“Piazza della Loggia un pentito evoca Ludwig” Corriere del Veneto 13.02.12

Marco Toffaloni oggi è un signore di 54 anni e dalle informazioni disponibili vive a Schaffhausen, in Svizzera, dove sarebbe coniugato con una cittadina elvetica, condizione, questa, che in taluni casi consente di ottenere la cittadinanza. Ma nel 1974 era un diciassettenne che faceva la spola tra la sua città, Verona, e l’università di Bologna. Una «testa calda » che solo alcuni anni dopo i carabinieri avrebbero imparato a conoscere bene per i suoi legami con l’estremismo di destra. Ora il suo nome torna alla ribalta, a pochi giorni dall’avvio del processo di secondo grado per la strage di Piazza della Loggia. Imputati gli ordinovisti veneziani Delfo Zorzi (che oggi vive in Giappone) e Carlo Maria Maggi, il neofascista Maurizio Tramonte e l’ex ufficiale dei carabinieri Francesco Delfino, accusati dell’ordigno esploso il 28 maggio di 38 anni fa e già assolti in primo grado. A parlare di Marco Toffaloni sarebbe stato il padovano Giampaolo Stimamiglio, oggi sessantenne, il cui nome compare spesso nelle carte delle inchieste sull’estremismo di destra. Ai carabinieri del Ros, ha raccontato di quel ragazzino veronese che gli confidò di aver avuto un non meglio precisato «ruolo operativo» nella strage di Piazza della Loggia.

Il giovane, stando a questa nuova versione, si sarebbe trovato proprio a Brescia, quel giorno maledetto. Una sorta di «manovale» al soldo dei terroristi, o almeno questo è ciò che ha lasciato intendere Stimamiglio. Quanto basta per riaprire una «pista veronese» nell’indagine che vuole provare come l’esplosione che provocò la morte di otto persone e il ferimento di oltre cento, fu pianificata da ambienti eversivi dell’estrema destra mentre lo Stato preferì guardare altrove. A occuparsi della vicenda sono due magistrati della procura dei minori, Emma Avezzù e Maria Grazia Omboni, visto che all’epoca Toffaloni era minorenne. Stando a quanto riportato ieri dal Corriere di Brescia, un paio di settimane fa i due magistrati si sono recati a Verona e hanno messo sotto torchio per otto ore il generale Amos Spiazzi di Corte Regia, creatore della cosiddetta «Organizzazione di Sicurezza» e chiamato in causa in numerose indagini, ma sempre prosciolto da ogni accusa. «Non posso dire nulla, c’è il segreto istruttorio», dice Spiazzi. Ma stando alle indiscrezioni, pare che sia stato sentito anche su un possibile legame tra Toffaloni e «Ludwig», l’organizzazione neonazista dietro la quale si celavano i serial killer veronesi Wolfgang Abel e Marco Furlan, responsabili di dieci omicidi.

In un rapporto dei carabinieri che risale al 1996 si precisa che «lo Stimamiglio ha riferito che il cosidetto “Gruppo Ludwig” era stato costituito dai nuovi elementi di Ordine Nuovo, e, dello stesso, avevano fatto parte i noti Abel, Furlan, Marchetti, Sterbeni e Toffaloni, che lo Stimamiglio indica con il soprannome di Tomaten ». Abel, che dopo il carcere è tornato a vivere sulle colline veronesi in attesa che gli sia concessa la libertà definitiva, ha sempre negato di essere un assassino. E ora assicura di non conoscere Toffaloni. «Mai sentito nominare. Mi hanno descritto come un neonazista ma la verità è che negli anni Settanta non frequentavo certo gli ambienti dell’estrema destra. Preferivo i locali alternativi, quelli dove giravano gli spinelli… ». Non è la prima volta che nelle carte processuali spunta il nome di Toffaloni. Era finito nell’inchiesta sulle Ronde pirogene antidemocratiche, il fantomatico gruppo che negli anni Novanta ha distrutto oltre 120 utilitarie parcheggiate per le vie di Bologna, compare nelle informative sulla strage di Ustica e su quelle della strage di Bologna. Perfino in un’inchiesta su strani gruppi esoterici che puntavano al recupero delle radici filosofiche del nazismo. Ora Piazza della Loggia. Ma la «pista veronese » va scavata, e i pm stanno sentendo altri testimoni. Non è escluso che Toffaloni possa essere ascoltato per rogatoria, anche se a Verona nessuno sembra sapere che fine abbia fatto. Neppure sua sorella: «Con lui ho interrotto ogni rapporto, non ho neppure il numero di telefono», assicura.

Maurizio Tramonte – dichiarazioni su Ermanno Buzzi

“In merito al punto 8 dello stesso appunto, posso aggiungere che scendemmo insieme dalla macchina, e prendemmo qualcosa con la coppia del Duetto nel bar sito in Piazza della Loggia. Nell’appunto dico nei pressi della piazza, ma credo che si trattasse proprio di questa, perché ricordo dei portici. Non ricordo altri particolari della coppia, ma erano entrambi del bresciano. Il conducente della FIAT li conosceva entrambi. Se nell’appunto non è indicata la targa, quasi certamente questa era della provincia di Brescia. Ricordo che si ripartì per Salò ognuno sulle proprie macchine, con davanti il Duetto”.

(…) Come già ho avuto occasione di precisare con il Capitano Giraudo e il Maresciallo Botticelli – questo è il richiamo appunto alla relazione di servizio a seguito della quale lei venne iscritto al registro indagati – devo aggiungere che i rapporti con il Buzzi presso l’area di servizio Agip di cui ho parlato si sono svolti in modo drammatico. Quando ci siamo allontanati dalla Porsche del Buzzi a bordo della quale vi erano le due ragazze, ci siamo portati Luigi ed io e lo stesso Buzzi a una certa distanza dalle auto. Presa visione delle foto allegate alla nota 1963/30-5 del 4/01/1996, la foto di questa area di servizio, posso precisare che ci siamo portati sulla sinistra dell’edificio guardando la foto. La Porsche e la nostra auto erano posizionate proprio dinanzi alle pompe di benzina con la parte anteriore verso destra. In sostanza siamo andati in un punto nel quale le due ragazze e il gestore del distributore non potessero vederci. Ricordo che c’era un certo movimento sebbene fosse abbastanza tardi. Saranno state circa le 22. Eravamo molto tesi e determinati perché lungo tutto il tragitto da Salò avevamo pensato a come comportarci per costringere il Buzzi a fornire tutte le spiegazioni di cui avevamo bisogno. Gli abbiamo puntato due pistole. Io gli ho infilato la canna di revolver in bocca e Luigi gli ha puntato l’altra pistola credo all’addome. Anche Buzzi era molto teso e spaventato. Ricordo che a seguito della nostra condotta perdeva sangue dalla bocca. Io, infatti, gli avevo premuto violentemente la canna della pistola sul palato. Volevamo sapere a ogni costo chi fosse il Carabiniere per il quale faceva il confidente. Per noi era importante sapere quel nome in quanto solo in tale modo sarebbe stato possibile intervenire su questo militare attraverso le conoscenze che Fachini aveva nell’ambiente dei servizi segreti. In particolare le conoscenze del Fachini avrebbero consentito un intervento sul militare, finalizzato a indurre questo ultimo a pressare il Buzzi. (…)

Tornando al discorso su Buzzi, ricordo che a seguito della nostra insistenza questo ultimo cominciò a fornire qualche indicazione sul conto del militare del quale era confidente. Prima disse che si trattava di un ufficiale, poi disse che era un capitano. Alla fine fece il nome del capitano Delfino. In ordine alla telefonata allarmata che aveva fatto allo Zorzi, Buzzi si era giustificato spiegando che questo capitano dopo la strage aveva mutato l’atteggiamento nei suoi confronti. Nel senso che aveva iniziato a fargli molte domande come se sospettasse qualcosa, proprio con riguardo alla strage. Per me questo giustificazione del Buzzi non era assolutamente credibile, posto che non aveva alcun senso che detto militare si rivolgesse a lui per attingere eventuali notizie con riferimento alla strage se veramente il Buzzi fosse stato solo un confidente in grado di fornire indicazioni relative alla malavita comune. Proprio alla luce di queste considerazioni io e Luigi ripetevano che in realtà il Buzzi si fosse fatto scappare qualche mezza affermazione con il capitano relativa a quanto era effettivamente in sua conoscenza. L’incarico che avevamo ricevuto da Maggi Carlo Maria e da Melioli era quello di far parlare il Buzzi a ogni costo. Devo dire che la tensione era tale che saremmo anche potuti arrivare ad ucciderlo. Al fine le spiegazioni del Buzzi non ci hanno convinto totalmente. Avevamo però ottenuto il nome del suo referente e abbiamo deciso di relazionare il tutto a Melioli e agli altri, lasciando andare il Buzzi. Al Buzzi abbiamo anche chiesto notizie del secondo ordigno in quanto era nostra intenzione rientrarne in possesso. Lui ha detto che lo teneva nascosto e che della cosa avrebbe parlato direttamente con Zorzi. Non so dire che fine abbia fatto quell’ordigno. Anni dopo parlando con Melioli ho appreso che non è mai stato restituito dal Buzzi. Il giorno successivo all’incontro con Buzzi ho riferito quanto accaduto a Melioli che è andato su tutte le furie nell’apprendere che la situazione era nelle mani di un delinquente comune, confidente dei Carabinieri che avrebbe potuto tradirci in qualunque momento anche perché non motivato politicamente. (…)

Melioli ha quindi convocato una nuova riunione presso la libreria Ezelino. In quell’occasione Melioli ha contestato al Maggi, al Fachini e allo Zorzi che la scelta per un così delicato incarico, il trasporto e la custodia dei due ordigni fosse caduta su una persona come il Buzzi sul conto della quale aveva raccolto anche altre indicazioni negative da parte dei camerati bresciani. Nell’occasione Melioli ha preteso che Maggi, Zorzi e Fachini facessero la roulette russa affinché anche loro dimostrassero il loro coraggio. Mettessero la loro vita nella mani di Dio e corressero gli stessi rischi che lui aveva corso venendo a Brescia a mettere la bomba. La cosa non deve stupire in quanto nel nostro ambiente a quell’epoca la roulette russa veniva vista come un gesto eroico”.

La documentazione sequestrata a Gian Gastone Romani – Le schede di adesione ad Ordine Nuovo

Tra gli atti del processo di Catanzaro, relativi alla strage di piazza Fontana, sono state rinvenute le schede di adesione al CENTRO STUDI ORDINE NUOVO di Pino RAUTI. Vincenzo VINCIGUERRA, che ha sempre sostenuto che all’interno del CENTRO STUDI ORDINE NUOVO di Pino RAUTI si celava una struttura occulta della quale facevano parte, tra gli altri, Delfo ZORZI, Carlo Maria MAGGI e lo stesso Pino RAUTI, fin dai suoi primi verbali al GI di Venezia aveva invitato l’AG ad acquisire le schede di adesione al CSON al fine di accertare che ORDINE NUOVO non era la palestra culturale-ideologica di cui parlava l’on. Pino RAUTI giacché, se così fosse stato, non avrebbe avuto alcun senso richiedere notizie, a coloro che intendevano aderire ad ORDINE NUOVO, sull’eventuale possesso del porto d’armi, sull’espletamento del servizio militare, sulla conoscenza di discipline sportive orientali e così via. Secondo il VINCIGUERRA le schede di adesione rappresentavano “la smentita plateale alle affermazioni sull’organizzazione politico-culturale di ORDINE NUOVO”. Tra la documentazione sequestrata a Gian Gastone ROMANI, in occasione della perquisizione disposta dal GI di Milano ed eseguita il 20 marzo 1973 furono rinvenute e sequestrate, tra le altre cose, tre schede di adesione intestate a Franco STEINBACH di Trieste ed ai noti Paolo MORIN e Carlo Maria MAGGI di Venezia.

Dalla scheda compilata da Carlo Maria MAGGI si rileva che ai vertici del CENTRO STUDI ORDINE NUOVO, tra le altre cose, interessava conoscere: l’orientamento politico del datore di lavoro (MAGGI scrive “EBREA”); il possesso della patente d’auto, di moto, di nautica o il brevetto aereonautico; il possesso di autovetture, moto, imbarcazioni o velivoli; in caso affermativo il tipo e la targa (MAGGI indicherà “1100 R”); il possesso della patente di caccia o porto d’armi; il possesso del passaporto e per quali Paesi; il possesso di conoscenze utilizzabili ai fini del “C.C.A.”; se praticava sport e presso quali associazioni, in quali orari, l’orientamento politico dell’Associazione; se aveva assolto gli obblighi militari, con quale grado e specializzazione; se era appartenuto alle forze armate prima o dopo l’8 settembre 1943, in quali Reparti, a quali campagne di guerra aveva partecipato, se aveva riportato ferite e ricevuto decorazioni; se apparteneva ad Associazioni d’Arma.
Come ben si vede tali richieste di informazioni, rivolte a coloro che intendevano aderire a ORDINE NUOVO, appaiono alquanto insolite per un centro studi che avesse mere finalità politico-culturali. Anche questo elemento, in aggiunta alle inequivocabili informazioni fornite dalla fonte MORTILLA del Ministero dell’Interno, di cui si è detto, concorrono a dimostrare che il CENTRO STUDI ORDINE NUOVO, già molti anni prima dei fatti che costituiscono oggetto del presente procedimento, aveva al suo interno, una struttura parallela di carattere militare e coperta.

Memoria Pm strage di Brescia

L’intercettazione ambientale Raho/Battiston – estratto motivi di impugnazione avv. Sinicato

E’ impressionante, a questo punto, ascoltare l’intercettazione ambientale del 26.9.95 tra Roberto Raho e Piero Battiston nella quale si trova la conferma “dal vivo” del racconto di Digilio.

A questo proposito la Corte raggiunge vette di assurdità sorprendenti e la lettura della motivazione sul punto conferma il pregiudizio che permea l’intero capitolo dedicato al narrato di Digilio.

Una corretta valutazione di questo passaggio fondamentale della ricostruzione giudiziaria non può prescindere dal considerare che Raho è stato ritenuto responsabile di numerosi reati legati al possesso ed utilizzo di esplosivo e, in particolare, come si è già detto, sono risultati provati proprio i frequenti rapporti con Digilio e per la sua reticenza la Procura di Milano ebbe ad emettere un ordine di custodia cautelare proprio con riferimento al contenuto delle dichiarazioni del colloquio con Battiston.

Negli interrogatori resi nel ’95 e ’96 dal Raho alla P.M. Pradella (e acquisiti agli atti), del resto, non si fa fatica a trovare ragione delle sue reticenze (peraltro comuni anche a molti altri protagonisti di quegli anni) nel rischio di vedersi contestare la partecipazione ai reati imprescrittibili di strage o di essere costretto a coinvolgervi amici e sodali con i quali spesso i rapporti non erano cessati.

E’ proprio il caso di Raho e Battiston che il primo è costretto ad ammettere di avere rivisto proprio in quei giorni e proprio per parlare di Digilio!.

Le poche battute riservate dalla sentenza alla figura di Roberto Raho sono ancora una volta il frutto della incomprensibile frettolosità di un giudice incapace di andare oltre ciò che ha direttamente ascoltato in aula dimenticando ogni collegamento con la rilevante messe di informazioni che la amplissima indagine gli aveva messo a disposizione.

Ma è la lettura del testo della conversazione fatta dalla Corte che non convince sia per l’omissione di alcuni passaggi importanti sia per le conclusioni.

Il passaggio che riguarda direttamente i fatti del processo è riportato a pag. 214 della sentenza ma deve essere letto nella sua interezza e si compone di tre diverse affermazioni tutte di Roberto Raho.

  1. “Se il nonno dice la verità sulle piccole cose …. Potrebbe … eh, dirla anche sulle grandi”
  2. “Per esempio era trapelato che il nonno aveva detto che Marcello Soffiati il giorno prima della strage era partito per Brescia con le valigie piene di esplosivo, Soffiati è morto ….”
  3. “Il dottore è vivo poi, però, e il Soffiati gli serve per fargli portare la …”

La prima affermazione non può che essere interpretata come la consapevolezza della conoscenza, da parte di Digilio, di molti segreti di grande rilievo sui fatti più eclatanti di quegli anni e si colloca come ulteriore riscontro generico alla attendibilità di Digilio.

Quanto alla seconda è facile notare che Raho collega direttamente la valigetta di Soffiati a Brescia e non già a Milano come sempre sostenuto da Digilio.

Ciò significa che la fonte di conoscenza di Raho non è Digilio ma qualcuno che conosceva l’effettiva destinazione dell’ordigno.

Ciò è tanto più evidente poiché la frase sembra riferirsi alla conoscenza del fatto proveniente da una propalazione estranea al “nonno”: se Raho avesse avuto la notizia dallo stesso Digilio la frase sarebbe stata “il nonno aveva detto che …”.

Si deve parlare, dunque, di una fonte diversa e autonoma rispetto al dichiarato di Digilio e di una fonte certamente precedente alle dichiarazioni sul punto rese ai giudici italiani.

La terza affermazione è un ulteriore elemento di grande rilevanza poiché riguarda direttamente Maggi.

E’ bene notare, che Raho, nel riferire la sua conoscenza dell’episodio due righe sopra non aveva nominato il mandante di Soffiati e, dunque, l’indicazione di questo passo certamente completa la comunicazione delle informazioni in suo possesso indicando il “dottore” (cioè Maggi) come il mandante.

Ma la frase si completa riferendo che il Soffiati “…gli serve per fargli portare la …”.

E’, dunque, a Maggi che serve Soffiati per l’incombenza e, questo, è tecnicamente un riscontro individualizzante al dichiarato di Digilio.

L’affermazione della Corte secondo la quale questa “non sarebbe altro che una ulteriore versione di Digilio resa in tempi antecedenti alla sua collaborazione” è destituita, allora, di ogni fondamento.

Ma la sentenza non avendo rilevato l’evidenza del fatto che il reale dichiarante è il solo Raho, spende varie pagine nel tentativo di ottenere precisazioni e chiarimenti da Battiston col solo risultato di confondersi ulteriormente.

In effetti Battiston dapprima si dice sicuro di aver appreso della valigetta di Soffiati direttamente da Digilio (pag. 223 sentenza) mentre si trovavano tutti e tre insieme collocando l’incontro o nel periodo del militare in Veneto ovvero durante la latitanza in Venezuela, poi finisce per dichiarare di non avere un ricordo diretto del colloquio (pag. 226).

Successivamente (pag. 231) rispondendo al controesame della difesa Zorzi che gli segnala come Digilio avesse escluso (int. 20.1.97 P.M. Brescia) di averne parlato con loro in quei termini, Battiston finisce per sostenere che è Digilio che mente (pur avendo un evidente interesse opposto).

L’errore in cui cade Battiston è lo stesso in cui cade la Corte e cioè escludere che le frasi di Raho abbiano una fonte diversa da Digilio (ad esempio lo stesso Maggi con il quale Raho aveva all’epoca molti rapporti).

Solo così, del resto, si spiega il riferimento a Brescia che Digilio non ha mai fatto e si giustificano le incertezze di Battiston non solo sull’epoca della conoscenza dell’episodio ma anche sulla evidente illogicità di non aver collegato la valigetta alla strage!.

E se è vero che nella descrizione di questo fatto i due non dicono che Soffiati aveva ricevuto la valigetta da Zorzi (come invece afferma Digilio), questa omissione non è in grado, ad un attento esame, di far perdere carattere individualizzante al riscontro.

L’intercettazione ambientale deve essere letta, infatti, unitariamente, vale a dire in tutte le parti del discorso che intercorre fra Raho e Battiston e ciò consente di rilevare come, da un lato, dalla prima parte della conversazione emerga chiaramente la preoccupazione di Zorzi rispetto ad una accusa generica di Digilio, ma dall’altro, quando l’accusa si concretizza, essa corrisponde nelle modalità descrittive del fatto proprio all’episodio della valigetta, di cui Digilio non aveva ancora parlato nel corso dei suoi interrogatori.

L’individualizzazione della accusa verso Zorzi deriva dalla preoccupazione di Zorzi stesso, precedentemente affermata, il quale, se non avesse fornito l’esplosivo, non avrebbe avuto alcuna ragione di temere che Digilio potesse attribuirgli questa condotta e quindi non avrebbe dovuto rientrare nel novero dei “soggetti preoccupati”. E, invece, in questa intercettazione ambientale, oltre a Maggi, i soggetti preoccupati non sono solo Raho e Battiston (perché sanno di avere frequentato con una certa assiduità lo Scalinetto) ma anche Delfo Zorzi.

Ciò non bastasse negli atti si trova un’altra intercettazione che indirettamente conferma la provenienza dell’esplosivo dal gruppo Zorzi.

Ci si riferisce al passaggio alle pagine 50-51 dell’intercettazione ambientale Siciliano-Fisanotti del 16 maggio 2002 che, per comodità di consultazione, viene qui integralmente riprodotto:

Martino: un altro è il Digilio che lo ricoverano … con grado di Capitano in ospedale …

Beppe: Dov’è? … (ride) … Dove cazzo è?

Martino: il coso è qui … vicino al lago di Garda.

Beppe: Ma sarà in qualche ricovero, dai …

Martino: In ospedale.

Beppe: E’ moribondo, cazzo … su …!

Martino: Ma quale “moribondo” ….’

Beppe: Non ha fatto un ictus?

Martino: Si … va beh ….

Beppe: insomma, la malattia …

Martino: (…) …

Beppe: …. La malattia dei camerati è l’ictus …. (riso lieve) ….

Martino: (…) …

Beppe: La malattia (…) camera …

Martino: Lui si ricorda tutto. Con l’ictus si ricorda ….

Beppe: Si ricorda veramente?

Martino: Mi hanno … mi hanno usato a me questo … (…).

La mia questione lì è stata tenuta in piedi solo per quello. Tu lo sai benissimo che io non … (…)…

Beppe: Beh, certo.

Martino: (…) là. Adesso continua (?) a metterlo in culo e … teniamo duro. C’è anche Delfino là.

Posto che non risulta che Siciliano abbia mai conosciuto il capitano Delfino, tali affermazioni dimostrano, innanzitutto, che non era solo Raho ad utilizzare il soprannome di “Delfino” per indicare Zorzi e, sotto tale profilo, costituiscono riscontro sia alla intercettazione ambientale Raho – Battiston sia alle dichiarazioni rese al dibattimento dallo stesso Battiston.

Ma vi è di più. Il passaggio sopra citato dimostra che nel 2002, nel corso di una conversazione nella quale Siciliano era all’oscuro di essere intercettato (mentre Fisanotti era stato mandato dagli inquirenti ad incontrarlo proprio per “provocare” le sue dichiarazioni) lo stesso Siciliano, che aveva ricevuto denaro da Zorzi per non accusarlo (e ciò è riconosciuto nella sentenza impugnata), afferma confidenzialmente che lui, come “pentito”, viene “tenuto in piedi” dagli organi inquirenti per riscontrare le dichiarazioni di Digilio, anche se (precisa il collaboratore) egli non era là in quel periodo (cioè non era più politicamente attivo nella zona di Mestre nel 1974), mentre “Delfino”, cioè Zorzi, si che c’era!

Ebbene, anche alla luce di questi ulteriori elementi, risulta ormai inutile domandarsi il perché Zorzi abbia deciso di “pagare” la ritrattazione di Siciliano.

Una cosa è certa: la risposta che fornisce la Corte di primo grado è a dir poco “imbarazzante”.

Così rilette, le affermazioni di Raho appaiono in tutta la loro rilevanza e si configurano come vere.

Le dichiarazioni di Tramonte al dibattimento per la strage di Milano

Occorre subito puntualizzare che, al di là delle sue ritrattazioni, non tutti i verbali di Maurizio TRAMONTE sono inutilizzabili nei confronti degli altri imputati, in quanto il verbale davanti alla Corte di Assise del 21.12.2000, relativo al processo per la strage di Piazza Fontana, è pienamente utilizzabile nei confronti di MAGGI e ZORZI, (e RAUTI, che ha acconsentito alla sua acquisizione) ivi imputati ed assistiti. Certamente gli argomenti trattati si riferiscono prevalentemente alla strage di Piazza Fontana, e quello relativo alla strage di Brescia viene trattato marginalmente. Molte delle risposte, tuttavia, sono illuminate dalle domande dei difensori, che richiamano passi dei verbali istruttori di Brescia, che spesso vengono implicitamente confermati da TRAMONTE nel momento in cui ne fornisce una spiegazione.

Parte di quel verbale si riferisce, appunto, alle note riunioni preparatorie relative alla strage di Brescia, che nell’occasione vengono confermate. Esaminiamo quali argomenti sono oggetto della conferma di TRAMONTE a Milano, con particolare riferimento all’argomento delle riunioni a casa di ROMANI:

TRAMONTE (pag.98) afferma di essere entrato nel ’72 nella cellula di ROMANI, MAGGI, FRANCESCONI SARTORI e i “Mestrini”. MAGGI l’aveva visto un paio di volte, prima della costituzione della cellula. La cellula viene costituita da ROMANI, FACHINI, MELIOLI e ROMANI di Abano. Ci saranno una decina di riunioni nel ’74 a casa di ROMANI. Ricorda che in quel periodo aveva sia l’auto che una moto. MELIOLI forse l’aveva conosciuto poco prima della costituzione della cellula. Ricorda la manifestazione nel corso della quale lui e MELIOLI hanno caricato i Carabinieri. Conferma che FACHINI ha portato a Folgaria due membri dell’AGINTER PRESSE. Anche a Bellinzona c’era qualcuno dell’AGINTER PRESSE, oltre a MAGGI, SARTORI, MELIOLI, ZORZI aveva partecipato ad un campo in Portogallo.

“Ho avuto occasione di frequentare più volte la casa del ROMANI… ad Abano Terme.” Nel 72 è entrato come infiltrato a far parte della cellula della quale facevano parte ROMANI, MAGGI, FRANCESCONI Arturo, i Mestrini, ZOTTO e LUIGI, Davide RIELLO e MELIOLI. Era stato FACHINI a farlo inserire. Ricorda delle riunioni saltuarie nel 72, e molte riunioni, forse una decina da marzo a maggio ’74. Ha descritto le vetture con le quali i partecipanti si recavano alle suddette riunioni da ROMANI. Ha affrontato il discorso dei timer utilizzati a Milano, detenuti da DE ECCHER e FACHINI. Ha riferito del campo di Bellinzona (agosto 74) al quale avrebbe partecipato assieme a SARTORI e MAGGI e qualcuno dell’AGINTER PRESSE. Ha aggiunto di aver sentito nominare il nome di ZORZI anche in occasione del campo di Lugano (Bellinzona), cui fanno riferimento le veline ed al quale ha ammesso di aver partecipato in dibattimento, pur descrivendo i fatti in termini riduttivi rispetto alle precedenti dichiarazioni. Ha implicitamente confermato, a domanda della Parte Civile, che quando erano sorti problemi per l’esplosivo ad Abano, ZORZI si è incaricato di contattare le persone dell’AGINTER PRESSE, che sono in concreto venute: “Perché quando ci hanno problemi per l’esplosivo ad Abano è ZORZI che si incarica di contattare le persone della AGINTER PRESSE, tant’è vero che vengono”. Ha precisato che MAGGI non era conosciuto dalle persone dell’AGINTER PRESSE , che erano tale Philip e un altro che aveva chiamato ZORZI. Ha confermato: “Dottore, succede questo: uno, ZORZI conosce e fa arrivare quelli dell’AGINTER PRESSE che si occupa dell’esplosivo diciamo, quindi parliamo maggio 74; poi questi istruttori che troviamo là, parlando con MAGGI, parlano anche di ZORZI quindi capisco che questi conoscono anche ZORZI e potevano essere quelli che gli avevano insegnato in Portogallo.” A domanda del difensore di ZORZI ha collocato LUIGI presente alla riunione in cui vengono collocate le bombe per la strage di Brescia, ed ha affermato che anche Maurizio ZOTTO avrebbe partecipato a parecchie riunioni.

Ha ammesso di aver riferito, in un certo senso, anche al M.llo FELLI notizie circa la strage di Piazza della Loggia. Ha ammesso che forse per la strage di Brescia erano stati utilizzati gli stessi timer di Milano. Presuppone che, siccome era sempre MAGGI a “tenere” la riunione, sia stato il predetto a riferirgli la circostanza. FACHINI non veniva mai. ZORZI lo vide certamente, oltre a Roma nel ’69, certamente anche dopo la strage di Piazza della Loggia. Aggiunge, in un secondo tempo, che lo vide “anche prima della strage di Brescia quando viene ad Abano che gli dico(no) che deve andare da questi dell’AGINTER PRESSE, poi certamente qualche altra volta l’ho visto…”. Poi subito dopo aggiunge che non è sicuro se questa cosa gliel’abbia raccontata MAGGI, o se lo abbia visto quando glielo dicono. Conferma che il fatto è del maggio 74. In sostanza avrà visto ZORZI 4-5 volte lungo il corso degli anni.

Riportato sul punto, ritiene di aver dato notizie a FELLI della strage di Piazza della Loggia in tempo reale. Ritiene di averglielo detto prima della strage. Ritiene di averlo avvertito prima della strage anche in quanto poi FELLI è andato in ferie. Afferma che la bomba era dentro a delle buste da ginnastica.

“Era MAGGI l’unico che parlava alle riunioni, che metteva al corrente, era lui il leader chiamiamolo del gruppo”. Vide ZORZI dopo la strage di Brescia, a Padova. C’erano FACHINI, MELIOLI, forse MAGGI. FACHINI gli disse che gli Americani “erano quelli che finanziavano Ordine Nuovo”. Quando ZORZI venne ad Abano prima della strage, gli dissero “di andare da quelli dell’AGINTER PRESSE”. ZORZI lo ha visto 4-5 volte nel corso degli anni. A LUCA disse che vi era intenzione di collocare una bomba per un grosso attentato. La cellula venne costituita nel ’72, ne fanno parte ROMANI, MAGGI, i 2 mestrini, MELIOLI e RIELLO. Come si può notare non sono poche le affermazioni di TRAMONTE che, attraverso la conferma a Milano, conservano la loro validità. La S.C. ha avallato la valutazione del Tribunale di Brescia secondo cui la ritrattazione di TRAMONTE è del tutto inattendibile, perché immotivata, e in quanto tale non efficace. Si tratta, naturalmente, di verificare se siano comunque attendibili ab origine le sue affermazioni. Questo Ufficio ritiene che a detta domanda si debba rispondere prevalentemente in modo positivo, dovendosi escludere in modo assoluto soltanto tutto ciò che ruota attorno ad ALBERTO, a LUIGI, e a pochi altri singoli argomenti. TRAMONTE era comunque un membro di Ordine Nuovo, che faceva parte del gruppo di MAGGI e ROMANI all’epoca della strage, e quindi nelle condizioni di descrivere gli eventi che ha effettivamente descritto.

Memoria pm strage piazza della Loggia

Carlo Digilio – dichiarazioni 17.05.1997

Il fatto che si stesse preparando qualcosa di importante mi era del resto già stato reso evidente da un altro incontro che avvenne con Delfo ZORZI a fine ottobre 1969 a Mestre.
Sono certo della data in quanto ricordo che si trattava di pochi giorni prima delle festività dei Santi e dei Morti e il ricordo di tali ricorrenze in quell’anno è per me vivo in quanto collegato al fatto che dovetti cambiare la lampada votiva sulla tomba di mio padre che era stata infranta da vandali i quali avevano anche scritto frasi oltraggiose nei confronti del Corpo della Guardia di Finanza a cui mio padre apparteneva.
Anche in tale occasione fu ZORZI a chiamarmi al telefono dandomi appuntamento in Corso del Popolo e l’incontro si limitò ad alcuni discorsi sui temi legati al funzionamento e all’innesco degli ordigni esplosivi senza che ZORZI portasse e mi mostrasse del materiale.
In particolare egli mi chiese se i candelotti di gelignite, di cui lui già disponeva, potevano essere usati interi e cioè essere inseriti in una cassetta metallica senza prima essere tagliati a metà.
In particolare ZORZI si era convinto che se fossero stati usati i candelotti interi in una cassetta metallica vi era la possibilità che non sarebbero esplosi completamente e che quindi la cosa migliore era quella di tagliarli.
Io gli risposi che era un’idea assolutamente infondata in quanto i candelotti sono fatti per essere utilizzati interi e anzi tagliarli a metà costituisce un ulteriore pericolo soprattutto se si usa una lama metallica che potrebbe anche causare una scintilla e farli esplodere durante tale operazione.