Roberto Cavallaro – udienza 7.1.2010 al processo per la strage di Brescia

P.M. PIANTONI – Signor Cavallaro, buongiorno. Noi siamo interessati a ripercorrere con lei i dati che lei ha già riversato in molti verbali e a diverse autorità giudiziarie legate ad un’attività dei primi anni ’70 diciamo, 1972, 1973, 1974. Abbiamo molti verbali, insomma lei venne coinvolto nel procedimento Rosa dei Venti, quindi dal Giudice istruttorie di Padova il Dottore Tamburino e poi i verbali di Brescia, di Milano, di Roma e di tante altre autorità. Io innanzitutto le chiedo, dato che nei verbali c’è un po’ un’evoluzione nel racconto, di partire dall’inizio in qualche modo e di spiegarci. Lei è qui come testimone ovviamente e non ci interessano quelli che sono stati gli sviluppi processuali, che poi mi pare che si siano conclusi favorevolmente per la sua posizione, ci interessa il dato conoscitivo, quindi la realtà con la quale lei è entrato in contatto e della quale ha riferito in quei verbali, però partendo dall’inizio, cioè dalle ragioni e le circostanze nelle quali lei è venuto a contatto con quella realtà. Quindi partiamo da quella che era la sua collocazione nella prima metà degli anni ’70.

R. Cavallaro – Sì. Ovviamente la datazione è quello che lei ha citato, quindi stiamo parlando di circa quarant’anni fa e naturalmente devo fare una doverosa premessa, che è quella di riportare un po’ tutti quelli che erano gli episodi e le vite e i personaggi che c’erano ad una realtà che era completamente diversa, quindi non assolutamente sovrapponibile o in qualche modo riferibile a quella che è attuale. Quindi è chiaro che le situazioni del 1972 sostanzialmente erano del tutto particolari ed era in quel momento di particolare situazione politica che io, provenendo da alla cultura se vogliamo dell’epoca intesa, quindi come cultura in quel momento di alternativa ad una sinistra che veniva da una situazione molto particolare, insomma il 1969, il 1968, le lotte del 1968, le lotte di rivendicazione sociale, l’unificazione dei sindacati che avevano portato ad un’alterazione in realtà di un certo quieto vivere che c’era, ma mi aveva fatto scegliere una situazione di maggiore visione di ordine sociale, che era quella sostanzialmente ravvisabile in qualche modo nel Movimento Sociale, pur non avendo io mai fatto parte del Movimento Sociale come partito. Ho avuto degli incarichi prima, pur studiando e lavorando, avevo avuto degli incarichi sindacali all’interno del sindacale C.I.S.L. nella Federchimici, fino ad essere vice segretario provinciale successivamente proprio a seguito di questa fusione che era stata fatta tra le varie realtà sindacali, quindi l’unione tra i sindacati diventati sostanzialmente di sinistra o soprattutto, come si diceva, cinghia e trasmissione tra l’allora Partito Comunista e la realtà di lavoro, ero divenuto segretario provinciale della CISNAL, che era in realtà del sindacato che in qualche modo si rifaceva alla destra e che comunque era l’unica alternativa che c’era a questa situazione sindacale. Ecco, all’interno di questo contesto sono stato avvicinato da persone che appartenevano a servizi di sicurezza, con l’invito sostanzialmente (è chiaro che devo andare per estrema sintesi) ad entrare a far parte di una struttura di sicurezza. Questo come prima parte. Questo ha portato a un cambiamento sostanziale di vita, nel senso che l’impegno assunto, che era un impegno per quanto mi riguardava in obbedienza, se vogliamo così dire, a quello che era lo spirito dello Stato, che era uno spirito di responsabilità e di riconoscimento nello Stato quale fonte, se vogliamo, del vivere civile, io ho cercato di impegnarmi secondo quelle che erano le direttive che mi venivano date di volta in volta. Questo ha permesso sia la conoscenza di un certo settore, che era quello poi in realtà militare e dei movimenti di una destra extraparlamentare, che in realtà era la situazione più nota in quel momento e quindi verso la quale io ero stato portato ad operare secondo le indicazioni ben precise, e da lì sono sorti e sono nati un po’ tutti quelli che sono gli accadimenti della mia situazione processuale. Quindi, Pubblico Ministero, io vorrei magari più che una relazione, magari se ci sono dei riferimenti precisi ai quali poter dare le risposte.

P.M. – Sì. La Corte ovviamente non conosce e non può conoscere le dichiarazioni che lei ha reso nel corso degli anni, perché la prova si raccoglie nel dibattimento; ovviamente dove ci saranno difficoltà nel ricordo la aiuterò con ciò che lei disse in queste verbalizzazioni. Vediamo per ora di approfondire questo dato iniziale, insomma lei viene avvicinato da chi se è possibile ed ha accennato ad una organizzazione di sicurezza, ci dica che cosa significa, cos’è un’organizzazione di sicurezza e quali sono stati gli incarichi che le sono stati affidati in questa fase iniziale.

R. Cavallaro – Guardi, in realtà l’avvicinamento è avvenuto da parte di persone che si sono manifestate, in quanto lo erano, personale appartenente all’allora struttura di sicurezza, che poi in quel momento era il SID.

P.M. – Quindi servizio di difesa?

R. Cavallaro – Servizio di formazione di difesa, sì.

P.M. – Servizio militare che all’epoca esisteva.

Cavallaro – Sì.

P.M. – Questo lo può dire perché si qualificarono per tali?

R. Cavallaro – Perché in realtà io ho cominciato un percorso di vita in comune.

P.M. – Ecco, allora ci racconti, perché questo aspetto, signor Cavallaro, non è particolarmente sviluppato nei verbali; ce n’è qualche accenno nei suoi memoriali e qualche cenno anche nei verbali, per carità, ma un racconto organico non è mai stato fatto.

R. Cavallaro – Io credo che in realtà ci sia anche una descrizione ben precisa su quelli che sono i fascicoli dell’allora procedimento Borghese – Rosa dei Venti, che io sono certo di avere dato delle spiegazioni, che sono state peraltro verificate. Devo ricordare che io sono stato arrestato nel novembre del 1973, quindi voglio poi rifarmi a quanto il Pubblico Ministero chiede, nell’ambito dell’inchiesta conosciuta poi come Rosa dei Venti da parte del consigliere Fais di Padova, indagine poi sviluppata dal Giudice Tamburino come Giudice istruttore e dichiaro che in forza di quanto dicevo, cioè di una consapevolezza di far parte di una struttura dello Stato, io avevo atteso per cento giorni che qualche cosa si verificasse, nel senso che ci fosse da parte dello Stato una risposta al fatto che ogni mia attività era sostanzialmente riconducibile ad un’attività di Stato. Questo non è avvenuto, per cui dopo cento giorni, dove non avevo parlato, ho chiesto di essere sentito dal Giudice Tamburino allora. La premessa che avevo fatto prima di ritornare a quegli anni ’70 era dovuta al fatto che il sistema della giustizia era un sistema che aveva dei limiti probabilmente maggiori di quelli che ci sono adesso, in cui sostanzialmente il destino delle persone era in mano inappellabilmente ai Giudici dell’indagine. Ebbene, proprio in quel momento io mi sono posto il problema se fare delle affermazioni come quelle che avrei dovuto fare, voluto fare, a quel punto ho dovuto fare, posto che per cento giorni lo Stato non aveva dato nessuna manifestazione, in qualche modo voler intervenire, io ero in regime di isolamento per cento giorni, per certo giorni completamente privo di notizia, di informazioni così, salvo qualcosa che era trapelato, perché è chiaro che le maglie del controllo talvolta insomma… ed era trapelato quello che nella stampa appariva, cioè il tentativo di scaricarmi ancora prima che io dicessi o facessi una qualunque dichiarazione. Nel frattempo si era verificato anche l’arresto di un altro ufficiale con il quale io avevo dei contatti.

P.M. – E che si chiama, il nome?

R. Cavallaro – Era il maggiore Spiazzi. Io mi trovavo veramente con un grosso problema e un grosso dilemma a sapere se dire e riferire al Giudice o no quello che avrei potuto dire, questo perché c’erano casi molto palesi dei quali io ero a conoscenza. Faccio un riferimento, per esempio, a magistrati dell’ufficio del Pubblico Ministero che avendo militato nelle Brigate Nere durante il periodo della Repubblica di Salò, erano stati in qualche modo riconosciuti diciamo e anche da qualcuno dei sottoposti, questo era stato trasferito al manicomio criminale.Insomma, c’erano degli episodi veramente tristi e io avevo timore di potere affrontare questo; però ad un certo punto andava sciolta quella che poteva essere una mia riserva e l’ho fatto chiedendo al Giudice istruttore di incontrarmi, cosa che lui ha fatto nel febbraio del 2004 e al quale io ho fatto…

P.M. – Del 1974!

R. Cavallaro – Del 1974. Al quale io ho fatto una doverosa premessa all’inizio di undici ore di interrogatorio, che poi via via si sono sviluppate, dicendo che avrebbe potuto credere a quello che io stavo per dire, ovviamente non avrebbe potuto credermi, ma quanto io stato per riferire era di una così significativa portata, che chiedevo di non sottovalutare a priori quanto stavo per dire.
Ed è iniziata la mia narrazione, credo undici ore di interrogatorio, comunque sono agli atti, di quella difficoltà e ho cercato di spiegare che sostanzialmente io appartenevo ad una struttura che era una struttura di sicurezza dello Stato, in parte coincidente e in parte non coincidente con gli uffici formali del SID. È chiaro che, diciamo, se di fortuna si è trattato, c’è stata quella che il Giudice non ha escluso a priori, ma ha cominciato ad analizzare tutti i dati che io stavo riferendo ed è per questo che le dicevo che quanto mi ha chiesto, cioè sulla appartenenza a questa struttura, io avevo dato tutti gli atti, che sono stati peraltro verificati in quanto il Giudice Tamburino, con l’allora capitano Tomei dei Carabinieri è andato a Forte Braschi a fare una verifica sui miei fascicoli. Tra l’altro sono quelli che poi hanno portato l’incriminazione del generale Miceli per falso ideologico. Insomma, per farla breve, il mio fascicolo prima era formulato in un certo modo, era stato filmato segretamente dai Carabinieri, all’indomani, successivamente è andato con una ordinanza di sequestro del fascicolo e il mio fascicolo era stato completamente riformulato e questo sono gli elementi che ha portato all’incriminazione del generale Miceli. Quindi in realtà il mio ingresso in questa struttura era stato ampiamente descritto, Pubblico Ministero, per questo dicevo!

tamburino

P.M. – No, l’accenno che facevo era legato al fatto che nei verbali, per esempio, l’approccio e la conoscenza con Spiazzi viene narrata in termini… ci dica lei, insomma.

R. Cavallaro – No…

P.M. – Partiamo dall’inizio, per questo dicevo la difficoltà se partiamo dai verbali c’è poi un problema di tornare indietro, allora le chiedevo partiamo dall’inizio e quindi ci racconti per questo discorso. Io potrei anche non avere tutti i verbali, ha capito? Nel memoriale che ho mancano alcuni fogli, per esempio, sono passati molti anni ed è anche difficile mettere mano nel materiale cartaceo.

R. Cavallaro – Ci sono alcune mie dichiarazioni che sono state segretate e che credo che abbiano ancora il segreto di stato, poi non riesco a capire perché, ma comunque…

P.M. – Allora, io ho le dichiarazioni che lei ha reso nel corso del processo, quindi ovviamente non sono segretate. Traggo notizia di un’attività da lei svolta per conto dei servizi, il primo per verbale dove trovo traccia di questa attività è quello del 17 ottobre 1988 dinanzi alla Corte d’Assise di Venezia. Prima il racconto, al di là dei memoriali, dei contatti con Spiazzi, i contatti con le altre figure che vedremo, sono narrati…

R. Cavallaro – Scusi Pubblico Ministero, io non credo di essere stato sentito dalla Corte d’Assise di Venezia!

P.M.- Sì, lei è stato sentito in Corte d’Assise a Venezia il…

R. Cavallaro – Forse dal Pubblico Ministero da Casson, ma in udienza io non credo di essere stato sentito! Guardi, magari sono stato sentito tante volte e potrebbe sfuggirmi! Forse in riferimento all’episodio di Gladio o l’Argo Sedici!

P.M.- Io ho qua un verbale della Corte d’Assise di Venezia del 17 ottobre 1988, è un verbale breve, dove si lei riferisce di avere svolto attività per i servizi ed in particolare leggo la frase: “Ho effettivamente operato all’interno dei servizi, inserito nella loro struttura e di quella parte che poi si è rivelata essere deviata e mi riferisco agli anni 1971, 1972 e 1973”.

R. Cavallaro – Signor Presidente, mi scuso, ma non…

P.M.- Non ha un ricordo?

R. Cavallaro – No.

INTERVENTO DEL PRESIDENTE – C’è il verbale!

R. Cavallaro – Sì, ma guardi, proprio non ce l’avevo presente; in ogni caso non toglie nulla, perché sostanzialmente riconfermo questo.

P.M.- Sì.

R. Cavallaro – Tuttavia a dire per quanto riguarda la mia conoscenza con il maggiore Spiazzi, devo dire che questa era stata programmata attraverso incontri che dovevano risultare sostanzialmente casuali; ma questo comunque è assolutamente tutto presente nei verbali; ricordo bene che naturalmente la genesi di tutto era stata quella maggiormente sviscerata in sede di indagine del Giudice istruttore. In ogni caso io ho avuto modo di incontrare l’allora maggiore Spiazzi che era vice comandante di un reparto di artiglieria a Verona, in una chiesa, c’era una ricorrenza o qualche cosa dove lui era presente e io ero stato informato che lui sarebbe stato presente e conseguentemente diciamo che il primo approccio è avvenuto in questo modo.

P.M.- Comunque già questo primo approccio è svolgimento di un’attività specifica, non è un fatto casuale?

R. Cavallaro – Sì.

P.M.- Mentre nei verbali, nel primo verbale, ma anche in seguito, il primo è quello del 15 febbraio del 1974, come lei prima ha esattamente indicato, si fa riferimento a questo incontro casuale.

R. Cavallaro – Io ho fatto a premessa, Presidente, che è questa: È chiaro che io mi trovavo in una situazione in cui dovere andare ad affermare, e stiamo parlando del verbale del 1974, cose di questo genere, in cui mentre adesso la cosa può avere una sua credibilità perché è un effetto ex post dei fatti accaduti, allora in realtà si trattava di fare delle affermazioni che avrebbero potuto non essere credute e avere danneggiato ancora in misura maggiore rispetto a quanto poi sostanzialmente è stato fatto della mia vita, che è stata ovviamente… diciamo che è cambiata, è stata una camicia di Nesso mortifera tutto questo fatto, non potevo certamente andare a spiegare in dettaglio ancora prima che si verificassero, che fossero verificati dati e fatti che io stavo comunicando nel dettaglio.

P.M.- Ma infatti!

R. Cavallaro – Io sono certo che il Pubblico Ministero…

P.M. – Il problema per me è capire, e per capire le chiedo appunto di partire dall’inizio. È chiaro che nei suoi verbali c’erano queste difficoltà, oggi siamo nel 2010 e queste difficoltà per una serie di ragioni non ci sono più; in più lei qui è sentito come testimone, in assoluta serenità e tranquillità. Quindi le chiedo non prenda come una contestazione per dire: Ah, ma perché ha negato! Cioè voglio capire, ecco!

R. Cavallaro – No, io ho voluto fare questa premessa, cioè nel fatto che l’estrema difficoltà di andare a riferire cose di questo genere, perché stiamo parlando del 1974, quando storicamente tutto era diverso, erano diversi i mezzi di informazione, era diversa la società; conseguentemente c’è stato un processo (come lei aveva evidenziato) anche di maggiore spiegazione nel corso del tempo, sia perché nel frattempo si erano verificate le fasi processuali di primo grado e le fasi di appello, dove poi, seppure travagliatamente, è stata estesa l’assoluzione; sia perché poi era proprio durante questo periodo che in itinere venivano verificati i fatti, che non erano fatti sicuramente tranquilli, in considerazione della resistenza che c’era e di una sostanziale campagna di delegittimazione partita dall’interno stesso. Non va dimenticato che io già dalla seconda metà del 1973 ero stato sostanzialmente scaricato e conseguentemente avevo anche necessità di mantenere un periodo di tutela della mia incolumità. Gli incidente all’epoca non è che fossero proprio così inconsueti, e parlo di incidenti proprio di natura fisica; ecco, questo era uno dei motivi per cui probabilmente c’era… Io sono certo di avere poi chiarito anche questo episodio in cui in realtà era stato programmato questo incontro per creare una ragione di contatto; anche perché da lì poi si è sviluppato sostanzialmente quella prima attività che era parallela con quella del maggiore Spiazzi, ma non solo, che era il motivo dell’incontro determinato, cioè proprio quello di andare poi ad incontrare i gruppi genovesi per stabilire l’ipotesi di una loro disponibilità ad un intervento di violazione della natura istituzionale, insomma.

P.M.- Intervento di tipo finanziario? Di che tipo?

R. Cavallaro – Intervento di tipo finanziario da parte loro, finalizzato appunto alla commissione di determinate cose che loro chiedevano, nel caso di specie era la soppressione di Castagnino e dell’altra responsabile… un momento di amnesia. La Capponi e Castagnino, che erano i responsabili della strage di Via Rasella, cosa che peraltro non solo non si è verificato, ma tutto si è risolto in modo anche piuttosto…

P.M.- Sì. Allora cerchiamo di fare questo sforzo di memoria e di partire dall’inizio. Quindi lei diceva vengo avvicinato, ci sa dire da chi in particolare è stato avvicinato?

R. Cavallaro – Guardi, è chiaro che i nomi erano tutti nomi di copertura e le persone che mi avevano avvicinato all’epoca io ho avuto modo di incontrarle solo successivamente, in quanto terminata la fase di aggancio, per così dire, queste poi erano andate per conto loro, cioè in realtà non avevamo motivo di frequentazione ulteriore, erano due ufficiali dell’esercito.

P.M.- Ecco, lei conobbe dei nomi di copertura, ricorda il nome di copertura?

R. Cavallaro – Il mio riferimento particolare in quel momento era uno, che era un ufficiale… non mi ricordo di che Arma, che era conosciuto come capitano Giorgio.

P.M.- Giorgio?

R. Cavallaro – Sì.

P.M.- Nome sicuramente fasullo comunque, nome di copertura?

R. Cavallaro – Guardi Pubblico Ministero, i nomi erano sempre di copertura, perché comunque sia era necessario al di là dell’immagine, che è chiaro che uno poi avrebbe potuto ravvisare la figura, no? Era prassi che ci fosse il nome di copertura.

P.M.- Lei poi negli anni ha avuto modo di capire chi fosse questo capitano Giorgio o non ha più saputo quale fosse la sua identità?

R. Cavallaro – Dal 1974 ho cercato di creare una barriera con quel mondo, perché si era comportato in maniera spaventosa e conseguentemente avevo proprio avuto una reazione importante e non ho avuto modo di incontrare più queste persone.

P.M.- Questo capitano Giorgio rimane il suo referente nel periodo in cui lei ha svolto quella attività?

R. Cavallaro – No, assolutamente no, perché nelle varie fasi, ma non sono fasi lunghissime, ma ci sono fasi di contatto con soggetti diversi, che erano talvolta raggiungibili telefonicamente, talvolta raggiungibili attraverso contatti intermedi, talvolta invece con delle situazioni di sostanziale convivenza per certi periodi.

P.M.- Ecco, la fase dell’inizio ha avuto un momento addestrativo? Cioè come si svolge, ce la può raccontare? Io vorrei intanto chiedere se possiamo acquisire dei memoriali e quindi dei documenti che nel corso degli anni sono stati redatti dal Cavallaro.

INTERVENTO DEL PRESIDENTE – Sì, li facciamo vedere, così li riconosce e poi li acquisiamo chiaramente.

P.M.- Ecco, in particolare io ho una memoria che Cavallaro presentò, manoscritta, Monselice 10 aprile 1974, Padova, la data è un po’ pasticciata e non si legge bene, comunque fa riferimento ad un confronto con il colonnello Spiazzi, una memoria scritta di pugno, adesso gliela faccio vedere, se la riconosce come propria; quindi prima memoria 10 aprile 1974. Poi abbiamo un memoriale molto voluminoso, scritto a macchina, che inizia con “Roberto Cavallaro, testo raccolto da Sergio Stancanelli” e poi vedremo di capire di cosa si tratta, intanto gliela faccio vedere e ci spiega lei. Dovrebbe essere oggetto di un materiale dal quale è stata tratta poi una intervista pubblicata sull’Europeo.

R. Cavallaro – Sì.

P.M.- Siamo nel 1974, nell’ottobre del 1974.

R. Cavallaro – Sì.

P.M.- Poi abbiamo una memoria al Giudice Casson del 6 novembre 1990. Ecco, io intanto le mostro questi tre documenti.

R. Cavallaro – Sì, sono decisamente miei.

P.M.- Li ha visti tutti e tre?

R. Cavallaro – Sì.

P.M.- Quindi sono opera sua. Questo che non ha data, quello più corposo, è corretto collocarlo ad ottobre 1974? È quello di cui si fa riferimento nei verbali come utilizzato poi nell’intervista e nell’articolo pubblicato o è altra cosa?

R. Cavallaro – Adesso naturalmente non ho preso visione, diciamo che avevo messo assieme una serie di ricordi, una serie di notizie, che erano più ampie rispetto a quelle date, fornite al Giudice istruttore. Immediatamente da considerare che il Giudice Tamburino, a seguito della pubblicazione, mi ha chiamato, era ancora pendente la fase istruttoria e a seguito di quella sono stati redatti tutti una serie di verbali integrativi ovviamente a questo fatto, a questo memoriale che avevo predisposto.

P.M.- Ecco, ma le chiedo se questo documento che le mostro, se vuole glielo rifaccio vedere…

R. Cavallaro – Guardi, ritengo di sì, Pubblico Ministero. Non mi metto a leggerlo perché credo che ci metterei una…

P.M.- Ma la forma grafica anche se non fosse altro, gli appunti…

R. Cavallaro – Sì, ma credo che sicuramente tutti e tre sono miei.

P.M.- Cioè l’ha scritto lei insomma?

R. Cavallaro – Sissignore. L’abbiamo scritto a quattro mani, nel senso che era un po’ lungo e ci siamo divisi i compiti un po’ io e un po’ Stancanelli.

P.M.- Questo Stancanelli chi è?

R. Cavallaro – Ma era una persona conoscente, tra l’altro lui credo fosse anche un giornalista pubblicista, ma…

P.M.- Quindi che le ha dato una mano nella stesura del testo?

R. Cavallaro – Sissignore, nella redazione allora del testo.

P.M.- Allora io intanto chiederei che questi tre documenti vengano acquisiti.

R. Cavallaro – Per quanto riguarda il discorso del 1974, era credo uno dei primi confronti che avevo sollecitato e comunque, adesso non so se io o il Giudice istruttore, aveva predisposto, in quanto eravamo nella fase in cui il maggiore Spiazzi allora negava sostanzialmente ogni cosa, di quello che io stavo andando dicendo ed era il periodo in cui il generale Alemanno, nell’incontro che aveva avuto con il maggiore Spiazzi, gli aveva sostanzialmente impedito di chiarire e quindi confermare le cose che poi in realtà in itinere sono state confermate dallo stesso Spiazzi; quindi sia dagli incontri, sia da quelle che erano tutte le modalità di svolgimento dell’incarico affidato, che era quello del contatto dei genovesi, da una parte, e il contatto con il gruppo la Rosa dei Venti, quindi Rizzato dall’altra.

P.M.- Ma in questa memoria al Giudice di Venezia del 1990 c’è una prima spiegazione più articolata, appunto, di questo contatto iniziale e della sua evoluzione e si dice di questo avvicinamento nel 1972, sono a pagina 2; nel 1972 le riferisce che era stato avvicinato da persone che, appunto, la invitato… è quello che ha detto un attimo fa insomma, a prendere contatto con questa struttura, ad entrare a far parte di questa struttura.

R. Cavallaro – Sì.

P.M.- È in grado di farci il nome di qualcuno di queste persone? Erano persone da lei conosciute o erano per lei degli estranei?

R. Cavallaro – No, erano assolutamente estranee al momento del contatto.

P.M.- Erano degli estranei?

R. Cavallaro – Sì.

P.M.- Questo contatto come si evolve nell’immediato? Cioè

lei dice sì va bene, ma sì va bene a che cosa? Cioè che cosa le viene proposto?

R. Cavallaro – Mi viene proposto sostanzialmente…

P.M. – Che cos’è questa struttura di cui le parlano?

Cavallaro – Di far parte di una struttura, quindi di una…definivano l’ufficio, un ufficio, che si occupava dello sicurezza dello Stato e che aveva bisogno di disponibilità da parte di persone che, primo, condividessero sostanzialmente i principi del rispetto dello Stato, i valori e tutte queste cose qui; secondo, che fossero in grado di affrontare delle situazioni che potevano essere le più eterogenee, escluse operazioni per quanto mi riguardava di natura materiale, quindi io non ho mai preso in mano una pistola, non ho mai… cioè era assolutamente lontano da quello che sarei stato disposto a fare. Quindi erano, se vogliamo usare il termine forse più appropriato, erano proprio operazioni di intelligence finalizzate alla sicurezza dello Stato. Il misto suggestione per un eventuale incarico o impiego in questo tipo, che poteva avere un suo fascino e anche la possibilità in qualche modo di essere utile, mi ha fatto accettare e quindi da lì poi io sono stato in uffici a Roma, sono stato anche a Forte Braschi e quindi poi ho avuto modo di incontrare in altri luoghi e in altri siti anche altre persone.

P.M. – Lei nella memoria del 1990…

Cavallaro – Scusi Pubblico Ministero, volevo dire questo: per quanto riguarda addestramento da altro, in realtà non esiste una sorta di addestramento, se non una serie di dialoghi, quindi di discussioni su quelle che erano operazioni eventuali da porre in essere, nel tentativo di identificare il modo migliore affinché queste si verificassero. L’unico seminario, se vogliamo usare un termine di questo genere, è stato non in Italia, ma è stato in Francia, dove io sono stato mandate assieme ad altre persone e lì ho incontrato altre persone sostanzialmente come me, provenienti da varie parti dell’Europa sia occidentale che orientale. Diciamo che l’unico punto formativo, se vogliamo definirlo così, è stato non in Italia, ma…

P.M. – In Francia.

R.Cavallaro – Sì.

P.M. – Dove in particolare?

R. Cavallaro – Era nella regione di Vosgi, adesso non ricordo, anche perché insomma eravamo un po’ intruppati, comunque siamo stati qualche giorno per parlare di sicurezza generale dell’Europa.

P.M. – Ecco, sicurezza da che cosa? Diciamolo, perché non è stato detto.

R. Cavallaro – In quel momento, per quanto riguardava l’Italia, la sicurezza in funzione anticomunista. Però voglio chiarire che erano presenti soggetti allora sia portoghesi, in cui era ancora vigente il regime salazarista e di Caetano, c’erano greci, ma in Grecia c’era già stata una situazione di cambiamento della realtà istituzionale; ma c’erano anche soggetti polacchi, cosa che peraltro mi aveva creato anche qualche perplessità, insomma.

P.M. – Questa fase formativa si colloca all’inizio del suo rapporto?

R. Cavallaro – Sì.

P.M. – Quindi siamo nel 1972, è corretto?

R. Cavallaro – Siamo nel fine 1972, primi del 1973.

P.M. – Lei in questa memoria parla del capitano Giorgio come soggetto conosciuto lì in Francia?

R. Cavallaro – No, Giorgio l’avevo conosciuto prima.

P.M. – L’aveva già conosciuto prima in Italia?

R. Cavallaro – Sì, sì.

P.M. – Poi lo rivede in Francia?

R. Cavallaro – Con Giorgio in Francia probabilmente ci siamo scambiati il soggiorno, io andavo e lui arrivava, quindi era una situazione di formazione… ho avuto modo di credere.

P.M. – Poi vediamo un attimo velocemente come si è svolta questa fase formativa.

R. Cavallaro – Sì.

P.M. – Lei diceva che aveva avuto anche contatti però a Roma, con la sede ufficiale del servizio a Forte Braschi?

R. Cavallaro – Sì.

P.M. – Da chi venne ricevuto? Sempre nomi di copertura o da qualche persona…?

R. Cavallaro – Allora, in principio era non chiedere e non dire; conseguentemente non è che viene ricevuto, perché chi mi ha accompagnato, che eravamo in due, tre poi, abbiamo trovato già tutto predisposto e quindi in realtà siamo stati presi, prelevati, portati in una stanza, dove abbiamo bevuto il caffè, abbiamo parlato insomma.

P.M. – Con chi?

R. Cavallaro – Delle persone che non le so dire chi fossero, ma è chiaro che lì non potevano essere altro che…

P.M. – Appunto!

R. Cavallaro – Cioè non è che a Forte Braschi può entrare il farmacista del paese!

P.M. – Esatto. Questi contatti nella sede di Forte Braschi, una volta o due volte? Quante volte?

R. Cavallaro – Due – tre volte.

P.M. – Questo nella fase iniziale?

R. Cavallaro – Sì. Non è durata poi molto, Pubblico Ministero.

P.M. – Non è durata molto. Poi lei a metà fine 1973 viene arrestato?

R. Cavallaro – Sì, quindi in realtà diciamo che è stata una parabola molto…

P.M. – Insomma prima del primo arresto, il primo arresto è del giugno 1973, è giusto?

R. Cavallaro – Il primo arresto è una…

P.M. – Poi vediamo che cos’è il primo arresto e a seguito di che cosa interviene, per collocare intanto le date, il primo arresto è giugno 1973, va bene?

R. Cavallaro – Sì.

P.M. – Quindi abbiamo da prendere in considerazione un’attività da lei svolta fino a quella data da pochi mesi prima, in buona sostanza?

R. Cavallaro – Sì.

P.M. – I primi sei mesi del 1973, forse qualche ultimo mese del 1972?

R. Cavallaro – Sì. Da tenere conto che la mia operatività di fatto per la quale ero stato predisposto era quella che poi ha assunto il nome di Rosa dei Venti impropriamente, ma comunque era quella.

P.M. – E lì adesso vedremo, in parte già c’è, anzi spiegate in maniera molto analitica in questa memoria, soprattutto quella relativa a quella più corposa, insomma quella dell’ottobre 1974. Lì i contatti che adesso ci spiegherà, perché sono per noi importanti, con questi finanziatori genovesi, maggio – giugno del 1973.

R. Cavallaro – Sì.

P.M. – I vari incontri e poi vedremo.

R. Cavallaro – Aprile, maggio, giugno, adesso non mi ricordo, comunque erano meglio descritti.

P.M. – Ecco, intanto vorrei capire, c’è una fase ulteriore e antecedente a questa situazione con Spiazzi e con i genovesi o la sua operatività si esaurisce in questa vicenda Rosa dei Venti?

R. Cavallaro – No, in realtà il primo ed ultimo incarico era proprio stato quello di essere avvicinato, quindi da parte per così dire del mio ufficio, del mio gruppo, delle mie persone, era stato quello di promuovere un incontro con Spiazzi, il quale per conto suo era già in contatto con soggetti poi conosciuti come quelli della Rosa dei Venti, quindi Rizzato… insomma le altre persone poi del gruppo che avevo avuto modo di passare del tempo assieme. Il compito mio era quello di verificare con Spiazzi due cose sostanzialmente, primo: Nell’ambiente militare la disponibilità, pur in via colloquiale, di capire se un’ipotesi di mutamento in un sistema istituzionale fosse stato considerato più o meno sensibile da parte di ufficiali dell’esercito, ufficiali dell’esercito e ufficiali dell’Arma dei Carabinieri. Lì, va bene, la cosa diciamo che ha avuto da parte mia in maniera anche abbastanza sorprendente e confortante ad un tempo era che gran parte degli ufficiali contattati, quindi adesso non stiamo parlando di centinaia, ma insomma diciamo che nell’esperienza qualcuno c’era e anche con incarichi di un certo tipo, non vi era pregiudizio, non vi era una pregiudiziale sostanziale al fatto di dire: Beh, se ci deve essere un mutamento del sistema istituzionale noi ci chiamiamo fuori e quindi siamo… no, tutt’altro! Quindi poi le considerazioni mie erano del tutto personali, però c’erano anche state in questo senso.

P.M. – E quello di sondare la disponibilità in ambiente militare argutamente istituzionale, questo è il titolo insomma della…?

R. Cavallaro – Sì.

P.M. – Il compito che le viene affidato è questo?

R. Cavallaro – Sì, nella prima parte.

P.M. – È questo per la prima parte. Quindi prima di quel rapporto con Spiazzi, che poi si evolse così come nei verbali è ampiamente descritto, c’è questa attività?

R. Cavallaro – Diciamo che questa attività c’è prima e viene in qualche modo esaltata dalla possibilità di… va tenuto conto di una cosa, che ad un certo punto mi viene detto: Assumi il ruolo dell’uditore giudiziario della giustizia militare. Per cui io ho passato dei mesi a frequentare il Tribunale Militare, il Tribunale Militare peraltro di Verona, per capire meglio quale era lo spirito della giustizia militare in quel periodo e sono stato chiamato a tenere una conferenza nelle vesti di uditore giudiziario alla Caserma Duca di Montorio, per spiegare quali erano i compiti di Polizia giudiziaria in capo agli ufficiali dei vari reparti, insomma. Diciamo che attraverso questa figura creata per la quale io avevo la documentazione, il tesserino e quanto mi era stato fornito, è chiaro che la figura dell’uditore giudiziario era anche legata all’età, io potevo essere all’epoca qualcosa di più che uditore giudiziario; però è chiaro che il mondo della giustizia è una bella leva per tutti gli ambienti, compresi gli ambienti militari e in questo è chiaro che nel dialogo cercare di capire se vi era anche questa disponibilità ipotetica, quindi pura nel campo delle ipotesi, è stata la prima parte della mia attività, che si è ulteriormente evoluta quando poi i rapporti con lo Spiazzi si sono fatti più frequenti; perché c’è stato un periodo in cui abbiamo camminato assieme, lui probabilmente rispondendo a logiche del SIOS e poi anche di altre strutture alla quale aderiva o delle quali faceva parte, io parallelamente per quanto riguardava le mie cose. È chiaro che quando si è in gruppo la cosa diventa estremamente più semplice, cioè cadono i freni inibitori da parte di tutti e devo dire che, insomma, nel mondo militare ho trovato… mondo militare che comprendeva anche ufficiali dei Carabinieri, così. Erano comunque di non pregiudizio, anche se solamente a teorizzare un’ipotesi di questo genere.

P.M. – Diciamo una ipotesi di ribaltamento?

R. Cavallaro – Sì.

P.M. – Lei questi contatti quindi li prende nel simulato ruolo di magistrato militare?

R. Cavallaro – Sì.

P.M. – Tutto questo su disposizione dell’ufficio per il quale operava?

R. Cavallaro – Sì.

P.M. – Le fornivano loro documentazione necessaria?

R. Cavallaro – Sì, certo.

P.M. – Torniamo un attimo…

R. Cavallaro – Ma credo che i tesserini anche siano da qualche parte, adesso non ricordo.

P.M. – Sì, c’è il materiale che è stato sequestrato eccetera. Torniamo un attimo indietro a questo momento formativo in Francia, siete andati in diversi diceva?

R. Cavallaro – Sì, siamo andati in tre in quel momento, dove peraltro là ho trovato anche che c’era già un altro italiano, e le conversazioni avvenivano comunque in francese, quindi tutti quanti conoscevano il francese, ecco; però è chiaro che non è difficile identificare un italiano che parla francese.

P.M. – Lei ci sa dire il nome di qualcuno che partecipo insieme a lei?

R. Cavallaro – No.

P.M. – Eravate ignoti l’uno all’altro?

R. Cavallaro – Sì. Anche se tutto sommato parlando veniva fuori la nazionalità dei partecipanti.

P.M. – Sì, ma al di là della nazionalità, non è in grado di dire il nome di qualcuno degli altri?

R. Cavallaro – No, anche perché nessuno ha mai detto i nomi, quindi né io conoscevo i nomi degli altri e né gli altri conoscevano il mio. È chiaro che gli organizzatori conoscevano il nome di tutti!

P.M. – Ecco, che cosa avviene, quanti giorni dura intanto questo momento formativo?

R. Cavallaro – Dura qualche giorno, non è che duri molto e quindi considerato il viaggio, non più di una settimana.

P.M. – Siete stati alloggiati da qualche parte?

R. Cavallaro – Certo, nella stessa struttura che era una struttura grande, dove c’erano anche delle stanze…

P.M. – Sì, ma non era un albergo, voglio dire! Cos’era?

R. Cavallaro – No, no, era un palazzo, un… non lo so, l’impronta era quella di una scuola, per dire, per dare come idea dell’immobile come era strutturato.

P.M. – Come si svolge questa fase formativa? Chi la…?

R. Cavallaro – In realtà è divisa in due parti, prima la cognizione dell’Europa sotto un profilo geopolitico, quindi il Patto di Varsavia e mondo occidentale e Patto Atlantico dall’altra parte; rischi della libertà e quindi è chiaro che per quanto riguardava il discorso del rischio libertà, e mi riferisco all’Italia, era un rischio della libertà determinato da una possibilità che il comunismo prendesse piede. Mentre, per esempio, per quanto riguardava la Spagna e per quanto riguardava il Portogallo era il tentativo di capire se situazioni statuali come quelle esistenti, quindi abbiamo da una parte Franco e dall’altra parte il regime Salazarista e poi di Caetano, fossero sufficientemente radicati nella componente umana, quindi nella popolazione o se il fatto che si trattasse francamente di dittature, soprattutto con Franco che stava avendo una certa età, tanto è vero che di lì a poco muore, quindi se questo poteva determinare da parte di forze contrarie, quindi verosimilmente, ma è chiaro che si tratta di deduzione, di forze comuniste e quindi identificate con quel termine, potessero diventare pericolose anche per regimi come quello della Spagna e del Portogallo. Lo stesso dicasi per quanto riguardava soggetti che erano del Patto di Varsavia, dove la mia impressione, ma in realtà la mia impressione era stata condivisa anche da altre persone, è che non fossero soggetti della resistenza di quel paese, ma fossero organici delle forze di sicurezza di quel paese. Faccio un esempio: in Polonia allora c’era un governo in esilio della Polonia che era a Londra, ecco, questi non avevano nulla a che vedere con il governo polacco in esilio, per dire. Quindi il dubbio è che in realtà fossero tutti rappresentanti delle forze istituzionali.

P.M. – Materialmente erano delle relazioni che venivano tenute dagli oratori?

R. Cavallaro – Sì.

P.M. – Questi provenivano da varie nazionali, erano di lingue diverse?

R. Cavallaro – Sì. Non posso dire dove, però il francese di alcuni non era esattamente un francese di Parigi, insomma.

P.M. – Lei ha mai avuto contatti con l’Aginter Press?

R. Cavallaro – Sì, le persone del Portogallo che erano lì erano sicuramente dell’Aginter Press.

P.M. – Ecco, sicuramente perché? Ci spieghi un po’.

R. Cavallaro – Perché uno di questi me l’ha detto chiaramente.

P.M. – Ma tra gli oratori o tra i…?

R. Cavallaro – No, tra i partecipanti.

P.M. – Tra i partecipanti?

R. Cavallaro – Sì. Che poi in realtà Aginter Press era equivalente di Pide insomma.

P.M. – La Pide, cioè il servizio segreto portoghese?

R. Cavallaro – Sì.

P.M. – Quindi erano militari, erano ufficiali?

R. Cavallaro – Questo non lo posso dire se fossero militari o civili, perché non mi è stato detto, però diciamo che chiaramente è stato… ci sono i sorrisi dai quali si deduce in realtà la domanda posta è una domanda che viene confermata! D’altra parte non è neanche un mistero che così come l’Italia si serviva di varie forme, credo che anche adesso i servizi si servano di varie coperture.

P.M. – Sì, adesso cerchiamo di capire però quelle che sono proprio le conoscenze, al di là delle deduzioni, ha capito?

R. Cavallaro – Sì. Pubblico Ministero, è anche vero che uno che dice sì, ma tutto sommato lì non c’era motivo sicuramente che ci fosse una agenzia di stampa.

P.M. – Delle…?

R. Cavallaro – Un’agenzia di stampa non è che fosse molto motivata ad essere presente!

P.M. – Comunque lei ci dice presenti non tra gli istruttori, ma tra i partecipanti?

R. Cavallaro – Sì, le persone che parlavano erano… a parte due -tre che erano sicuramente francesi, almeno parlavano un perfetto francese, gli altri erano sicuramente non francesi.

P.M. – Sul piano di intervento, di eventuale intervento, sul piano operativo, che cosa si progettava? Nell’ambito di questi giorni dico…?

R. Cavallaro – Non c’era una fase di progettazione che evidentemente era riservata ad altri; era un tentativo di analisi per poter se del caso cercare ciascuno di capire come poteva… era la presentazione di possibili casi, no? Ricordo, per esempio, la Spagna aveva una struttura che è stata, tra l’altro non so per quale ragione, è stata analizzata molto poco, che si chiamava La Cadena, credo che Labruna abbia fatto qualche accertamento, ma fatto male, non so per quale motivo; la Spagna si poneva il problema, diciamo la Spagna, i rappresentanti che in quel momento erano sicuramente spagnoli, perché uno spagnolo che parla francese di lì a poco parla spagnolo, ecco, si poneva la domanda Cosa fare? Cioè in realtà cosa potremmo fare noi nel caso in cui il Caudillo, il Franco muoia, l’Eta, quindi i paesi baschi, irriducibili comunque da sempre, che comunque anche durante il periodo franchista avevano determinati dei problemi, tanto è vero che gli ultimi fucilati a Bilbao sono degli anni ’70, quindi siamo a ridosso di quel periodo, dice: Cosa potremmo fare? Cioè quali sono gli atti che potrebbero essere posti? È chiaro che si andava a fare delle ipotesi meramente di scuola, perché è chiaro che non eravamo noi ovviamente competenti a dire poi li tramutiamo in…

P.M. – E per l’Italia che cosa prevedeva?

R. Cavallaro – Per l’Italia la situazione era definita, in realtà allo stato la situazione d’Italia la conosceva molto bene, uno di questi credo che dall’accento, è una deduzione, fosse un americano o inglese, perché l’accento era quello. La situazione in Italia prevedeva un’illustrazione di questo tipo: l’Italia era un paese instabile, era un paese dove in realtà la fedeltà atlantica poteva venire compromessa, dove verosimilmente un sistema, un criterio di normalizzazione inteso nel senso di riduzione della forza di impatto da parte della sinistra doveva comunque essere trovata perché faceva parte di una logica di Europa tranquilla. Devo dire, in verità, che già però sulla questione dei colonnelli, almeno uno dei relatori che io ricordo, non è che avesse dato lunga vita al regime colonnelli, tanto per ricondurre un po’ quelli che erano i temi di discussione. L’Italia sicuramente veniva vista… ora quali metodi erano, io ricordo di avere fatto un breve intervento proprio in ragione dell’uso della violenza, partendo da un presupposto diverso che in Italia comunque sia, considerata la forza preponderante e la sovranità sostanzialmente limitata all’Italia in rapporto ai patti atlantici, ogni forma di violenza sarebbe stato probabilmente utilizzata in maniera… cioè era sostanzialmente un rischio che con la violenza si fosse arrivati a una qualunque forma di normalizzazione o di maggiore credibilità al Patto Atlantico, proprio perché il popolo italiano, per chi non lo conosce, è emotivo e quindi non credo, non ho ragione di ritenere che questo sia…

P.M. – Ma gli strumenti di intervento ipotizzati in quel contesto quali furono?

R. Cavallaro – Guardi, Pubblico Ministero, erano soprattutto di analisi, torno a ripetere, cioè a dire: secondo voi com’è la situazione in Italia, come la vedete, avete il polso, cosa potete dire di questo? E ciascuno ha dato il proprio apporto, quello mio era quello di dire: Se da una parte vi è un sostanziale bisogno di ordine, diciamo così, dall’altra parte ci sono dei movimenti e dei momenti… non dimentichiamo che il maggio francese del 1968 era appena caduto, conseguentemente c’erano dei fermenti e la Francia aveva poco da stare tranquilla, perché nasce comunque in Francia la primavera del 1968 e…

P.M. – Insomma, la finalità di questi incontri è quella di raccogliere informazioni o è quella di fornire elementi di conoscenza e proposte di intervento?

R. Cavallaro – Allora, prima di tutto è raccogliere informazioni e poi presentare i casi, ma come casi di scuola, di cosa potrebbe succedere nel caso in cui si verificassero determinate cose. Non si è parlato ovviamente solo dell’Italia, ma io torno a ripetere della Spagna e della Grecia e persino della Polonia.

P.M. – Lei ha mai sentito pare dell’operazione Blue Moon?

R. Cavallaro – Sì. Blue Moon è un’operazione che era stata teorizzata e verosimilmente messa in pratica, almeno, che era quella promossa dagli americani proprio in questo senso, tesa a ridurre la soglia della eventuale resistenza attraverso l’ingresso programmato delle sostanze stupefacenti.

P.M. – Più in chiaro?

R. Cavallaro – Come?

P.M. – Vale a dire?

R. Cavallaro – Vale a dire che promuovere la diffusione delle sostanze stupefacenti avrebbe abbattuto la soglia di eventuale ribellione nei giovani.

P.M. – E di questa cosa se ne parlò in quel contesto?

R. Cavallaro – Anche lì si era parlato di questo, sì.

P.M. – Dell’operazione Caos ne ha mai sentito parlare?

R. Cavallaro – L’operazione Caos in verità io l’ho sentita de relato, quindi non posso dire.

P.M. – Mentre dell’operazione Blu Moon se ne parlò anche in quel contesto?

R. Cavallaro – Sì, se n’era parlato.

P.M. – Lei diceva quindi una serie di incontri a Roma, questo momento formativo o comunque di confronto in Francia.

R. Cavallaro – Sì.

P.M. – Cos’altro abbiamo? Cioè lei ad un certo punto viene

assunto, cioè percepisce una retribuzione?

R. Cavallaro – Sì, ma regolarmente.

P.M. – Regolarmente?

R. Cavallaro – Sì.

P.M. – Poi lei mantiene i contatti con qualcuno? Cioè questa attività che lei svolge nel ruolo di magistrato militare, prendendo contatti con vari ufficiali, in Italia quindi intendo, per monitorare lo stato…?

R. Cavallaro – Era la geometria variabile, nel senso che veniva identificato che era stato per un periodo usato un codice, il Fari lc 59, che era un codice in disuso tra l’altro, per riferimento; quindi i referenti potevano variare, uno veniva informato se per esempio uno doveva rivolgersi, che so, a Castelfranco Veneto piuttosto che a Roma stessa, per qualunque informazione.

P.M. – Quindi lei materialmente quando doveva prendere contatto con qualcuno che faceva?

R. Cavallaro – Io sapevo già di contattare ovviamente, perché a me veniva indicato prima.

P.M. – Quindi aveva un recapito telefonico? Cosa aveva, un indirizzo?

R. Cavallaro – Sì, spesso erano numeri di telefono oppure incontri convenuti.

P.M. – Con persone che potevano cambiare?

R. Cavallaro – Con persone che cambiavano.

P.M. – Che cambiavano. E periodicamente questi incontri avvenivano?

R. Cavallaro – C’erano relazioni di servizio che dovevano essere comunque date e quindi o io mi portavo a Roma oppure venivano consegnate ad una persona con la quale veniva organizzato l’incontro.

P.M. – Relazioni che lei redigeva personalmente, dico?

R. Cavallaro – Sì, sì, certo.

P.M. – Consegnava queste relazioni?

R. Cavallaro – E comunque ci sono parecchie relazioni di servizio da me scritte.

P.M. – Però la persona cambiava e ovviamente…?

R. Cavallaro – Poteva cambiare, Pubblico Ministero, perché in realtà non necessariamente… Dunque, è pur vero che esisteva una sorta di compartimento stagno proprio perché a tutela della sicurezza, se vogliamo, e anche perché era necessario verificare che non vi fossero sovrapposizioni da parte per esempio dell’altro gruppo, no? Che pure in parte coincideva; dell’altro gruppo sto parlando di Spiazzi in questo momento.

P.M. – Adesso poi vediamo esattamente il discorso con Spiazzi, che poi è quello che più direttamente ci interessa. Un’ultima cosa su questa attivazione e su questo coinvolgimento: lei quindi assume questo ruolo, questo incarico.

R. Cavallaro – Sì.

P.M. – Monitorare questa fase iniziale, diciamo. Ma il tutto in che ottica, per quello che lei comprende?

Voglio dire…?

R. Cavallaro – Guardi Pubblico Ministero, assolutamente di sicurezza, cioè mi era stata data come una attività normale proprio per monitorare quale era la realtà all’interno.

P.M. – Insomma proprio per capire quale fosse l’eventuale disponibilità della struttura militare?

R. Cavallaro – Cioè non era questa in funzione all’attuazione di qualche cosa di diverso, no, non lo era.
P.M. – Non era…?

Cavallaro – L’indagine che dovevo fare, per quanto mi riguardava, non mi veniva a dire: vedi una sorta di captatio benevolentiae in confronto… finalizzata a un’ipotesi di mutamento, no, non era questo! A me era stato detto: occupati di questo, verifica come sono e predisponi delle relazioni di servizio.

P.M. – Ma nel senso che lei era chiamato a diffondere in qualche modo l’opportunità di questo cambiamento istituzionale e vedere…?

R. Cavallaro – No, io non dovevo provocare, dovevo solo raccogliere; certo, non mettendomi pregiudizialmente dalla parte contraria, cioè non dovevo dire chi non è sensibile a questo è un traditore della patria, no, non era così; dovevano essere discorsi colloquiali, da circolo ufficiali oppure dire: Va bene, ma se succedesse da che parte sta uno… che se fosse successo…

(…)

P.M. – Cioè, per quello che lei capisce, è una struttura ufficiale dello Stato?

R. Cavallaro – È una struttura che fa parte dell’ufficialità e che comunque ha un carattere di riservatezza. Ma sa, uno che si trova all’interno di una struttura che per definizione è una struttura di sicurezza…

P.M. – Quindi in definitiva ha carattere di riservatezza.

R. Cavallaro – E mi viene a dire questa è comunque sia una sorta di struttura parallela… io sono il primo ad usare nel 1974 la definizione di SID parallelo, perché tornava difficile identificarlo con gli uffici normali, quindi l’ufficio D, l’ufficio R eccetera, in realtà non era quelli, perché non è che dipendevamo da quelli, ma se uno entra nella casa, lì è insomma!

P.M. – Sì, anche nella memoria che scrive al Giudice di Venezia nel 1990 dice: “È una struttura legittima che operava come organismo dello Stato, seppur con una autonomia ed un’indipendenza del tutto particolare”.

R. Cavallaro – E glielo riconfermo!
(…)
P.M. – Quindi qual è l’incarico che lei riceve e che riguarda Spiazzi?

R. Cavallaro – L’incarico è questo: la premessa, Spiazzi è in contatto con gruppi paramilitari, che sono dei padovani; cerca di capire, quindi entra in contatto con lei, affiancati a questi soggetti e cerca di capire, perché questi soggetti sono in contatto con persone riconducibili al Golpe Borghese, quindi risaliamo indietro di quattro anni, che erano stati anche in qualche modo indagati, almeno qualcuno era stato indagato, poi prosciolto e così via. Quindi cerchiamo di capire cosa sta succedendo. Conseguentemente io ho il primo step, il primo passo, che è l’incontro con Spiazzi; successivamente vi è l’affiancamento a Spiazzi e quindi la frequentazione che comincia a diventare intensa, quindi frequentazione vuol dire anche frequentazione a livello personale. Quindi io inizio a frequentare anche la casa del maggiore Spiazzi, quindi conosco anche le persone che gravitano attorno a lui, quindi conosco anche personaggi che erano al di fuori della questione padovana, per così dire, della Rosa dei Venti, che in realtà sono sostanzialmente intrecciati. La dimostrazione del fatto che i soldi che andrò a raccogliere vanno a finire a Massagrande che è di Ordine Nuovo, ecco, cose di questo genere.
(…)

P.M. – Lei cosa apprende da Spiazzi di quella che è la sua attività in questo tipo di contesto?

R. Cavallaro – Bisognerebbe andare a capire la persona del maggiore Spiazzi e quindi il suo pensiero e così via.

P.M. – Vediamo brevemente insomma se rileva.

R. Cavallaro – Lui viene dall’accademia, è una persona estroversa, è una persona sicuramente della destra. Io non voglio comunque fare nessun giudizio sul soggetto, voglio dire comunque sia che era molto legato a due strutture, una era il movimento per una Repubblica con il generale Nardella, che comunque era l’acronimo il Movimento Nazionale Prima Repubblica era lo stesso di Ordine Nuovo insomma, e l’altra era proprio con i soggetti di Ordine Nuovo, quindi è un dato, perché è verificato, la sua frequentazione con Ordine Nuovo, comunque verificata da me perché è chiaro che il Massagrande e anche Graziani, poi Graziani una volta è venuto anche a casa mia, portato da lui per capire, perché spiegassi meglio come era andato l’incontro con i genovesi; i genovesi erano quelle persone che dovevano rendersi parte finanziatrice di un progetto, di questo progetto di cui ho parlato e che parlerò.

P.M. – Sì, adesso poi ne parleremo. Al di là della parentesi sul chi fosse Spiazzi e quali fossero i gruppi con i quali si rapportava, per quello che è il tema specifico che poi la vede coinvolta nella vicenda Rosa dei Venti, che cosa apprende da Spiazzi. Prima parlava di una organizzazione parzialmente diversa da quella alla quale faceva capo a lei.

R. Cavallaro – Spiazzi è invece direttamente coinvolto con la vicinanza di gruppi e a quel momento io ne conoscevo due, uno la cosiddetta Rosa dei Venti; Rosa dei Venti che era un nome dato da Rizzato che aveva formato questo, perché la Rosa dei Venti era il principio che avrebbe dovuto fare giustizia nei confronti di tutto, senza badare agli orientamenti politici; per cui Rizzato che era se vogliamo un puro, tanto è vero che lui muore senza avere mai risposto al Giudice. Dice: Noi non dobbiamo badare a nessuno nel momento in cui ci fosse da fare giustizia, quindi né destra e né sinistra. Quindi io vengo a conoscenza di questo gruppo minoritario, perché saranno state dieci – quindici persone, che poi la suggestione del nome ha dato il nome all’operazione, ma solo quello; e Ordine Nuovo, che in realtà Spiazzi ne aveva un’ampia dimestichezza e un’ampia frequentazione; perché non è che conosco solamente  Massagrande e Graziani, ma tutta una serie di persone in qualche modo legate, un suo sergente che modificava le armi, insomma queste cose così; altri suoi… che poi sono tutti comparsi, sentiti poi come testi, anche senza mia indicazione, ma che sono comparsi nell’inchiesta e sono stati sentiti non solo da Tamburino, ma anche dal Giudice Salvini e così via, che in realtà io li avevo visti lì, insomma far parte. Non c’è dubbio che in casa di Spiazzi si respirasse l’aria Ordine Nuovo, su questo non c’è minimamente dubbio! Quindi io passavo da una fase di teorizzazione ad una fase di conoscenza diretta di quelli che potevano essere i gruppi se vogliamo dire eversivi, comunque extraparlamentari. Lì è chiaro che c’è un episodio che è molto significativo e che fa riferimento al giugno del 1973 quando ad un certo punto i gruppi vennero allertati perché c’era un’ipotesi di colpo di Stato, questo è innegabile.
(…)
P.M. – Quindi vediamo un attimo di capire se ci può spiegare che cosa lei nel corso di questi contatti con Spiazzi ha compreso di questa organizzazione, per quello che le è stato riferito.

Cavallaro – Sì, devo anche fare un’altra precisazione, Pubblico Ministero. Non è che solo ho avuto modo di verificare con Spiazzi, ho avuto modo anche di parlare, perché è chiaro che
nel momento in cui io vengo a conoscenza dell’esistenza della struttura, della strutturazione di gruppi in questo modo, chiedo anche ragioni, no? Dico, questi sono cani sciolti, sono controllati, sono vigilati e così via e vengono fuori delle risposte che sono tranquilizzanti per me, dice: Non ti preoccupare, tutti questi sono tutti sotto controllo. E per questo da una parte cominciano a sorgermi dei dubbi nel momento in cui dico: sotto controllo cosa sta a significare? Che li controlliamo, nel senso che li vigiliamo o li controlliamo perché in qualche modo vi è una presenza all’interno, quindi li strutturiamo?! domanda alla quale comincio a non avere risposta. Faccio presente questo, perché poi nel 1973, alla fine del 1973 è proprio sulla base di questo che io vengo bruciato e vengo fatto arrestare, per opera dei Carabinieri peraltro. Quindi voglio essere chiaro che c’è un metodo nella narrazione che sto facendo, perlomeno vorrei che trasparisse, ecco.
(…)

P.M. – Quale era la finalità di azione, quale era il progetto operativo di questa struttura?

R. Cavallaro – Si delinea, è chiaro che si delinea a questo punto e trovo riscontro nell’attività, in tutta la frequentazione che ho successivamente con il gruppo di Spiazzi, si manifesta, si appalesa la disponibilità che di questi gruppi si può avere per un rapido o pronto intervento laddove necessario, quindi incondizionata. Mi avete data attraverso… torno a ripetere, lì avevo l’esempio dei due gruppi, Ordine Nuovo e la Rosa dei Venti, quindi in analogia proprio parlando anche con soggetti che erano sicuramente dei ufficiali di sicurezza all’interno del gruppo di Spiazzi, ma sempre su Verona questo, dice: Va bene, noi possiamo disporre, quindi possiamo muovere questi gruppi, quando lo riteniamo. Ecco, questo è il discorso.

P.M. – Ecco, muoverli che cosa significa? Per fargli fare che cosa?

R. Cavallaro – E lì volevo riferirmi, per esempio, a quell’episodio del giugno del 1973, quando vi è un’allerta di questi gruppi, tutti sostanzialmente dovevano mobilitarsi, ecco, nell’ipotesi sì che vi fosse un pronunciamento da parte delle forze armate e in relazione ad un viaggio in Giappone che c’era stato con Andreotti, che comunque sia si vociferava che il ritardo fosse stato dovuto proprio dal fatto nel verificare che ritornasse o meno. Io personalmente sono stato testimone del fatto che il richiamo, perché è avvenuto in casa di Spiazzi che ha ricevuto la telefonata di sospendere l’allerta dei gruppi, ed ero in caso di Spiazzi quando il generale ha telefonato.

(…)
P.M. – Qual è il rapporto tra le attività della Rosa dei Venti piuttosto che di altri gruppi civili rispetto alle finalità di questa organizzazione? A cosa servono le azioni di questi gruppi?

R. Cavallaro – Allora, sostanzialmente il concetto che va evolvendo è questo, e quindi parlo solamente per quello che è di mia conoscenza.

P.M. – Certo.

R. Cavallaro – I gruppi, questi gruppi dei quali prendo cognizione che il controllo in realtà non è più un controllo come dicevo di vigilanza, ma è qualcosa di più, sono funzionali ad una ipotesi di intervento come dicevo prima. Non so se ho capito bene la domanda, è chiaro che vivono di una vita propria, probabilmente ideologizzata, anzi sicuramente ideologizzata, però è anche chiaro che sono gruppi spinti ad una sorta di interventismo, quindi ognuno facendo riferimento a propri convincimenti, altrimenti non si spiegherebbe il perché di un solo grande gruppo, e anche di localizzazioni territoriali, che venivano in qualche modo, il modo esatto non lo posso dire, in qualche modo pilotati ad essere pronti e operativi nel caso in cui vi fosse un bisogno a difesa della patria o a difesa di questi grandi nomi, insomma.

P.M. – Cioè questa è una funzione difensiva, l’altra è una funzione a supporto di un intervento di colpo di Stato.

R. Cavallaro – In realtà il discorso nasce… esiste una ulteriore considerazione della quale prendo contezza, ne ho contezza durante quel periodo, cioè che i gruppi possono essere anche utilizzati, perché in realtà la funzione di questa è o l’attivazione a spinte o a sponte di questi gruppi, alcuni sono ricattabili, altri non sono ricattabili e così via, per utilizzo ai fini di scopi differenti. E qui si entra in un discorso più ampio, ma che fa sempre riferimento, per esempio, a un progetto che era sulla sicurezza dello Stato e così via, di cui io avevo letto e avevo addirittura corretto le bozze di un volantino che mi era stato dato, che erano i nuclei per la difesa dello Stato, quindi la disponibilità che si doveva avere di questi gruppi per l’utilizzo nel caso di creazione di turbolenze. Perché è chiaro che ad un certo punto si fa vivo in me la richiesta di dire, torno a ripetere, quella maturazione che sorge: dove andiamo a finire con questi gruppi qui? Perché se li controlliamo e unicamente ai fini di vigilanza, o li controlliamo perché li utilizziamo, voglio sapere come li utilizziamo. Perché nel momento in cui si fa sempre più forte il discorso di dire: c’è bisogno di un intervento, di un pronunciamento, come si forma la possibilità che questo intervento delle forze armate pacificatrici, dalle forze armate escludiamo il Corpo Forestale dello Stato che aveva vissuto una sua avventura prima, ma soprattutto legate ai Carabinieri, perché come dicevo la Polizia era inaffidabile per definizione, potessero in qualche modo stabilire, ristabilire un equilibrio? Ecco che alla domanda che mi facevo prima comincio a darmi delle risposte e ho la conferma nel momento in cui a seguito di queste domande, che si facevano più intense ed essendo più costanti, vengo estromesso in maniera tra l’altro brutale e vengo estromesso attraverso un’operazione tipica messa in atto in quei momenti, insomma.

(…)
P.M. – Benissimo. Al di là del discorso del 1974, le chiedo oggi nel 2010 quindi cosa significa questa frase: non per quello che era per convincere o meno De Marchi a finanziare o a non finanziare, questa organizzazione, per quello che le viene detto da qualcuno, da Spiazzi o da chi altro, in che rapporti si poneva con i civili, con i gruppi civili?

R. Cavallaro – Stavo cercando di spiegare, vale a dire che raggiungo la convinzione attraverso una serie di comportamenti che in realtà questi gruppi non siano solamente controllati, ma siano strutturali ad una attività che sta assumendo dei controlli che sono diversi rispetto a quelli che mi erano stati illustrati e per i quali io ritenevo di operare, cioè che fossero di fatto funzionali alla creazione di stati di turbativa, perché questi potessero essere prodromici alla possibilità di un intervento. E raggiungo la mia convinzione, appunto, fino al periodo in cui a seguito di questo, quando comincio a chiedere notizie e voglio sapere esattamente quanto ci sia di vero in questo, perché (torno a ripetere) il fatto della mobilitazione non è di per sé un fatto che viene rientrato, è il fatto dimostrativo che vi è un’allerta generalizzata e che le forze di sicurezza dispongono di questi gruppi e li attivano a secondo della necessità del bisogno. Quindi trova conferma quanto io andavo maturando, cioè il fatto che le strutture di sicurezza avessero la disponibilità di azione di questi gruppi.

(…)

P.M. – Ecco, come veniva articolato da parte di De Marchi, per capire quale fosse la potenzialità del soggetto e chi potesse avere dietro, per quella che è stata la sua diretta percezione.

R. Cavallaro – Allora, De Marchi indubbiamente era un ottimo professionista ben inserito nell’ambito dell’imprenditoria, anzi direi proprio della buona borghesia genovese. Lui abita a Recco, è sicuramente una persona di destra, destra inteso vicino all’allora Movimento Sociale; è una persona che dimestichezza con la grande industria e con le grandi somme di denaro. Dimostra il fatto che in realtà stiamo parlando di persone che stanno dietro a livello di Piaggio, Piaggio, quindi la società Italiana Zuccheri e così va, e parliamo di armatori, quindi significativi di un mondo imprenditoriale che già viene dato come disponibile e sensibile al fatto che una ipotesi di avanzamento alla sinistra sarebbe stato devastante per l’Italia. In questa ottica De Marchi rappresenta un sentimento piuttosto diffuso e che era quello di dire: Va bene, se c’è da fare un cambiamento è chiaro che deve essere sostanzialmente un governo di oligarchi, ma oligarchi della capacità; quindi persone che meritano di essere effettivamente diventare rappresentativi del nuovo Stato. Quindi industriali, professionisti, persone competenti e in questo senso era ciò che si aspettava, che si arrivasse attraverso i militari, i quali ovviamente sarebbero stati gratificati dal fatto di essere i riferimenti della tutela dell’ordine successivo.

P.M. – E sul piano – come dire? – dei rapporti con gruppi, prima accennava alla Sicilia, vediamo un attimo quello che ricorda di quanto diceva De Marchi circa le possibilità operative che facevano i gruppi con i quali era in contatto.

R. Cavallaro – Allora, De Marchi mi diceva e mi confermava sostanzialmente quanto mi era già stato detto al momento dell’incontro da parte del gruppo di Spiazzi, che loro avevano finanziato sostanzialmente dei gruppi insurrezionalisti, se vogliamo, della Sicilia, pronti ad entrare in azione in occasione del cosiddetto Golpe Borghese; cosa che però non si era verificata, in quanto poi non si è verificato l’accadimento previsto per quel richiamo che c’è stato all’ultimo momento. Mi ha confermato in sede di discussione che effettivamente potevano disporre di gruppi in Sicilia, che erano pronti a spostarsi anche al di qua dello stretto e che in qualche modo erano controllati o ben controllati da loro, da loro, quindi non so se da lui o comunque questo è quanto mi ha detto. Quindi mi ha dato assoluta conferma di questo.

P.M. – Parlò anche di altre regioni d’Italia, forse presenti in altre regioni d’Italia?

R. Cavallaro – Sì. Dunque, è chiaro che questa possibilità di intervento loro, intendo dire lui, ma anche un altro dei due, che non mi ricordo chi, diceva: Sì, abbiamo anche altre possibilità di potere avvicinare altri gruppi. Non sono andato ad indagare perché non era mio compito fare indagine.

P.M. – Non verbale del 22 febbraio 1974 lei cita, parlando di una richiesta di armi contestuale alla dazione del denaro da parte di De Marchi, però mi dica lei, perché c’è un dato di valutazione: “Le armi le chiese a me ed ebbi l’impressione, peraltro non avvalorata da De Marchi, che lui, anzi avvalorata per le circostanze che riferirò, che lui avesse un’organizzazione di una certa ampiezza in Toscana, Sardegna e Sicilia, nonché un’altra regione del meridione e che le armi servissero a questa organizzazione. L’organizzazione sarebbe stata a nostra disposizione, sempre che noi militari l’avessimo voluto”. Poi in un verbale successivo del 14 marzo 1974 si parla delle possibilità di realizzare a breve scadenza un colpo di Stato e lì si parla anche di possibilità di intervento di migliaia di uomini dalla Germania e dalla Spagna. Questo è un discorso che le ricorda qualcosa questo discorso?

R. Cavallaro – Allora, per quanto riguarda le regioni, non ricordavo; comunque se l’ho detto allora, torno a ripetere, confermo interamente, perché altro non ho detto che quanto era a mia conoscenza. Sì, per quanto riguardava anche l’intervento da parte dell’esterno, era sicuramente probabile che su questo almeno idealmente ci si potesse contare. Non dimentichiamo il fatto che io vi ho detto di avere frequentato questo corso in cui una sorta di muto soccorso era comunque prevedibile. Va anche detta una cosa, che tra i gruppi, che erano gruppi fiancheggiatori, se vogliamo usare un termine che magari può essere improprio, c’erano anche dei gruppi che facevano capo non solamente ad italiani, ma ricordo il gruppo dello Stahlelm, per esempio, è un gruppo tedesco. Poi c’era il partito neonazista, io sono andato anche a Monaco, ho avuto incontri con rappresentanti del gruppo neonazista a Monaco di Baviera. Quindi ci fosse stato bisogno di… sì, non era così astratta questa ipotesi. Torno a ripetere, io non mi occupavo della Spagna, ma sapevo tutto il gruppo, il gruppo se vogliamo magari lì più unito, che non ce n’erano molti, questo della Cadena o anche altri simili, sarebbero stati sostanzialmente vicini.
(…)

P.M. – Va bene. Vediamo di fare un attimo maggior chiarezza su un tema che ha prima accennato e che sono i rapporti Spiazzi – Ordine Nuovo.

R. Cavallaro – Sì. Diciamo che Spiazzi era sostanzialmente organico ad Ordine Nuovo.

P.M. – Ecco, lei cosa sa di Ordine Nuovo per averlo appreso da Spiazzi? E intanto di che Ordine Nuovo parliamo?

R. Cavallaro – Ordine Nuovo era sostanzialmente un’ordinazione politica, che quindi aveva un suo aspetto di facciata politico, quindi di posizionamento all’interno di un pensiero politico, condivisibile o no, ma c’era e c’era dietro ad Ordine Nuovo una struttura, che era una struttura combattente se vogliamo definirla in questo modo; entrambe le componenti erano presenti in questa struttura. Quindi se da una parte vi era l’immagine politica, diciamo quella era funzionale, facevano cortei, manifestazioni, so che anche Spiazzi ha partecipato a manifestazione di Ordine Nuovo, però manifestazioni per così dire politiche e quindi tutto sommato normali. Dall’altra parte no, dall’altra parte c’era una struttura combattente di Ordine Nuovo, che era completamente diversa ed a questa ne facevano parte Massagrande, che ho avuto modo… perlomeno tra le persone che ho conosciuto c’era sicuramente Graziani, che ho avuto modo di conoscere in quanto mi è stato presentato da Spiazzi; vi era tutta una serie di personaggi, ovviamente alcuni noti, nel senso persone che gravitavano lì attorno, che Spiazzi coptava all’interno di questa struttura militante, militante in quanto combattente. Questo è quanto posso dire.

(…)
P.M. – Lei ebbe mai a sentire parlare di esplosivi, di disponibilità di materiali di questo tipo?

R. Cavallaro – Sì, certo.

P.M. – Ecco, in che termini e da chi?

R. Cavallaro – Il discorso degli esplosivi è un discorso articolato, vale a dire vi poteva essere disponibilità di esplosivo potenziale, quindi in caso di necessità reperimento o fornitura, che vorrei tenerle distinte, quindi la capacità di reperimento perché veniva indicato… viene collocato là, vattelo a prendere là l’esplosivo. Invece come fornitura diretta perché in realtà poteva venire fornito. Che vi fosse una disponibilità di materiale esplodente sia reperibile all’interno dello Stato, e quindi quando dico questo vuol dire sia presso delle Caserme, che presso altri posti dove poteva venire collocato, sia da parte dell’estero, quindi con la possibilità che questo entrasse evitando i controlli doganali, che insomma le frontiere esistevano, era indubbio, cioè fuori di ogni discussione.
Per cui veniva dato come la capacità di andare a reperire delle caramelle! Cioè in caso d’uso l’esplosivo si trova. Oltre tutto era noto, perché è proprio al di sopra di ogni possibilità di dubbio che vi fossero delle dislocazioni e questo indipendentemente dal discorso Gladio, delle dislocazioni di materiale esplodente e la cui disponibilità era nelle mani dei Carabinieri, che in caso di attacco di qualunque tipo potevano, al di fuori dei siti istituzionali, attingere a questo esplodente.

P.M. – Ma i gruppi civili, per così dire, avevano disponibilità, per quello che lei sappia?

R. Cavallaro – In caso di società sicuramente sì.

P.M. – Ma fatti, episodi concreti…?

R. Cavallaro – Io non lo posso dire, però sicuramente se ci fosse stata necessità di approvvigionarli di esplosivi, quindi non li posso legare ad episodi così, ma sicuramente era così. Quindi l’ultimo dei pensieri è quello di reperire materiale esplodente.

P.M. – Quando lei venne sentito il 28 febbraio 1975 dal Giudice istruttore di Roma…

R. Cavallaro – Chi era, scusi?

P.M. – Amato, il dottore Amato, Francesco Amato. Lei riferì un episodio molto molto particolare, molto molto specifico; prima c’è il solito discorso e per completezza lo leggo, perché si inserisce lì: “Lo Spiazzi in alcuni discorsi che mi fece subordinava l’intervento delle forze armate a uno stato di particolare tensione. Questa tensione poteva essere ottenuta tra l’altro predisponendo una operazione rivolta a fornire armi ad esponenti della sinistra, suggerendo agli stessi eventuali attacchi a Caserme, sì da determinare una reazione. Nell’ambito di tali discorsi lo Spiazzi mi parlava dell’organizzazione Ordine Nuovo come l’unica in quel momento capace di compiere fatti concreti e di piani di intervento da parte di altri gruppi. Aggiungo che il maggiore mi fece vedere alcune cariche cave di tritolo che si trovavano nel sotterraneo della sua abitazione adibito ad officina, ciò accadde nell’aprile – maggio 1973”.

R. Cavallaro – Sì.

P.M. – È vero questo?

R. Cavallaro – Sì.

(…)

P.M. – (il pm legge il verbale dell’11 febbraio 1995 nda) “I Nuclei di difesa dello Stato si muovevano nell’ottica della realizzazione del piano di sopravvivenza, cioè in sostanza le tecniche di controllo del territorio di guerra psicologica e di attivazione, e concreto addestramento sia in funzione di resistenza ad un’invasione, sia in funzione del mutamento del quadro istituzionale che era la parte più vera e significativa della sua esistenza”, cioè nel caso di voto o…

R. Cavallaro – Sì, di voto o comunque di accadimento.

P.M. – Quindi è una struttura che ingloba, almeno a Verona, molti esponenti di Ordine Nuovo, ma che non si esaurisce in Ordine Nuovo?

R. Cavallaro – Sì, certamente, Ordine Nuovo diciamo che era la struttura più affidabile.
(…)
P.M. – L’ultimo argomento è quello che è già stato introdotto dalla coda, cioè da quell’episodio del 2 giugno del ’73. A monte di quella vicenda, lei in molti verbali ha riferito di quelle che fossero le iniziative miranti al colpo di Stato nel ’73, le chiedo di riferirci brevemente di questo tema che è l’antecedente immediato di ciò che abbiamo appena esaminato.

R. Cavallaro – Vi è la percezione che… come dicevo è divisa in due parti, una percezione che comunque sia di lì a breve qualcosa sarebbe comunque successo, vi era una sorta di fibrillazione un po’ in tutti quanti che sicuramente era l’anno in cui qualche cosa sarebbe successo, per cui l’attività di controllo di questi gruppi si faceva più pressante, tutto un insieme di accadimenti che davano l’ipotesi di capire che qualcosa si sarebbe verificato. C’è stato questo momento, invece, a metà dell’anno in cui è stata ordinata questa mobilitazione che ha fatto sorgere l’idea che in realtà il momento fosse avvenuto, cioè che fossimo arrivati al momento che qualche cosa doveva di fatto succedere. La concomitanza dell’assenza di Andreotti dall’Italia, la mancanza del ritorno, che, insomma, queste erano valutazioni e considerazioni che venivano fatte, era in realtà una sorta di conferma che questo momento x, questo die day doveva essere ravvisabile nella Festa della Repubblica del ’73 e poi, in realtà, non è successo nulla. Io non so se era questo quello che lei mi chiedeva.

P.M. – Sì, lei ne inizia a parlare fin dal verbale del 15 febbraio ’74 e in particolare sottolinea alcuni aspetti di alcune riunioni nel vicentino, del marzo di quell’anno, del ’73, dell’anno precedente. Lei che tipo di conoscenze ha riguardo a queste riunioni, da chi ne ha tratto notizia e chi vi abbia preso parte nell’ottica di questo piano golpistico?

R. Cavallaro – Quello è un po’ più ampio, in realtà era riconducibile a quella convinzione che vi era anche negli incontri, per così dire, localizzandoli su Genova, che vi fosse una forte disponibilità da parte del mondo imprenditoriale a vedere che le cose in realtà assumessero un discorso diverso, mondo imprenditoriale che era un mondo imprenditoriale di primo piano o perlomeno non era il mondo dell’artigiano. E’ all’interno di questo che forme di conferma, d’incontri, anche con personaggi che detti adesso assumono una valenza diversa, che possono essere spettacolari, però fare un discorso di Sindona adesso ha una sua valenza, farlo allora ne aveva un’altra. Sindona in realtà era un personaggio che in quel momento non è che fosse un personaggio né conosciuto, né tantomeno con le conseguenze poi di quanto è accaduto a lui ed era su questo fatto che venivano dati dei segnali indicativi che qualche cosa di fatto poteva succedere.

P.M. – Lei nel primo verbale del 15 febbraio ’74, riferendo quanto appreso direttamente da De Marchi, riferisce: “Mi aveva detto che nell’aprile precedente, in concomitanza del viaggio di Andreotti in America e Giappone, doveva esserci un colpo di Stato e che a questo scopo Andreotti aveva tardato il rientro di 12 ore per consentirne lo svolgimento. A capo del tentativo ci sarebbe stato Andreotti stesso, in questo finanziato da Sindona e fiancheggiato dal generale americano Johnson. Avrebbero fatto una riunione alti ufficiali NATO italiani e americani a Vicenza o presso Vicenza. Di ciò mi parlarono sia il De Marchi che lo Spiazzi e quest’ultimo mi fornì dei dettagli: sia il Savoia Cavalleria che i fucilieri della Nembo erano stati concentrati a Roma, nelle caserme, c’era stato un allarme, un preallarme; a Potenza una riunione di ufficiali NATO e non se n’era fatto nulla perché qualcosa era trapelato. La Russia avrebbe fatto affluire nel Mediterraneo la portaerei con nuovissimi velivoli, ciò sempre a detta dello Spiazzi”. Questi discorsi sembrano riferirsi a un qualcosa che non è l’iniziativa del 2 giugno, ma un qualcosa che avrebbe dovuto realizzarsi.

R. Cavallaro – Questo era antecedente, che peraltro si era replicato, in realtà era sempre assente Andreotti, sempre in un viaggio istituzionale.

P.M. – Era la stessa iniziativa?

R. Cavallaro – Sì, anche se questo ovviamente era antecedente, siccome mi veniva riferita, ma era antecedente rispetto a…

P.M. – Comunque noi incontriamo questi discorsi per averli appresi da Spiazzi e da De Marchi?

R. Cavallaro – Sì.

(…)

P.M. – E’ così, quindi in un primo momento lei compie un’attività che effettivamente corrisponde a quella che è una finalità istituzionale, ma quand’è che poi questo discorso si trasforma? Perché, poi, da quello che ho capito, lei a un certo punto invece si rende conto che l’apparato in cui lei è inserito più che tutelare lo Stato da un possibile colpo di Stato dei militari e di quanti altri, in realtà va proprio in quella direzione?

R. Cavallaro – E’ esattamente così, è esattamente questo che…

P.M. – Questa sua contezza quando si sviluppa?
Cavallaro – Avviene nel momento in cui in pratica mi rendo conto che, al di là degli aspetti di una certa adesione di tipo generico da parte degli ufficiali – che però va tenuta in considerazione – mi rendo conto che attraverso quello che stavo facendo, vale a dire la disponibilità non smentita a passare da azioni di tutela ad azioni di fatto che avrebbero compromesso la vita delle persone, la possibilità di aspetti insurrezionali che non mi venivano smentiti, io mi sono posto delle domande e le ho poste le domande, dico: “Ma stiamo facendo un’azione di difesa dello Stato o stiamo facendo un’azione di sovvertimento dello Stato?”. E’ stato quando a un certo punto io mi sono rifiutato di proseguire negli incontri di quel tipo che mi erano stati imposti, attraverso la conoscenza dei soggetti che in quel momento avevo conosciuto, che mi sono posto questa domanda, io sono stato escluso. Credo che nei verbali, peraltro, e anche nelle verifiche credo che il ROS abbia fatto, sia emerso come nel momento in cui io sono stato arrestato per quell’ipotesi di estorsione inesistente ci sono stati due personaggi francesi che si sono fatti arrestare per venire in carcere per una questione di oltraggio, quindi erano certi che da lì a pochi giorni sarebbero usciti, per venirmi a dire che comunque dovevo stare calmo, che non dovevo fare domande particolari, che non dovevo creare intralcio a nessuno. Questo mi ha messo ulteriormente…

(…)

P.M. – Senta, che differenza c’era tra quello che avrebbe dovuto essere nell’8 dicembre del ’70, quello che invece doveva verificarsi tre anni dopo circa, quasi tre anni dopo, cioè era più o meno la stessa cosa riproposta a distanza di tempo o è una cosa diversa come componenti?

R. Cavallaro – Quello del 1970 io l’ho conosciuto storicamente, prima ancora…

P.M. – Lei l’ha conosciuto solo storicamente, ma attraverso quello che le ha raccontato Spiazzi?

R. Cavallaro – Beh, non solamente Spiazzi. In realtà guardi che la genesi veniva più identificata nel ’64 con il Piano Solo, a cui veniva data maggiore dignità di…

P.M. – Va bè, lì c’erano i Carabinieri…

R. Cavallaro – Va bè, ma… i Carabinieri…

P.M. – C’erano anche… l’ingrediente dei Carabinieri è presente anche in questo dell’estate del ’73?

R. Cavallaro – Io quello che posso dire era che veniva riconosciuta maggiore dignità al Piano Solo del generale De Lorenzo che non quello del ’70, il quale alla fine assumeva delle caratteristiche di non totale dignità e conseguentemente è chiaro che si faceva riferimento in ipotesi, comunque, a un cambiamento delle cose e in questo cambiamento delle cose dovevano essere date delle priorità: uno, soggetti di totale garanzia al Patto Atlantico; secondo, che il mondo della produzione avesse una caratteristica importante, quindi credo che questo fosse come reazione all’autunno del ’68 e del ’69, quindi a tutte le turbolenze che c’erano; poi che, siccome alla guerre si va come alla guerre, se era necessario anche l’uso della forza, l’uso della forza era indispensabile.

Roberto Cavallaro – udienza 7.1.2010 al processo per la strage di Brescia