Riepilogo della vicenda Sgrò – sentenza primo grado Italicus

Ai fini della prova della consumazione dell’anzidetto reato giova ricordare che:
a) il 12/7 o 15/7/74 (tale data è variamente indicata dal bidello) quest’ultimo effettua il primo “racconto” a Basile, richiamando la presenza di sei giovani nelle vicinanze della stanzetta dell’esplosivo:
fra questi il capo viene indicato con dati somatici, professionali e culturali corrispondenti a quelli di Ajò (capelli e barba rossa, tarchiato, studente di chimica, assistente di un professore): v. in proposito il rapporto Noce del 17.7.74 a foglio 4/17 e le dichiarazioni Basile a fogli 2-8-8-9/19.

b) il 19/7/74 Sgrò riferisce a Basile (che poi li comunicherà ad Almirante, il quale a sua volta li trasmetterà a Santillo) i nomi di tre dei suddetti giovani, nel frattempo divenuti autori dell’asporto dell’esplosivo: Ajò Davide, Proietti Luciano e Santucci Liliana; v. in proposito le dichiarazioni di Basile e di Almirante, nonché il rapporto Noce in data 30.7.1974 a foglio 7/17, ove Jo risulta identificato per Ajò;

c) il 5/8/74 Sgrò conferma al dott. Pavone della Procura della Repubblica di Roma la veridicità delle dichiarazioni di Basile e del relativo contenuto anche per quanto riflette i tre giovani menzionati (v. foglio 3/19);

d) in data 8.8.1974 il bidello riferisce verbalmente al dott. Improta (dirigente l’Ufficio politico della Questura di Roma) di avere in precedenza dichiarato a Basile soltanto di aver visto l’Ajò conversare con quattro giovani “di sera”, successivamente notati mentre maneggiavano i candelotti d’esplosivo nei sotterranei dell’Università (v. foglio 22/17).

e) Sempre in data 8.8.74 Sgrò assunto a verbale dal Procuratore della Repubblica di Bologna, sviluppando quanto dichiarato al dott. Pavone, precisa che Ajò Davide faceva parte di un gruppetto di quattro giovani soliti frequentarsi, notati diverse volte nei corridoi menanti alla stanza dell’esplosivo e visti poi allontanarsi dall’Istituto di fisica, con fare furtivo e circospetto, portando con se quattro borse presumibilmente ricolme dei candelotti, esplosivi v. foglio 17 e segg./19;

f) il 9.8.74 Sgrò ha un ripensamento e riferisce al Procuratore Lo Cigno che Ajò Davide, suo buon conoscente da alcuni anni, non avrebbe fatto parte del menzionato quartetto di giovani, coi quali sarebbe stato solo visto parlare un paio di volte: v. foglio 22 e segg./19;

g) il 19.8.74 il bidello, nel corso di una conferenza stampa tenuta presso la sede del quotidiano “Paese Sera”, dichiara di aver inventato tutto quanto si ad allora narrato, precisando di avere menzionato Ajò soltanto perché aveva la tessera del partito comunista (v. articolo di Paolo Graldi al foglio 79/17) e1 perché gli era antipatico “in quanto faceva sempre casino e non lo faceva lavorare”: (v. deposizione Graldi in data 13.8.74 al foglio 72/17);

h) il 13.8.74 conferma al dott. Lo Cigno di avere sempre mentito;

i)  il 15.8.74, rispondendo nella qualità di imputato del delitto di calunnia (in stato di custodia preventiva), asserisce di non avere mai incolpato l’Ajò, ma di essersi limitato a dire, nell’ambito di una narrazione totalmente inventata a scopi di lucro, che certo David Jò era la persona cui si sarebbero avvicinati quei due ragazzi e quelle due ragazze che avrebbero portato via gli esplosivi;

l) il 19, il 20, il 27 ed il 28.8.1974 ripropone di aver creato di fantasia tutta la vicenda delle scoperta degli esplosivi (compreso il ruolo attribuito ad Ajò) per consentire che fosse evitato un attentato, di cui egli, intercettando per radio una conversazione ed assistendo all’incontro fra due sconosciuti (uno sarebbe stato tarchiato, con barba e capelli rossi) menzionanti la stazione Tiburtina, nella sua qualità di ipersensitivo aveva avuto esatta precognizione;

m) il 28.8.74 ed il.5-6/9/74 prospetta la tesi secondo cui egli avrebbe, visto candelotti e carta millimetrata sull’autovettura di Basile, il quale, dopo la strage, lo avrebbe informato di aver reso certe dichiarazioni (comprendenti anche la specificazione dei tre famosi nomi) agli organi inquirenti lo avrebbe altresì costretto a confermarle;

n) il 30.10.74 dichiara di avere scorto la carta millimetrata ed i candelotti esplosivi all’interno di una valigetta posseduta da Davide Ajò, il quale, in data 14 luglio circa, nell’aula di esercitazioni di chimica, avrebbe legato insieme quattro candelotti con nastro isolante, applicando poi al tutto un oggetto non potuto identificate; precisa altresì di avere inventato i nomi Proietti e Santucci, nonché di avere riferito inesattamente il nome di Ajò (da lui allora conosciuto soltanto come Davide) perché un ragazzo, interpellato ad hoc, gli aveva detto che si chiamava “Jò”.

o) nel corso del dibattimento (udienza 12-13-14-18.1.1982 e 12.4.1983) Sgrò nel confermare le dichiarazioni rese al dott. Pavone, precisa tuttavia di non avere mai inteso accusare Ajò Davide, ma di avere soltanto pronunziato i nomi “Jò”, Proietti Luciano e Santucci Liliana (riferendoli a tre giovani, studenti o assistenti, notati muoversi furtivamente negli scantinati citati e, quindi, allontanarsi dall’istituto portando borse ricolme) per averli appresi da persone che li avevano chiamati o –in versione successiva – tramite l’assunzione di informazioni presso loro colleghi;
e specifica altresì di aver reso le dichiarazioni del 30.10.1974 fortemente accusatorie nei confronti di Ajò e causa del suo precario stato psico-fisico senza rendersi ben conto di quanto andava dicendo, spinto unicamente dal desiderio di provocare la liberazione di persone innocenti (Basile ed i pretesi correi).
Questa necessariamente l’estesa sintesi delle funamboliche acrobazie mentali del bidello romano rappresenta il mezzo più adeguato per valutare appieno la sua contorta ed instabile personalità, la sua propensione ad accumulare bugie, nonché la gravità della di lui subdola e reiterata condotta calunniosa (…).

Sentenza Italicus primo grado pag 144-149

“Quando Almirante collabora” – Panorama 22 agosto 1974

La «pista rossa» rivelata dal leader missino in parlamento e strombazzata a tutta pagina per più giorni sul quotidiano del Movimento sociale era solo l’invenzione di un poveraccio in cerca di quattrini.

 

Gli fosse andata bene «la sòla» (a Roma sta per bidone), avrebbe preso, dice lui, 40-50 milioni. Gli è andata male: ha preso un milione, ha fatto in tempo a spendere meno di 200 mila lire, la notte di martedì 13 agosto è stato arrestato a Bologna per calunnia. La notte prima, passeggiando per i corridoi bui del palazzo di giustizia di Roma, aspettando di essere interrogato dal sostituto procuratore Enrico De Nicola, aveva sghignazzato per mezz’ora: «Chi sa che colpo si sarà preso Almirante. Che bello, un partito politico preso in giro da un fesso come me».

La presa in giro del Msi, Francesco Sgrò, trentenne, romano autentico, usciere all’università di Roma, facoltà di chimica, garagista nelle ore libere, precedenti penali per furterelli vari, l’aveva organizzata esattamente un mese prima, il 12 luglio.

All’avvocato Aldo Basile, esponente missino (membro della commissione provinciale di vigilanza del partito, è stato candidato alle elezioni amministrative) aveva confidato con aria preoccupata mentre gli sistemava la macchina in rimessa: «Negli scantinati della facoltà di fisica c’è una santabarbara. Ho visto su un tavolo 30 candelotti di dinamite, una piantina della stazione Tiburtina disegnata su carta millimetrata, in alto da una parte sono riusciti a leggere la scritta: Palatino, ore 5,30».

Aveva anche aggiunto che rivelare quel segreto lo spaventava a morte e che bisognava fargli passare la paura con un po’ di soldi. Basile rispose che ci avrebbe pensato. Non successe niente fino al 17 luglio quando, di prima mattina, Sgrò telefonò all’avvocato avvertendolo che due uomini e due donne si stavano portando via la santabarbara. Diede anche qualche nome e qualche sommario cenno d’identificazione: David Iò, grande barba rossa, Luciano Proietti, Giuliana Santucci.

Sbagliato. Erano tutti inventati (di Luciano Proietti alla facoltà ce ne sono tre, esiste una Santucci che però si chiama Luciana) tranne quello di Iò, riferito volutamente sbagliato: David Ayò, assistente indicato «perché ha la tessera del partito comunista, fa sempre un gran casino e poi a me mi sta antipatico».

A quel punto Basile avvertì Giorgio Almirante, segretario del Msi. In compagnia del presidente del partito, Alfredo Covelli, Almirante si precipitò da Emilio Santillo, capo dell’ispettorato antiterrorismo al ministero dell’Interno, e raccontò tutta la storia, senza fare i nomi dei presunti bombardieri né quello dell’informatore, perché Basile aveva preferito fare a meno di darglielo almeno per il momento.

Nonostante che Almirante dichiari il contrario, la polizia si mosse con grande rapidità: Umberto Improta, capo della squadra politica della questura di Roma, bloccò l’università: di bome e bombaroli nessuna traccia. Alla stazione Tiburtina, dove ogni giorno passano o si formano 157 treni, venne stabilito un servizio di vigilanza straordinaria per tutte le 24 ore: quattro turni, ciascuno di cinque uomini.

Al ministero, intanto Santillo e i suoi funzionari cominciavano a capire che le carte erano imbrogliate: il Palatino (Roma-Parigi, tutto letto e cuccette) non parte dalla Tiburtina ma da Termini, e non alle 5,30 ma alle 19,30. I conti non quadravano; se Almirante voleva veramente collaborare doveva dire di più.

Lo disse il 20 luglio, mandando a Santillo, su un foglietto della Camera dei deputati, i nomi che Basile aveva avuto da Sgrò. Rintracciati attraverso l’archivio elettronico dell’università, i sospetti vennero pedinati: i tre Proietti giravano come trottole tra Ostia, Fregene e i castelli romani abbordando straniere di passaggio, Ayò faceva la vita di sempre, la ragazza aveva lasciato Roma con tutta la famiglia e non c’era tornata da più di un anno.

Il Palatino venne «coccolato» (secondo l’espressione di un funzionario) fino al 31 luglio: un uomo per ogni vagone. Alla fine ci si convinse che quella di Almirante era soltanto una delle 260 segnalazioni infondate che arrivano ogni anno al ministero.

Ma il botto venne , la notte sul 4 agosto, su un treno internazionale, l’Italicus, che parte dalla stazione Tiburtina e che viene portato sotto le pensiline alle 17,30. Sgrò incassò il milione (e sostiene che gliene furono promessi altri dieci) e si tagliò i baffi spioventi; Basile partì per Salsomaggiore; Almirante diede fiato alle trombe sul Secolo, il quotidiano del Msi: questa volta la pista era inequivocabilmente rossa, il Movimento sociale aveva avvertito per tempo ministro e poliziotti i quali non avevano fatto niente; la colpa dei morti toccava in parti eguali alla sinistra e allo Stato.

Sostenne la stessa tesi nel pomeriggio di lunedì 5 agosto, durante il dibattito alla Camera. Prese una doccia fredda mercoledì 7: Sgrò, di cui ormai Basile aveva fatto nome e indirizzo, è andato in questura a denunciare che una Mini Minor rossa aveva cercato di investirlo, disse a Improta, e lo ripeté davanti a due altri funzionari e un maresciallo, che s’era inventato tutto e che era stato pagato. Rifiutò di firmare il verbale, ma ormai la verità era uscita, anche se erano in pochi a saperla.

L’impalcatura crollò la sera del 12 agosto: nella redazione di Paese sera, davanti a un registratore, fumando in continuazione, e bevendo aranciata, Sgrò aveva rifatto la storia del suo «bidone ad Almirante», confessando pubblicamente di aver ricevuto un milione: «ammazza come so’ bravo, so’ stato proprio bravo».

Troppo bravo, ha commentato però un magistrato del tribunale di Roma. Sgrò infatti ha «inventato» anche molte cose quasi vere. Ha «inventato» di aver visto 30 candelotti di dinamite, che nel complesso pesano circa tre chili (la bomba sul treno pesava con tutta probabilità tre chili). Ha «inventato» che si trattava di un treno internazionale, Palatino, che non ha una sigla ma un nome preciso (come il treno della bomba, Italicus). Ha «inventato» un’ora (le 5,30) e una stazione (la Tiburtina) «a caso». Il treno della bomba venne portato sul binario di partenza alle 17,30 alla stazione Tiburtina.

 

Roberto Fabiani, Panorama 22 agosto 1974