PRESIDENTE. Può spiegare alla Commissione la scelta di cui ha appena accennato di fare attentati dopo le assoluzioni di Catanzaro? Mi pare che i capi di Cosa nostra uscirono assolti, dopodiché si disse: “Ci dobbiamo ripresentare”.
ANTONINO CALDERONE. Sì, dobbiamo far sentire che siamo presenti, tanto è vero che poi si dovevano mettere le bombe. E’ venuto a Catania Francesco Madonia, quello di Palermo, portando una bomba ad orologeria, ma era un ordigno fatto artigianalmente. Si doveva mettere quando lo dicevano loro.
Avevano deciso di metterlo alla fine dell’anno, poi non erano d’accordo, fatto sta che noialtri non l’abbiamo messo. Luciano Liggio disse a mio cugino: “Senti, hai ancora quella bomba?”. “Sì”. “Perché non la metti dietro alla porta del palazzo di giustizia?”. Quello l’ha messa ed è scoppiata.
PRESIDENTE. Quando fu messa la bomba nella macchina di suo fratello non fu fatta intervenire la polizia perché un
uomo d’onore non deve farlo, ma venne chiamato Pietro Rampulla. Può spiegare chi era?
ANTONINO CALDERONE. Pietro Rampulla è il figlio di un grande uomo d’onore di Mistretta. Era quello che spingeva
molto per ammazzare il presidente della regione D’Angelo. Da ragazzo, frequentando la scuola, diventò fascista. Dice lui – ed io ci credo – che lo hanno istruito nel maneggiare il tritolo, le bombe. Nitto Santapaola ha portato questo signore per disinnescare la bomba, perché noialtri non ne capivamo niente. Lui ha staccato i fili e ci ha spiegato che era una bomba con comando a distanza. Era una piccola scatola da scarpe, l’abbiamo aperta e c’era una lampada: come faceva contatto si accendeva. C’erano una batteria e tanti fili. Ora, se non ho messo io la bomba non
la stacco così presto.
PRESIDENTE. Venne il sospetto che l’avesse fatta Rampulla?
ANTONINO CALDERONE. E’ logico.
PRESIDENTE. Come è possibile che un terrorista di destra fosse anche uomo d’onore?
ANTONINO CALDERONE. Non era più di destra. Era stato terrorista, aveva dato qualche coltellata, aveva un processo,
mi pare, ma poi era uscito.
PRESIDENTE. Quando Cosa nostra, dopo le assoluzioni di Catanzaro, decise di attuare la strategia della violenza per
rifarsi viva, era sola ad aver deciso o c’era qualcun altro che poteva aver interesse?
ANTONINO CALDERONE. Non so. Io sapevo che era Cosa nostra ad aver deciso così.
PRESIDENTE. Può dare alla Commissione i chiarimenti a sua conoscenza sulla questione del golpe Borghese?
ANTONINO CALDERONE. Sì. Qualcuno a Palermo ha fatto sapere che Valerio Borghese voleva fare un golpe e voleva gli uomini della mafia (non sapeva che si chiamava Cosa nostra).
Si sono riuniti ed hanno deciso. I fascisti non li hanno mai potuti vedere per il fatto di Mussolini, perciò si disse che
se riuscivano nel golpe per noialtri erano guai, allora tanto valeva prenderli in giro dicendo di sì, che accettavamo: se
vincono, abbiamo guadagnato, se non vincono non abbiamo perso niente. Si disse che uno poteva andare a conoscere come stavano le cose e mio fratello si recò a Roma ad un appuntamento. Fu preso da una persona che lo portò da Valerio Borghese, che gli chiese molti uomini e spiegò la strategia del golpe.
PRESIDENTE. Cosa gli disse?
ANTONINO CALDERONE. Che Roma era il centro e tutta l’Italia era periferia. Si doveva occupare prima di tutto il
Ministero dell’interno e la RAI. Dal Ministero dell’interno un loro uomo avrebbe diramato a tutti i prefetti l’ordine di
levarsi perché sarebbero stati sostituiti da altri uomini.
Dovevamo accompagnarli noialtri mafiosi o i fascisti per farli insediare: se i prefetti non si volevano levare dovevamo
intervenire noialtri. Borghese disse che dovevamo arrestarli e mio fratello rispose che non avevamo mai arrestato persone e che, se voleva, li potevamo ammazzare. Gli dissero che ci avrebbero dato delle armi, se mandavamo degli uomini a Roma, e che ci avrebbero fatto sapere la data. Hanno fissato la data ed è partito dalla Sicilia Natale Rimi con altri due. Gli hanno dato dei mitra, in quella famosa notte, dicendo: “Se sentite a Roma sparare qualche colpo…”. Noi aspettavamo all’aeroporto il ritorno di questo.
PRESIDENTE. Tutto il vostro contributo era rappresentato da tre persone?
ANTONINO CALDERONE. Sì.
PRESIDENTE. Se poi la cosa fosse andata bene vi sareste mossi?
ANTONINO CALDERONE. Sì. Comunque, agivamo così per farceli amici e perché ci promisero che avrebbero revisionato i processi di Liggio, Rimi e qualche altro. Naturalmente, non ci garantivano che poi avremmo potuto effettuare omicidi a nostro piacimento, poiché vi sarebbe stata comunque una legge. Intanto, però, si potevano revisionare i processi.
PRESIDENTE. Subire processi e condanne rappresenta un fatto grave per Cosa nostra?
ANTONINO CALDERONE. E’ gravissimo, non grave.
PRESIDENTE. Quindi, uno dei maggiori interessi di Cosa nostra è quello di ridurre la reclusione ed annullare i processi?
ANTONINO CALDERONE. E’ logico, perché in tal modo si comanda meglio e si acquista un certo carisma. Infatti, chi
riesce a far annullare un processo acquista, agli occhi degli uomini d’onore, un grande prestigio.
Dichiarazioni di Antonino Calderone in commissione parlamentare antimafia dell’11.11.1992
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