho elementi per poter dire di no: discutere se il numero fosse eccessivo o limitato non so. Naturalmente, l’unico modo che un ministro ha per poter riferire al Parlamento è quello di dire alla struttura: vi obbligo a dire tutto. Tanto è vero che, ho detto prima, cosa che non mi è capitata quasi mai di dover dire, dissi: guardate che se mi dite delle cose che non corrispondono vi potete considerare dimissionari. I numeri che ho dato erano questi, per dimostrare che quel numero non è vero bisogna documentarlo in qualche modo.
La verifica, fatta nello spazio di tre o quattro giorni da parte del comandante dell’Arma e del Capo della polizia, portò a dire che nessuno di questi elementi avesse delle controindicazioni.
Da che cosa venne fuori l’ipotesi che invece fossero stati di più? Dal fatto che il servizio dopo che erano state scrutinate un numero di proposte molto ampie, selezionate. Del resto, devo credere alle persone in via di principio.

PRESIDENTE. Gli ultimi risultati della indagine della procura romana li ha visti?

ANDREOTTI. No. Quali sarebbero?

PRESIDENTE. L’ultimo documento che abbiamo ricevuto noi.

ANDREOTTI. Non ho avuto dei documenti, ma so che i responsabili sostenevano che vi era una rigorosa selezione; quindi, quando venivano proposti dei nomi, un certo numero ne venivano scartati proprio perché avevano delle ombre di politicizzazione. Con questo non voglio dire che fossero ombre di per sé negative. Ci fu poi un equivoco sulla data di chiusura effettiva della struttura invece che dello smantellamento delle basi: in un primo tempo il 1972, quando furono smantellate le basi, fu indicato come data di cessazione della struttura, mentre si trattava appunto dello smantellamento delle basi. La struttura, infatti, è stata sciolta successivamente. Questi sono i dati. Dei dati di cui parla il presidente Pellegrino della Procura di Roma, non conosco alcunché.

PRESIDENTE. Non vorrei dire una inesattezza, ma sono state avanzate imputazioni di falso. Ad essere benevoli, l’impressione che si ha nel leggere tutte quelle carte è che non sapessero bene quanti fossero e che facessero un po’ di confusione fra i vari elenchi, cercando di ricostruirli; ad essere malevoli l’ipotesi diventa un’altra; è quella avanzata dalla magistratura inquirente.

ANDREOTTI. Non posso ragionare per ipotesi: l’unico strumento che avevo per poter riferire in Parlamento era quello di accertarlo presso gli organi competenti.

PRESIDENTE. Sì, senatore Andreotti, questo risulta. Non è qualcosa che riguarda la politica.

ANDREOTTI. Nel caso in cui vi siano elementi diversi che via via emergono, allora è giusto prendere le misure necessarie nei confronti di chi ha dato dei dati falsi e spiegarne anche il motivo.

CO’. Nominativamente, chi le diede questi dati?

ANDREOTTI. Mi furono dati dall’ammiraglio Martini e dal generale Inzerilli. Probabilmente, lo stesso ammiraglio Martini agiva sulla fede di quanto detto da Inzerilli, il capo di questa struttura, che ho visto che di tanto in tanto ha espresso nei miei confronti apprezzamenti non positivi, ai quali sopravvivo.

CO’. Parliamo della strategia della tensione…

GUALTIERI. Leggere il libro di Inzerilli è la più grande punizione che un uomo possa infliggersi.

ANDREOTTI. Infatti non mi sono autoinflitto questo.

CO’. Senatore Andreotti, lei fu invitato nel novembre del 1961 al convegno della Lega della Libertà che si è svolto a Roma.

ANDREOTTI. Cos’è?

CO’. Risulta che lei fu invitato a quel convegno, ma non vi partecipò. Tra gli organizzatori del convegno spiccano i nomi di Randolfo Pacciardi, Ivan Matteo Lombardo e Susan Laben o Labin. Che cosa ci può dire di questi ultimi due personaggi?

ANDREOTTI. Non ricordo l’esistenza di questa Lega della libertà. Non so se sono stato invitato, certamente non sono andato altrimenti me lo sarei ricordato, ma non so bene di cosa si tratti. Posso eventualmente guardare nelle mie carte.
Per quanto riguarda Randolfo Pacciardi sappiamo tutti quale sia la sua personalità, è stato Ministro della difesa e lo conosco bene. Per quanto riguarda Ivan Matteo Lombardo, egli è stato Ministro ed ha rappresentato uno dei personaggi di un certo spicco del Partito socialista. Per quanto riguarda l’ultima, di cui non ricordo il nome…

CO’. Si chiama Susan Laben, è una scrittrice.

ANDREOTTI. No, è un nome nuovo, non l’ho mai sentita nominare.

CO’. Tornato al Ministero della difesa nel 1974, ebbe occasione di sapere qualcosa sullo scioglimento del comando designato della terza armata? E, in particolare, che cosa sa della morte in rapida successione dei due generali comandanti, Ciglieri e Rubino?

ANDREOTTI. Sullo scioglimento della terza armata non so.

CO’. Nel 1974.

ANDREOTTI. Del generale Ciglieri, ricordo bene che era noto perché era un generale che si era reso molto popolare anche per l’intervento molto tempestivo e rapido, in occasione del Vajont, del suo corpo d’armata; tanto è vero che era uno di quelli che avevo proposto come capo di Stato Maggiore, di cui ho detto prima a proposito della nota del diario di Nenni. Del generale Rubino, non mi ricordo veramente chi fosse.

PRESIDENTE. Senatore Cò, potrebbe spiegare ulteriormente, altrimenti diventerà incomprensibile anche il verbale, il problema della terza armata? Se ben ricordo, mi sembra si trattasse di un comando di cui mancava l’armata. E’ così, senatore Cò?

CO’. Esatto. Mi pare che sostanzialmente si trattava di una specie di comando fantasma e che in realtà non esistesse.

PRESIDENTE. Non si capisce bene in realtà chi fossero gli armati che dipendevano dal comando della terza armata.

ANDREOTTI. Io ricordo il IV ed il V Corpo, che erano a Vittorio Veneto e a Bolzano…

PRESIDENTE. Per essere chiari fino in fondo, l’ipotesi è che questo comando della terza armata fosse in realtà il vertice militare di strutture clandestine non ufficiali, che si sarebbero potute attivare nella logica di Gladio… Il fatto certo è che vi era un Coniando d’armata e che l’armata non c’era.

CIRAMI. Quanto lei dice fa parte delle illazioni.

PRESIDENTE. Ho detto che è un’ipotesi. In realtà le ipotesi sono due: o esisteva, oppure era un modo per dare dei gradi cui non corrispondeva una realtà operativa.

FRAGALA’. Sa quanti sono i presidenti di Corte di Cassazione e quante sono le sedi, signor Presidente?

PRESIDENTE. Questo è un altro argomento.

ANDREOTTI. Non ho notizie mie, salvo per la morte di Ciglieri, che mi colpì molto, perché morì in un incidente automobilistico tornando a casa una sera. Di questa storia della terza armata posso però informarmi, e voi meglio di me. Ricordo il III, il IV ed il V Corpo d’armata perché erano operativi.

CO’. Cambiando argomento, nel memoriale rinvenuto in Montenevoso l’onorevole Aldo Moro fa ripetutamente cenno al ruolo dei servizi segreti americani, tedeschi e greci nella strategia della tensione. Lei ritiene quella indicazione esatta e ha degli elementi da fornirci su questa interpretazione?

ANDREOTTI. Personalmente non ho alcun elemento per poter dire che vi sia stato un ruolo dei servizi stranieri, né di quelli nominati, né di altri, nella strategia della tensione.

PRESIDENTE. Oggi a tanta distanza di anni vogliamo capire se Moro scrive quelle cose perché tutto sommato la condizione psicologica era di un certo tipo, e quindi scrive delle cose non vere, o invece perché erano i giudizi che un uomo politico faceva, sia pure in una situazione estremamente difficile, di una storia che aveva immediatamente alle spalle e che aveva vissuto. Vorrei che lei si mettesse un po’ dal nostro punto di vista: vengono gli uomini dei servizi e ci dicono certe cose, si trovano i documenti e ci vengono dette certe cose, si trova il memoriale di Moro che ci dice una serie di cose che si inquadrano perfettamente in questo quadro ricostruttivo della vita nazionale. Sulla base di quali elementi dovremmo dire che poi questa non è la verità? Si metta nei miei panni: fino a che non sono stato Presidente di questa Commissione di queste cose non sapevo nulla; poi ho studiato, ho guardato tutte le carte e mi sembra emergere una certa verità.

ANDREOTTI. Prima di dire che è la verità bisogna…

PRESIDENTE. Perché Moro doveva dire cose non esatte? Ad esempio, su Gladio Moro è estremamente misurato, dicendo che non si era mai enfatizzata l’importanza di una struttura in ambito Nato. Quindi, non sembra uno che racconti cose non vere per cercare di ottenere indulgenza da chi in quel momento lo processava, ma piuttosto uno che ad un certo punto decide di raccontare le cose come erano andate, sia pure in una situazione difficilissima.

ANDREOTTI. Però su alcuni punti…

PRESIDENTE. Voglio ammettere che alcuni fatti che potevano riguardare lei o la Democrazia cristiana potevano corrispondere ad un momento di risentimento, perché egli sentiva venuta meno una solidarietà, però altri fatti lui li racconta mentre avrebbe potuto non farlo. L’impressione che si ha è che chi gli faceva le domande non li conosceva, e che quindi egli ne parlava spontaneamente e non perché ci fosse un interrogatorio stringente che lo costringesse ad ammetterli.

ANDREOTTI. Per quanto riguarda alcuni punti, per certi versi marginali, devo dire che sicuramente non possono essere “farina del sacco” di Moro, e mi spiego. A parte la critica, ad esempio, della nomina del senatore Medici, che tra l’altro era un suo grande amico, alla Montedison, è strano quando poi egli aggiunge che il problema vero della Montedison era l’aumento di capitale. Ebbene, Moro sicuramente non sapeva cosa fosse un aumento di capitale.

PRESIDENTE. Era professore di diritto, sia pure se di filosofia del diritto!

ANDREOTTI. No, era del tutto estraneo a questi argomenti, che io cito come esempi. Vi è poi un altro punto importante delle dichiarazioni di Moro, quando dice che si augurava che Carter non avrebbe continuato in una certa forma di finanziamento: io mi sono permesso di inviare alla Commissione una documentazione della richiesta formale, fatta all’ambasciatore americano Volpe e all’ambasciatore Martin che aveva fatto delle dichiarazioni dicendo che aveva speso denaro in Italia nel 1972, per farci dire a chi erano stati dati questi soldi.

PRESIDENTE. Ha avuto mai risposta a questo interrogativo?

ANDREOTTI. No, e non sono neanche mai riuscito ad avere il recapito di Martin. Però è una delle cose che mi è andata meno giù, perché non può rimanere pendente il fatto di un ambasciatore americano che dichiara di aver speso dei soldi per le elezioni in Italia. Questo è veramente un fatto grave a mio giudizio; egli avrebbe dovuto chiarire questa storia. Però, nonostante tutti i passi che sono stati fatti presso l’ambasciatore…

PRESIDENTE. Penso però che dall’altra parte i rubli arrivassero!

ANDREOTTI. Di questo non ne dubito.

PRESIDENTE. Perché dobbiamo allora dubitare che arrivassero i dollari da quest’altra parte? Sembrerebbe altrimenti una cosa squilibrata.

ANDREOTTI. No, sono due cose diverse, perché non credo che i rubli andassero a finire a singole persone. Del resto adesso lo si può sapere, perché lo hanno detto i russi, non perché lo dico io. Forse i primi anni ci faceva anche comodo, perché pagavano in dollari, e quindi alla bilancia valutarla italiana era anche utile che arrivassero queste somme, sia pure politicamente contro di noi. Però, detto questo, non vorrei, data questa grande fiducia di Moro nei confronti dei capi dei Servizi (sia con De Lorenzo, sia con Miceli, con i quali aveva un grande rapporto di fiducia e un notevole affiatamento), che alcune di queste cose fossero poi il frutto di una sorta di disinformazione che volutamente queste persone finivano col fornirgli. Certamente, siccome non ho vissuto sulla luna, mi rifiuto di credere che vi sia veramente stata questa forma di interferenza e di pressione, almeno in questa dimensione, perché altrimenti me ne sarei avveduto, e certamente non l’avrei personalmente tollerata. Non sono affatto un nazionalista, però ho sempre avuto un forte rispetto per certe cose, specialmente nei confronti dei servizi, sia dei nostri, sia degli altri paesi, perché c’è da avere sempre una grande cautela per non rischiare di confondere il mandato politico con queste attività.

CO’. Vorrei cambiare tema. A proposito della strage di piazza Fontana, lei ritiene possibile che alcuni settori del servizio militare abbiano fatto pervenire ai giornalisti della cosiddetta controinformazione di allora notizie, sospetti ed elementi a proposito della strategia della tensione in generale e della strage di Milano in particolare?

ANDREOTTI. Questo sospetto è emerso, ed in alcuni risvolti è anche poi risultato effettivo, nel senso che potrebbero avere, nella migliore ipotesi, anticipato una versione e indirizzato verso una determinata linea quella che era una responsabilità di un l’atto che tuttora, nonostante il processo, per alcuni versi resta non completamente chiara. Mi riferisco ad esempio alla partecipazione o meno di Valpreda. Quello che sembra chiaro è che probabilmente lo scopo di chiunque lo avesse messo in atto era uno scopo dimostrativo. Le bombe a Roma di venerdì pomeriggio non fecero danno alle persone, mentre a Milano quel venerdì vi era una “Borsa merci” o qualcosa del genere, comunque qualcosa di non previsto dalle normali tabelle di orari di banca. Ora, che sia stato possibile essere indirizzati in un modo o in un altro è difficile dirlo. Dal ricordo che ho del processo, credo che vi fu anche una grande abilità da parte degli avvocati i quali – e il collega Calvi lo ricorderà meglio di me – si rispettarono tra gli avvocati della destra e quelli della sinistra, forse silenziosamente, concentrando un po’ la responsabilità nei confronti del servizio, in questo facilitati dall’errore fatto nell’inventare alcune storie, come quella dell’espatrio di Pozzan, dicendosi che non si sapeva chi fosse.
Però certamente, anche in questo caso – mi pare che l’ho detto l’altra volta – quando il Servizio ed il Ministero, per una ragione di principio, avevano negato al magistrato il diritto di conoscere se uno fosse informatore o no, questa difficoltà fu rimossa perché era sproporzionata rispetto all’esigenza di una procedura giudiziaria per un fatto così importante.

PRESIDENTE. Non vorrei aver capito male, ma la domanda del senatore Cò, andava in direzione opposta: cosa intende per “giornali della controinformazione”, senatore Cò?

CO’. Diciamo tutta la stampa della sinistra.

PRESIDENTE. Quindi l’informazione poteva essere quella di dire: la pista degli anarchici è falsa, non vera. Questo poteva voler dire che vi fossero dei contatti con l’ufficio Affari riservati.

ANDREOTTI. Non lo so. Dopo è risultato abbastanza chiaro, ma prima, le linee di confine tra sinistra e anarchici non erano molto chiare; sia in un senso che nell’altro: intendo dire che una certa frontiera aperta vi era tra lo stesso estremismo di destra e l’anarchia. Era abbastanza difficile, ad esempio, collocare alcuni di questi personaggi, i vari Merlino. Questo nell’immediato, poi si è saputo meglio come stessero le cose e che vi erano stati tentativi di disinformazione. Questo sì, probabilmente ci sono stati: non so quanto abbiano influito per un processo molto difficile che è stato portato avanti.

CO’. Le bombe di Milano esplodono esattamente lo stesso giorno in cui la Grecia dei Colonnelli veniva allontanata dal Consiglio d’Europa. Lei pensa che ci possa essere un nesso tra queste due cose?

ANDREOTTI. Non ho nessun elemento per dirlo: l’influenza in Italia dell’involuzione che c’era stata in Grecia fu piuttosto limitata, però non ho nessun elemento per dire se la coincidenza temporale rappresenti una connessione oggettiva.

CO’. E di questa crisi dei rapporti diplomatici tra Italia e Grecia fra i primi mesi del 1969 e la metà del 1970?

ANDREOTTI. Non ho memoria particolare, non me ne sono occupato. Probabilmente, può essere utile – io stesso posso fornire qualche elemento – vedere le discussioni in seno al Consiglio d’Europa e l’atteggiamento che è stato preso dall’Italia. Non lo ricordo a memoria, ma posso fare facilmente un confronto.

CO’. Ancora due domande. Secondo lei, come mai il rappresentante italiano nell’Ufficio di Sicurezza del Patto Atlantico era il dottor Federico Umberto D’Amato, un civile, non un militare?

PRESIDENTE. Questo si riallaccia alla domanda che le avevo rivolto precedentemente.

ANDREOTTI. Con D’Amato credo di aver parlato una volta e mezzo o due volte, non ho mai avuto particolare dimestichezza, né ho avuto occasione di occuparmene. Nell’opinione generale era considerato un grosso tecnico di questo mondo; poi, con grande sorpresa (ma poi lo sapevano tutti) si seppe che curava anche la rubrica gastronomica de “l’Espresso”. Era un uomo dalle molte vite. Non ho mai avuto a che fare con quell’ufficio; anche perché fin da ragazzo – allora sotto un altro regime – verso l’ufficio speciale Affari riservati avevo non solo diffidenza, ma anche ostilità per quello che faceva.

PRESIDENTE. Questo mi sembra importante. Che significa “ostilità per quello che faceva”? Lasciamo perdere il regime fascista, ma nell’Italia democratica: per esempio che assumessero agenti ex ufficiali delle SS a livello politico era noto?

ANDREOTTI. Mi sono riferito al periodo fascista, perché quando sono venute fuori tutte le intercettazioni telefoniche, che qualche volta forse vengono fatte anche in regime democratico, mi colpì molto questa cosa.

PRESIDENTE. Però, anche in seguito all’amnistia che fece Togliatti, uomini dell’Ovra continuarono ad operare nell’ufficio Affari riservati.

ANDREOTTI. Non lo contesto, se lo dice lei sarà verissimo, però non so chi possano essere questi. Come ha detto il senatore Gualtieri, al Ministero dell’interno non ci sono mai stato.

PRESIDENTE. Il senatore Gualtieri si domandava perché.

ANDREOTTI. Avendo settantotto anni e qualche condizione di impedimento, non penso di poterlo fare.

PRESIDENTE. Si domandava se la tenevano lontano.

ANDREOTTI. Se me lo avessero offerto ci sarei andato, sia pure senza particolare entusiasmo. Ma nessuno me lo ha mai offerto e non ho avuto di queste tentazioni.

CO’. La strategia della tensione termina nel 1974, diciamo. Secondo lei – voglio una sua opinione – quali sono le cause interne ed internazionali che pongono fine a questo periodo, nonostante che i responsabili politici non fossero stati identificati?

PRESIDENTE. Aggiungo: lei ritiene che le sue direttive al Servizio militare abbiano potuto influire su questo?

ANDREOTTI. Certamente, credo che le direttive molto precise che detti al Servizio sulla strategia, su quello che era risultato in precedenza, furono sotto un aspetto utili; però penso che la risposta alla domanda del senatore Cò debba essere politicamente più ampia. Direi – nel 1974 eravamo già in una fase molto avanzata – la politica di Helsinki.

PRESIDENTE. Oh!

ANDREOTTI. Questo è molto importante.

PRESIDENTE. Queste cose vogliamo sentirci dire!

ANDREOTTI. La politica di Helsinki arrivò a conclusione nel 1975, ma erano già due anni e mezzo che si preparava. Tanto è vero che, in occasione di quel Governo che non durò molto a lungo (1972-1973), nel novembre, quando andai in Unione Sovietica, l’atteggiamento del nostro Ministero degli esteri (ricordo le carte che mi avevano preparato) era piuttosto scettico nei confronti della possibilità di arrivare ad una forma che poi fu quella della cooperazione e della sicurezza europea. Indubbiamente questa in quegli anni (1973, 1974, 1975) camminò molto, e allora, anche sul piano internazionale, vi fu un certo maggior respiro e un allentamento (sia pure non quello definitivo) della tensione tra l’Est e l’Ovest. Ricordo fra l’altro che proprio nel 1972, inizi del 1973, presidente Nixon, ci fu un passo notevole, cioè il riconoscimento della Cina comunista da parte degli Stati Uniti; pur mantenendo un eccellente rapporto con l’Unione Sovietica. E il primo ministro dell’Unione Sovietica, Kossighin – eravamo alla vigilia di due elezioni, quelle americane e quelle tedesche – disse a me che non erano preoccupati delle elezioni americane: ” … perché sappiamo che Nixon le vince, e noi abbiamo un rapporto di grande correttezza, ognuno nel suo campo”, mentre era molto preoccupato delle elezioni tedesche nell’ipotesi che vincesse Strauss – che pure era il personaggio che aveva cominciato l’ostpolitik, i prestiti alla Polonia – spiegando: “Non voglio assolutamente dire che Strauss cambierebbe la politica, ma l’impatto immediato che avrebbe qui da noi sarebbe assolutamente non accettabile”. Mi colpì questo e dissi: “Non posso condividere con lei”.

PRESIDENTE. Mi scusi, senatore, nella mia proposta di relazione c’è un capitolo che si intitola “La svolta del ’74”. Da una serie di elementi enormi sembra evidente che a un certo punto il mutamento del quadro internazionale ha un’influenza diretta sulla situazione italiana. Mi chiedo allora perché diventa inverosimile che la situazione internazionale precedente abbia un rapporto eziologico, cioè di causa-effetto, con tutto quello che era successo prima in Italia.

ANDREOTTI. Signor Presidente, ritengo che anche l’individuo più antiamericano che possa esistere non possa ritenere che la politica di un paese come gli Stati Uniti si estrinsecasse facendo mettere le bombe, incoraggiando la strategia della tensione.

PRESIDENTE. E perché il fatto che la politica cambia fa cessare le bombe?

ANDREOTTI. Questo non lo so. Può darsi che venga meno in quel gruppo, che tra l’altro aveva avuto una serie di sconfitte e si era anche disperso nel mondo…

PRESIDENTE. Questo è vero.

ANDREOTTI. Quindi pensavano che ormai non fosse più praticabile. Ricordiamoci un fatto che è sempre sembrato marginale. Dalle carte del memoriale per il golpe Borghese viene fuori a un certo momento la credulità – lei, signor Presidente, ha detto bene – di Borghese o di altri. Quando dice: “Nixon voleva essere informato”, non so chi gliele raccontasse queste storie, però – ripeto – può darsi che qualcuna di queste teste calde ritenesse di poter veramente creare le condizioni per poter sovvertire il regime democratico. Può darsi, anzi credo che ci disprezzassero come democratici e, se avessero potuto farci la festa, lo avrebbero fatto. Per fortuna non hanno mai avuto le condizioni obiettive per far questo. Penso che bisogna stare attenti. Se abbiamo avuto frange dei Servizi o figure individuali anche nei Servizi esteri che facevano una propria politica, non lo so, dovrei avere degli elementi. Non posso negare che questo possa esserci, però per quello che so, che ho vissuto, è che nella politica responsabile di un grande paese democratico non ci poteva essere un coinvolgimento e nemmeno un incoraggiamento.

PRESIDENTE. Condivido con lei che gli Stati Uniti sono una grande democrazia, però una Commissione parlamentare su questi fenomeni si attiva nel Congresso degli Stati Uniti nel 1975 e, su queste operazioni coperte dalla Cia, giunge a una conclusione che, se mi consente, trovo un po’ “imperialista”: conclude che erano illegali finché avvenivano negli Stati Uniti e non lo erano più quando avvenivano all’estero. Il senso della conclusione della Commissione Rockfeller sull’operazione Chaos è questo. Era tutta un’operazione di infiltrazione di gruppi anarchici, trotzkisti, leninisti, e via seguendo, per innalzarne il livello di pericolosità. Trovo peraltro sia un grande fatto di democrazia che nel 1975 gli Stati Uniti hanno fatto i conti con questa parte della loro storia.

ANDREOTTI. A volte faccio una certa fatica a capire anche il metodo di lavoro. Per esempio, una volta mi dissero – e verificai che era vero – che si poteva comprare nella libreria del Congresso un documento intitolato “Complotti contro capi di Stato stranieri” questo avveniva dopo la pubblicazione di una delle tante inchieste fatte sulla Cia: il documento costava quattro dollari e l’ho comprato, non so se ce l’ho più però me lo ricordo, ed era tutta una pianificazione di come si doveva fare per far fuori Trujllo e così via. Naturalmente dissero che erano degli studi però anche a me fece una certa impressione vedere quelle cose.

PRESIDENTE. Il problema è capire fino a che punto lo studio non è diventato poi operativo.

SARACENI. Sa se c’era anche Allende?

ANDREOTTI. No, onorevole. Forse questo era precedente.

PRESIDENTE. Su dieci studi uno poi forse è potuto diventare operativo. Lei però non ritiene che sia profondamente democratico il fatto che uno lì sa anche qual è il lavoro sporco che in un determinato periodo della storia di un paese può essere affidato ai Servizi segreti.

ANDREOTTI. Anche San Tommaso disse che è lecito uccidere il tiranno. Allora diventa un discorso…

PRESIDENTE. Non voglio dire che è bello che avvengano queste cose, ma è bello che, se avvengono, si sappia. E’ un discorso diverso.

ANDREOTTI. Però credo che, sia per un certo numero di inchieste che sono state fatte, sia per il fatto che oggi veramente c’è una possibilità di consultazione di atti in applicazione del termine ultimo che è venuto fuori dalla legislazione successiva al Watergate, sia possibile veramente approfondire queste cose.

PRESIDENTE. Mi scusi, e non le sembra singolare che dobbiamo ancora sapere dagli americani che cosa è successo in Italia? Non avremmo diritto di saperlo dai protagonisti della storia dell’epoca?

ANDREOTTI. Uno può dire le cose che sa, però se si arrende o si contenta di dire: “Gli altri potevano fare il comodo loro qui in ltalia”…. chi ce le dovrebbe dire queste cose, non lo so. Sarebbe utile forse un ulteriore approfondimento, anche se il tempo che passa porta delle persone nell’impossibilità di essere consultate. Ritengo che la cosa importante e che mi ha impressionato è quella di dire che magari non sarebbe la Cia, ma sarebbe un’altra cosa; cioè di accreditare senza un fondamento che possa esserci stato, direi, non un incoraggiamento politico, ma addirittura un coinvolgimento nel mettere bombe. Questo è veramente un qualcosa che sinceramente non riesco a concepire, perché mi pare contro una certa moralità intrinseca che c’è negli Stati Uniti. Certo, si tratta di un paese che ha fatto anche degli errori nella sua storia, ha assunto alcuni atteggiamenti nel distribuire patenti di demoni che non mi piacciono molto, però, sant’Iddio!, bisogna assolutamente approfondire questa cosa con tutti i mezzi possibili, perché è un fatto molto importante che non riguarda un’amministrazione o un’altra, ma i Servizi o i sottoservizi.
L’unica osservazione che mi sento di fare per rispondere a questa domanda è che trovo un lato di debolezza nella struttura degli Stati Uniti nel fatto che la loro Costituzione è perfetta per il loro interno. Se pensiamo che nel ‘700, quando non c’erano grandi centri, si sono salvaguardati dal prepotere dei grandi centri rispetto agli altri, stabilendo che la Camera dei rappresentanti è costituita in proporzione alla popolazione, ma il Senato sono due per ogni Stato in modo che c’è un bilanciamento. Questo è stupendo. Poi è stupendo il fatto del cambiamento: ogni quattro-otto anni cambia tutto, quando cambia il Presidente mutano tutte le strutture, gli ambasciatori sono presi fra i grandi elettori, in posti notevoli.
Tutte cose che andavano benissimo secondo me finché gli Stati Uniti avevano un ruolo solo interno. Con un ruolo internazionale c’è questo rischio: chi è che dà una continuità? Fino a qualche tempo fa la davano nel Congresso determinati personaggi che stavano li magari trenta o quaranta anni ed erano dei punti di riferimento. Adesso però sta prevalendo una linea di limitazione dei mandati ed il rischio è che i Servizi diventino l’unico elemento di stabilità e di informazione di un paese.
Si tratta di un problema di cui ho parlato molte volte con degli amici americani, ma per loro pensare di toccare la Costituzione è qualcosa di inconcepibile. E’ comunque veramente un elemento di debolezza questo, ma non riguarda adesso direttamente il nostro lavoro.

Il parà Sandro Saccucci: nella sua agenda le fonti e i finanziatori del Fronte Nazionale di Borghese

Il generale Ermanno BASSI, già Comandante con il grado di maggiore del Btg. SABOTATORI dall’agosto del 1969 all’agosto del 1971, ha ricordato che Sandro “SACCUCCI”, militante dell’estrema destra, era “subalterno della Compagnia Comando del 1 Rgt. Paracadutisti comandato dal Col. BRANDI Ferruccio. Il SACCUCCI non fu raffermato”.

Il SACCUCCI fu uno dei protagonisti della notte di TORA TORA e della vicenda del Golpe BORGHESE avendo gestito la riunione dei militanti nella palestra sita in via Eleniana a Roma. In quel contesto temporale il col. Giorgio GENOVESI era Ufficiale Addetto alla 1A Sezione del Reparto D e, a suo dire, fu poi: “coinvolto ingiustamente nella vicenda del Golpe, di cui, per primo, denunciai il rischio”. In ambito Sezione dopo quella notte proprio il SACCUCCI “risultò essere stato l’organizzatore della riunione che avrebbe dovuto essere operativa”.

Sono, queste, dichiarazioni del GENOVESI (cfr. int. 3 giugno 1996 f. 11657) la cui abitazione è stata perquisita da questo Ufficio giusta decreto emesso il 13 maggio 1996 eseguito il giorno 23 successivo; la casa romana del predetto era già stata oggetto di perquisizione, anche questa volta da personale della D.I.G.O.S. di Venezia, il 27 ottobre 1988: e’ quantomeno strano che all’esito della prima perquisizione non sia stato rinvenuto il rilevante materiale sequestrato invece all’esito dell’esecuzione del secondo decreto. In questa seconda occasione sono stati rinvenuti nella disponibilità del cessato Ufficiale del S.I.D., oltre a materiale informativo in copia e in originale proveniente dalla 1A Sezione, fogli in copia relativi ad una agenda che si è rivelata di proprietà dei SACCUCCI: carte che, in particolare, risultano essere state rinvenute all’interno di un faldone, denominato Golpe Borghese, posto sul ripiano superiore di uno scaffale di un ripostiglio e racchiuso in un foglio di giornale tutelato da nastro adesivo trasparente. L’involucro conteneva documentazione varia “raggruppata da un elastico” e costituita anche da una “cartellina di colore arancione” sopra la quale era stata apposta, con matita blu, fa dicitura “AGENDA”.

In realtà i fogli da 462 a 472 sono rilievi fotografici di pagine dell’agenda di SACCUCCI. A foglio 462, che corrisponde ad una pagina dell’agenda recante in alto la dicitura “NOTE”, in alto a sinistra figura una annotazione secondo cui ad ogni cerchio corrisponde la dizione “informaz” e ad ogni cerchio riempito da una croce corrisponde la dicitura “soldi”: nel contesto del foglio seguono, immediatamente elencati, 37 nominativi in corrispondenza dei quali risulta apposto uno dei due cerchi sopra descritti onde può agevolmente evincersi che l’autore di tutte le annotazioni ha qualificato i vari soggetti elencati o come finanziatori o come informatori.

Si ritiene di riportare, di seguito: il foglio 462 corrispondente all’elenco precitato; il foglio 463 corrispondente alla pagina relativa a “lunedì 7 dicembre“ recante, in alto a sinistra, le diciture “Auto , armi”; il foglio 464 corrispondente ad annotazioni relative al “Generale CAFORIO Roma” e al “campeggio”; il foglio 466 corrispondente alla rubrica e contenente i nominativi anche dell’avvocato Roberto DE SANTIS – con la utenza dell’Ufficio e quella dell’abitazione – del generale Pasquale CHIEPPA, del generale Michele CAFORIO predetto; il foglio 467 recante l’utenza telefonica anche di Enzo ERRA e di Europa Civiltà; il foglio 470 contenente le utenze anche di Remo Orlandini, di Giorgio Page Nelson, di Umberto Poltronieri; il foglio 471 recante anche la utenza del Generale Siro Rosseti; il foglio 472 contenente le utenze telefoniche, anche corrispondenti agli Uffici dello S.M.A., del “ Com.te SALA Edoardo”.

(…)
Dai logli 473 e seguenti i nominativi citati nel contesto della globalità dei fogli corrispondenti ai rilievi fotografici, e di cui all’agenda, risultano tutti sviluppati. Infatti per ciascuno di essi e in un foglio a parte risulta essere stato fatto un accertamento anagrafico verosimilmente a cura del personale dipendente del GENOVESI e a cui il predetto pur ha accennato, come si dirà. Il CAFORIO è stato generalizzato per Michele CAFORIO generale di Divisione e Vice Presidente dell’Associazione Paracadutisti d’Italia. In corrispondenza di questo nominativo vi è apposto la dicitura “noto”. Anche l’ORLANDINI Remo risulta “noto”. “Non noto” risulta essere “Pomar Elio ing.” che figura residente presso I’ “Hotel Commodore via Torino n. 1”.

“Noto” risulta il “DE ANGELIS Sandro uff. 463376 casa 862420.”, quest’ultimo con il SACCUCCI partecipante alla riunione nella palestra di via Eleniana (“fu l’ANTICO, e ne sono certissimo, a dirmi che la riunione in via Eleniana era terminata alle ore 3 del giorno 8 ed a farmi i nomi di SACCUCCI e DE ANGELIS nonché a precisare che i partecipanti alla riunione erano in attesa di armi adeguate. E’ tanto vero quanto da me detto che SACCUCCI a noi in quel momento era pressoché ignoto.”: così Giorgio GENOVESI al P.M. di Roma il 4 febbraio 1975 nel verbale pure rinvenuto all’esito della perquisizione nella abitazione unitamente ad altri, ivi compresi quelli resi dal giornalista ANTICO Franco). Ovviamente “noto” risulta “Borghese J.V.”. Il gen. Pasquale CHIEPPA risulta “non noto”, “in s.p.e. pensionato MDE”. “Non noto” risulta BALDI Bartolomeo in corrispondenza del cui nominativo vi sono le utenze del periodico “Il Borghese”. “Non noto” risulta il generale Siro ROSSETI “via XX Settembre”.

Sulla scheda relativa a Mario DE MONTIS “proprietario catena ristoranti” figura la dicitura “noto in atti” e su quella di CAFIERO Ireno figura la dicitura “Schedato M”: ciò induce vieppiù a ritenere che uno sviluppo dei dati di cui all’agenda vi fu; non è stato dato tuttavia conoscere le circostanze relative alle modalità concrete dello sviluppo presso il SID nel senso che GENOVESI non ha detto se delegò proprio personale di fiducia. Resta fermo che dal complesso delle risposte si evince che l’Ufficiale non dispose gli accertamenti per conto del Servizio e per fini istituzionali.
Sulla scheda di “Pirina Marco tel. 314588 “ non risultano apposte diciture del tipo di quelle predette ma solo i dati di anagrafe attinti a Roma e in virtù dei quali il PIRINA risulta essere nato a “Venezia il 31.10.43”.
L’avvocato Roberto DE SANTIS “telef. casa 6229124 – uff. 4654633” risulta “non Noto”: il medesimo avv. DE SANTIS, all’esito della perquisizione nell’abitazione romana del prefetto Federico Umberto D’Amato appena deceduto, risulterebbe ii destinatario di una missiva da parte del prefetto contenente una richiesta di consigli sull’opportunità di una riedizione del periodico Il Borghese. Enzo ERRA risulta “noto” e dagli accertamenti fatti all’anagrafe “pubblicista. Coniugato con Malesci Aurora nel 1947 a Napoli. I verbalizzanti hanno fatto presente: che su parte della documentazione “è apposto il timbro SEGRETO, a volte in maniera grossolana”.

In ordine ai fogli sequestrati ivi compresi quelli costituiti da rilievi fotografici, nel corso dell’interrogatorio, dopo avere l’imputato GENOVESI sostenuto che si trattava di “appunti a me personalmente consegnati dal Gen.le Siro ROSSETI, Capo dell’Ufficio I del COMILITER di Roma…nell’ambito di uno scambio informativo” con il predetto Ufficiale e avere aggiunto che l’elenco di nomi di cui al foglio 462 comprendeva fonti del ROSSETI, dopo una pausa di riflessione ha finito per ammettere che quei fogli dell’agenda da lui conservati erano stati acquisiti all’esito di una atipica operazione di infiltrazione da lui diretta nell’abitazione del SACCUCCI allorché “diedi disposizione a uno dei miei di fotografare l’agenda personale di qualcuno vicino alla Associazione Parà in congedo” contestualmente giustificando di avere conservato il relativo materiale cartolare “a mia tutela personale” in quanto “coinvolto ingiustamente….”.

Gli è che questo materiale, a detta dello stesso GENOVESI, non è mai stato inoltrato o esibito né ai suoi referenti gerarchici dell’epoca né all’ Autorità Giudiziaria; pertanto esso riveste estremo interesse sia per la qualità e quantità delle annotazioni sia perché dimostra che l’Ufficiale del S.I.D., all’epoca, era in grado di gestire Operazioni dettate da motivazioni esclusivamente personali e avvalendosi dei propri dipendenti per conservare il materiale acquisito in attesa di produrlo nel momento in cui si fosse ritenuto attaccato dalle stesse Istituzioni di cui faceva parte: è uno dei tanti esempi di “assicurazioni sulla vita” che molto operatori del Servizio attuano anche all’atto del loro congedo al fine di eventualmente esercitare pressioni sul Servizio stesso o sugli ambienti cui il materiale documentale sottratto si riferisce.
In una successiva fase dello stesso interrogatorio il GENOVESI, quanto al contenuto dei fogli “da 462 a 475” – e di cui già aveva dato contezza come testé riferito – dichiarava che “i fogli dell’agenda furono da me fatti fotografare ritengo presso la casa del SACCUCCI …Ricordo che il padre del SACCUCCI era usciere presso il Ministero della Difesa, lo diedi ordine ad un mio sottufficiale di operare in tal senso e tenni i fogli per me, per quanto già detto, lo all’epoca, non avevo “spazio di manovra” e non potei né volli sviluppare le indagini conseguenti perché progressivamente deluso dalle direttive e poi dagli sviluppi giudiziari.”

Va puntualizzato che Giorgio GENOVESI dal 18.8.1970 al 30.9.1973 rivestiva l’incarico di Ufficiale Addetto in ambito 1A Sezione dell’Ufficio “D”, della quale divenne dirigente 1° ottobre 1973 sino al suo congedo, risalente al 29 giugno 1978 .

Nei giorni immediatamente successivi all’interrogatorio reso il GENOVESI (f. 11669) faceva pervenire una missiva dattiloscritta ove, in relazione a “una paginetta, manoscritta e fotograficamente riprodotta, già rinvenuta nel corso di perquisizione nella mia abitazione, nella quale è riportato un breve elenco di nominativi alcuni dei quali contrassegnati con due diversi segni e relativa specificazione “ scriveva di essere “incorso in errore “ laddove aveva riferito che “tale foto” era stata acquisita nell’abitazione di Sandro SACCUCCI. Sostanzialmente il generale dei CC smentiva di avere fatto effettuare da personale dipendente una abusiva penetrazione, e, piuttosto, ricordava che la “fotocopia mi fu consegnata dalla mia fonte informativa Franco ANTICO, la stessa che mi dette notizia di quanto sarebbe dovuto succedere la notte del 7.12.1970 particolarmente introdotta nell’ambiente del SACCUCCI e dell’estrema destra in genere. Infatti, da me sollecitato, l’ANTICO (deceduto) mi fornì in tempo brevissimo un elenco nominativo di intervenuti alla nota riunione nella palestra della Sezione Romana Paracadutisti d’Italia presieduta dal SACCUCCI…nonché la fotocopia in argomento che mi disse di aver ricevuto da un autorevole rappresentante del Movimento Europa Civiltà. Nonostante ogni sforzo mentale non riesco a ricordare il nome ma era la stessa persona che dette all’ANTICO la notizia di quello che sarebbe dovuto succedere il 7.12.1970 nonché colui che, nei primi anni 70, unitamente ad una ragazza, in segno eclatante anticomunista, si incatenò alla cancellata dei grandi magazzini ZUM di Mosca. L’ANTICO riferì che la fotocopia proveniva dall’ambiente SACCUCCI”.
Un complesso di dati, tuttavia, smentirebbe l’assunto di cui alla missiva in parte sopra riportata. In proposito rileva l’Annotazione di servizio, datata 11 novembre 1996, del dirigente della DIGOS e riferentesi ai contenuti di una pausa dell’interrogatorio citato in premessa nel corso della quale il GENOVESI, in presenza dello stesso Dirigente, aveva espresso l’avviso “di rammentare che quell’elenco potesse essere stato acquisito informalmente presso l’abitazione del noto Sandro SACCUCCI”, così confermando quanto aveva appena sostenuto in sede di verbale riconnettendovi il realistico dato relativo alla funzione avuta nell’occasione dal padre del SACCUCCI.

Ma vi è di più : nella fattispecie non si tratta soltanto del foglio 462 contenente l’elenco dei nominativi degli informatori e finanziatori del Fronte Nazionale di Borghese bensì di una parte dei fogli di una agenda, come può agevolmente rilevarsi dalle caratteristiche del foglio contenente l’elenco dei nominativi con quelle dei singoli fogli residui.

Ancora: nella pagina corrispondente al “1° gennaio”, ove vi è l’annotazione del “gen. CAFORIO” vi sono, contestuali, una serie di annotazioni relative, in guisa evidente, all’allestimento di “un campeggio 21/8 31/8 con lancio aereo civile o militare” nonché annotazioni riguardanti cifre di denaro, ai fini dell’attuazione dello stesso e posti in corrispondenza delle seguenti diciture: “60 teli tenda, n. 1 cucina – paglia etc. ; lit. 100.000 affitto aereo; fare lettera di richiesta Ufficiale alla Presidenza ANPdl”. Ebbene si tratta di annotazioni tutte riconducibili non certo all’invocato ANTICO bensì al SACCUCCI.

Può ritenersi con elevato grado di certezza che la smentita del generale sia riconducibile ad ovvie ragioni di carattere deontologico che lo abbiano indotto a non voler mantenere la versione dell’abusiva penetrazione.La D.I.G.O.S. di Venezia, con Nota del 12.11.1996 Cat. A2/1996/DIGOS Sezione 3A, rispondendo alla richiesta di questo Ufficio dei 27 agosto precedente , segnalava emergenze relative ad alcune compiute identificazioni dei nominativi citati nel carteggio tra cui il CAFORIO predetto, il SALA Edoardo, già in servizio presso la Divisione FOLGORE e “uomo di fiducia del principe Junio Valerio BORGHESE. Ha aderito all’Associazione Unione Nazionale Combattenti R.S.I.“. Il PALUMBO Giuseppe veniva identificato per il cessato Ufficiale dei Carabinieri, il Renato ANGIOLELLO, qualora inteso come ANGIOLILLO, veniva identificato per uno dei direttori del quotidiano romano IL TEMPO, il Luciano CIRRI per uno dei direttori del settimanale IL BORGHESE, il Paolo BONOMI, classe 1910, per il cessato deputato democristiano e già potentissimo presidente della COLDIRETTI deceduto nel febbraio 1985, il Greggi Agostino per il parlamentare della D.C. poi transitato nel M.S.I., l’Edilio RUSCONI per il noto giornalista ed editore.
Allegata all’accertamento la D.I.G.O.S. inviava copia di una missiva vergata a mano da Sandro SACCUCCI rinvenuta nell’abitazione del destinatario, tale Armando BOTTO, nel corso di una perquisizione domiciliare eseguita nel 1979. Ebbene, anche da una prima superficiale analisi, la grafia di cui alle pagine dell’agenda comparata con quella di cui alla missiva, risulta riconducibile proprio al SACCUCCI. Non può sottacersi come la D.I.G.O.S. non abbia identificato il PESENTI, finanziatore, per il noto costruttore.

Sentenza ordinanza Argo 16 pag 1567-1580

Giulio Andreotti – audizione in commissione stragi – 17.04.1997 prima parte

PRESIDENTE. Proseguiamo oggi l’audizione del senatore Giulio Andreotti che è qui ancora una volta e di questo lo ringrazio. Prima di dare la parola ai colleghi, vorrei fissare alcuni principi per l’audizione, alcuni monocraticamente, altri da valutare insieme alla Commissione. Come voi sapete, il senatore Andreotti è oggetto di due noti processi penali, che si svolgono uno a Perugia e uno a Palermo. Voglio allora dire subito che non riterrò ammissibili domande che possono in qualche modo riguardare questi due processi. Lo faccio per due considerazioni, la prima delle quali è di carattere istituzionale, circa il rapporto tra indagine parlamentare e indagine giudiziaria. In molti paesi occidentali le due indagini non possono essere contemporanee e al Parlamento è inibito indagare su vicende che sono oggetto di indagini giudiziarie. In Italia non abbiamo questa regola: se così fosse, noi non potremmo indagare sulle stragi, che sin dall’inizio della vita della Commissione sono sempre stato oggetto dell’indagine giudiziaria. Dobbiamo però muoverci su un difficile crinale, e quindi non possiamo creare interferenze tra i due versanti. Aggiungo poi che vi è da considerare una esigenza di garanzia. Infatti, il senatore Andreotti è qui in sede di libera audizione, non è munito di difensore, e quindi io porrò un ostacolo a qualsiasi domanda che mi sembrerà poter interferire con i due processi, salvo che il senatore Andreotti di sua volontà non mi faccia sapere che intende rispondere a quella domanda. L’altro principio, sul quale dovremmo metterci d’accordo, riguarda invece il tempo degli interventi. Vorrei assegnare un tempo di sette minuti a ciascuno dei Commissari, i quali cercheranno di utilizzare tale tempo per fare delle domande brevi, secche ed incisive, senza fare discorsi, dissertazioni, commenti e valutazioni, che sono cose che potremo fare quando inizieremo a discutere tra di noi sulle conclusioni cui dobbiamo pervenire.
(…)
MANCA. Signor Presidente, cercherò di essere breve e di fare domande appunto brevi e secche: incisive non lo so, dovrebbero essere giudicate dagli altri. Presidente Andreotti, toccherò, per così dire, due temi e mezzo. Il primo è relativo alla reazione dell’onorevole Moro all’arresto del generale Miceli; poi qualche domandina sul generale Maletti; quindi qualcosa sulla Gladio, ivi compresa una notizia – se la conosce – riguardante l’organizzazione cosiddetta Ossi. Salto il preambolo e le faccio le prime domande. Come giudicò le parole di stima e di solidarietà che l’onorevole Moro volle indirizzare al generale Miceli dopo il suo arresto? È vero, a suo parere, che il generale Miceli e Mino erano particolarmente vicini all’onorevole Moro? A suo parere, ha qualche fondamento la tesi, sostenuta da molte ricostruzioni storiche, secondo cui il generale Maletti sarebbe stato in qualche modo «andreottiano», come si suol dire? E, a proposito di Maletti, quest’ultimo sostiene – ce lo ha detto a Johannesburg – di essere stato in disaccordo con la politica filo-araba del governo italiano dell’epoca, in particolare con il trasferimento di armi alla Libia, considerandola scarsamente compatibile con la lealtà nei confronti degli Stati Uniti. Il generale Maletti è teso pertanto a ricondurre a questa ragione il suo contrasto personale con il generale Miceli. Possiamo sapere, Presidente Andreotti, quale fu la sua personale posizione in merito a questa linea politica? Passo al secondo gruppo di domande, sulla Gladio. Per quanto attiene alla rimozione del segreto sull’organizzazione Gladio, nel 1990, come si sa e come ha confermato in questa Commissione, lei decise di rimuovere il segreto di Stato, ritenendo che la situazione internazionale fosse tale che non vi era più bisogno di quell’organismo. Ci può dire se acquisì in merito il parere preventivo dei Ministri competenti? Quella decisione fu concordata con il Presidente della Repubblica? Fu concordata con il Governo degli Stati Uniti, partner nell’accordo stipulato? Quali reazioni determinò la decisione del Governo italiano nell’ambito dell’Alleanza? Quale reazione determinò la sua decisione da parte del Presidente della Repubblica? Ebbe a questo riguardo colloqui, preventivi o successivi, con il capo dell’opposizione, onorevole Occhetto, o con altri esponenti del mondo politico, imprenditoriale o dell’informazione?
Infine, ci può dire se era a conoscenza dell’organizzazione dei cosiddetti Ossi (Operatori speciali dei servizi segreti) di cui avrebbe fatto parte un addestratore della Gladio, il maresciallo Licausi, una organizzazione preposta ad attività di guerra non ortodossa?

PRESIDENTE. La ringrazio per la sinteticità e precisione delle sue domande, senatore Manca.

ANDREOTTI. Ritengo che le parole di apprezzamento dell’onorevole Moro, in modo particolare una lettera che egli mandò al generale Miceli, debbano essere interpretate sotto un profilo umanitario e non sotto quello di condivisione di una politica, segnatamente in dissenso da quelle che erano iniziative adottate prima dai magistrati e poi da me (in quanto avevo dovuto rimuovere il generale Miceli dal suo incarico e avevo dovuto annullare anche la sua destinazione a comandare il Corpo d’armata di Milano). Per quello che riguarda le dichiarazioni del generale Maletti, non so bene cosa voglia dire «andreottiano». Certamente, con il generale Maletti il mio è stato un rapporto solo formale, d’ufficio. Personalmente l’ho visto soltanto due volte, la prima, come ho ricordato l’altro giorno, quando venne a rendermi edotto dell’inchiesta che lui aveva fatto sul golpe Borghese; la seconda, quando venne a dirmi dell’iniziativa di approfondimento nei confronti del partito che quel signor Foligni stava allestendo, di cui il Servizio si era occupato legittimamente, anzi doverosamente (in quanto si parlava di una formazione politica che faceva affidamento su militari e su ambasciate straniere); mi disse: «Guardi, abbiamo fatto le indagini, si tratta di quattro «sfessati» (o un’espressione equipollente). Per il resto, che vi sia stato un dissenso all’interno dei Servizi nei confronti della cosiddetta politica araba è una interna corporis che a me non fu mai manifestata; peraltro non ritengo che fossero i Servizi ad adottare la linea politica, bensì i responsabili politici.
L’opinione di Maletti che la fornitura di armi – oltretutto, se non vado errato, da parte dell’Oto Melara, società a partecipazione statale, del tutto in conformità delle leggi – fosse un modo di contrariare gli Stati Uniti è un’opinione, non voglio dire apprezzabile, perchè non l’apprezzo molto, comunque un’opinione personale che non devo io commentare. Per quanto riguarda la pubblicazione dell’elenco degli appartenenti della struttura Gladio, non dovevo domandare a nessuno; vi era un apprezzamento politico, essendo una struttura predisposta per il caso di invasione dell’Italia ed essendo completamente cambiata la situazione politica internazionale. Non essendovi quindi alcun motivo (almeno allo stato) di temere invasioni, a mio avviso era più che dovuto rendere pubblico quell’elenco. Arrivammo alla decisione dopo una riunione, che ho ricordato l’altra volta, fatta con i responsabili dei Servizi, con il Comandante dei carabinieri, il Capo della polizia ed altri colleghi Ministri competenti. Nella riunione dicemmo: «Se vi sono elementi che voi ritenete debbano essere coperti dal segreto, diteli, noi li valuteremo». Però dissi pure che se qualcuno non diceva tutta la verità in quella occasione, si poteva considerare dimissionario; perchè era veramente un atto dovuto.

gianadelio maletti

E che vi sia stata, secondo l’opinione di alcuni e dello stesso ammiraglio Martini, una reazione internazionale, a me non risulta affatto. Anche nei mesi successivi, ho avuto occasione di incontrarmi con colleghi Capi di Governo e di parlare con gli americani: non ho sentito una sola lamentela per questo. So che poi anche altri paesi hanno fatto lo stesso. E ritengo che non vi era nessun motivo per fare diversamente. Della organizzazione Ossi ho appreso l’esistenza solo di recente, in occasione di un processo che c’è stato. Per quanto riguarda il Presidente della Repubblica, con cui ero in contatto si può dire quotidiano, non ho mai avuto da parte sua manifestazioni di dissenso circa la pubblicazione di questi elenchi o sulla messa a conoscenza del Parlamento – specificamente della Commissione – delle liste di composizione dell’organizzazione.

PRESIDENTE. Senatore Andreotti, mi consenta la richiesta di un chiarimento. La questione di Miceli e di Maletti ci riporta all’indagine sul golpe dell’Immacolata. Ho riletto il verbale che abbiamo approvato della sua audizione e lei ci ha confermato di ritenere quell’episodio grave, da non sottovalutare. Poichè normalmente lei non è persona che enfatizza le cose, che lei ci abbia detto che è una questione che deve essere tenuta in considerazione è un fatto che valuteremo. Lei ci ha anche detto che probabilmente il golpe si arresta perchè Almirante non dà la solidarietà del Movimento Sociale Italiano. Da questa ricostruzione però Borghese fa la figura di uno sprovveduto, perchè era mai pensabile che si potesse progettare un colpo di Stato con la guardia forestale, un po’ di giovanotti scalmanati e armati che si erano radunati in una nota palestra, senza che ci fosse un qualche affidamento di qualche copertura politica importante e, soprattutto, che ci fosse un affidamento sulla non reazione delle Forze armate e degli apparati di sicurezza Quello su cui mi sono interrogato è che Borghese non era uno sprovveduto; la sua storia, il ruolo che ha avuto durante tutta la Resistenza, della X Mas, il modo con il quale viene salvato nel 1945, descrive Borghese come un uomo d’arme ma anche come un uomo che conosce la logica del potere, e direi anche la logica occulta del potere. È verosimile che si sia messo alla testa di un’avventura di questo tipo senza avere una serie di affidamenti che a un certo momento vengono meno, o forse fin dall’inizio era stato deliberato che venissero meno per farlo «scoprire», e poi arrestare a un certo momento l’intero movimento? La sua valutazione su questo, qual è?

ANDREOTTI. Intanto vorrei confermare quel che ho detto l’altro giorno, che nella istruttoria fatta dalla Procura della Repubblica e nella requisitoria che ho inviato alla Commissione, e che può essere letta, si conferma che quanto ha detto Maletti, cioè che l’istruttoria del procuratore fosse stata superficiale, è completamente falso. L’istruttoria fu molto approfondita e anzi, se eventualmente c’è da poter fare una critica alla requisitoria – potrete leggere quel documento – è che forse è stata di un’eccessiva severità.

PRESIDENTE. Senatore, la mia domanda è proprio questa: forse è non aver dato risposta alle domande che ho posto che rendeva debole quell’ipotesi accusatoria.

ANDREOTTI. Aggiungo che dopo le arringhe dei difensori – anche questo è depositato nella documentazione che ho chiesto al senatore Vitalone e che ho inviato alla Commissione – Vitalone riprese la parola proprio nei confronti del generale Miceli dicendo che, se l’attribuzione specifica del reato addebitato a Miceli era meno grave, però il suo ruolo e proprio la sua funzione rendevano molto più forte la sua responsabilità. Alla domanda: «aveva valutato le proprie forze il Borghese?»… Io non l’ho conosciuto, quindi non so se avesse questa capacità di valutazione e se pensasse che, creando una condizione di eccezionalità, cioè in una notte di vigilia di un giorno festivo (quando in fondo gli apparati dello Stato sono normalmente meno guarniti) andando a occupare la radio e compiendo anche azioni ciò provocasse una specie di consenso militare. Credo probabilmente sia stato vittima di informazioni sbagliate che gli venivano date; perchè credo di aver conosciuto in profondità le Forze armate e non ho mai pensato che fossero disponibili come tali per manifestazioni contro l’ordine costituzionale, contro la legalità. Chi si faceva illusione di questo genere era, nell’ipotesi migliore, un visionario. Se guardiamo anche alla qualità umana delle persone che stavano intorno al principe Borghese…

PRESIDENTE. Erano di basso livello.

ANDREOTTI. Probabilmente sono vere entrambe le ipotesi, cioè un timore oggettivo che il gesto potesse veramente sovvertire l’ordine costituzionale non sarebbe fondato, però una valutazione grave su quello che fu l’atto è altrettanto fondata. Nel documento di Vitalone si riporta, per esempio, il testo del messaggio che Borghese aveva (o gli avevano) preparato con un appello al Paese perchè tutti riconoscessero qual era la verità, la giustizia, la bandiera e cose del genere.
A mio avviso è stato più che giusto irrogare delle condanne, però storicamente la libertà in Italia non ha corso un oggettivo pericolo. Sono due cose che non sono in contrasto come valutazione, nè credo veramente che potesse fare affidamento reale su appoggi consistenti.

CORSINI. In questa sede mi limiterò ad avanzare domande e non esporrò valutazioni in merito al contenuto dell’audizione della volta scorsa. Sento però il dovere, anche alla luce di polemiche giornalistiche che ho potuto leggere e senza voler qui anticipare valutazioni o la discussione che si farà nell’Ufficio di Presidenza di manifestare apprezzamento, stima e anche solidarietà personale al presidente Pellegrino, che mi pare coinvolto in polemiche del tutto pretestuose.

PRESIDENTE. La ringrazio.

CORSINI. Passando direttamente alle domande, torno all’audizione che la Commissione ha avuto con il generale Maletti a Johannesburg. In quell’occasione il generale Maletti ha riferito che lei – all’epoca era Ministro della difesa – suggerì di non comunicare all’autorità giudiziaria i nomi di alcune persone. In seguito avremo la certezza che si trattava di Licio Gelli, dell’ammiraglio Torrisi e di altri a vario titolo coinvolti nel golpe Borghese, ma rispetto al cui coinvolgimento gli accertamenti del Servizio erano incompleti e le informazioni in gran parte incontrollate. Il generale Maletti, sempre nel corso della sua audizione, ha parlato di due incontri, avvenuti l’uno in un pomeriggio di luglio o di agosto del 1974 – un incontro a quattr’occhi tra lei e Maletti nel suo ufficio al Ministero – e l’altro all’inizio di agosto nel suo ufficio privato, con gli ammiragli Casardi ed Henke e un altro ufficiale, con la partecipazione del tenente colonnello Romagnoli e del capitano Labruna. Lei ricorda le due riunioni e ha qualcosa da dire in proposito, in modo particolare per quanto riguarda la dichiarazione di Maletti circa il suggerimento di espungere alcuni nomi dal «malloppone» che riguardava le indagini sul golpe Borghese?

ANDREOTTI. Non entro nel merito della sua premessa, però sono anch’io rammaricato di interpretazioni esterne che sono state poi date, perchè citando un determinato episodio sembra che uno voglia attaccare questo o quel personaggio – in questo caso Prodi – ma non è certo così. Anche perchè, che si trattasse di quel gruppo lì non lo ricordavo nemmeno bene, mi ricordavo bene il fatto ma non il gruppo.
Quel che dice il generale Maletti è vero per le due riunioni. La prima, più che una riunione fu un’udienza che lui chiese e ottenne da me al ministero quando mi venne a mettere al corrente appunto dell’inchiesta che avevano condotto, domandandomi come doveva comportarsi nei confronti del generale Miceli. Gli dissi: «Lei gerarchicamente è un subordinato del generale Miceli. Lei riferisca al generale Miceli; se poi il generale Miceli non prende delle conseguenze, non porta il fatto a mia conoscenza, lei torna da me e vedremo allora quello che dovremo fare». Lui riferì al generale Miceli, il quale invece mi venne immediatamente a parlare e stabilimmo insieme di fare una audizione dei nastri di questa inchiesta che era stata portata avanti dagli uffici del generale Maletti. La facemmo nel mio studio anche per una maggiore riservatezza, presenti le persone che lei ha ricordato e, in più, i Capi di stato maggiore, il comandante dell’Arma e il comandante della Guardia di finanza. Intanto i nomi che lei ha fatto (siccome ha detto che «poi» avete acquisito la certezza, ma io non so da chi abbia acquisito tale certezza) non sono mai stati fatti, è un dato certo. Furono in particolare i militari a dire che bisognava distinguere quelli che erano fatti da quelle che erano invece solo speranze di adesioni. Nel senso che vi erano frasi di questo genere: si spera di avere anche l’appoggio del…; e si trattava sempre di militari, mai sono stati citati dai civili. I Capi di stato maggiore dissero che prima di portare questo materiale all’autorità giudiziaria dovevano fare un approfondimento; perchè era inutile esporre dei nomi senza motivo. Furono proprio il Capo di stato maggiore della difesa e il Capo di stato maggiore dell’Esercito che riguardarono questi atti e mi portarono poi il testo da inviare all’autorità giudiziaria nel quale, del resto, qualche nome di militare, ma non erano molti, fu omesso ed erano proprio quelli che non c’entravano niente, tanto è vero che poi sono rimasti completamente fuori anche dall’inchiesta giudiziaria successiva. Quindi, si tratta assolutamente di questo e siccome è un fatto notorio nell’amministrazione e più che documentabile che non c’era nessuna ragione di inviare nomi di estranei; condivisi la preoccupazione legittima delle Forze armate di non esporre alcuni nomi, che figuravano solo come oggetti di una speranza che potessero aderire, ma non c’era assolutamente nessun elemento per dire che avessero manifestato una predisposizione o ancor meno un’adesione.