Antonino De Salvo – dichiarazioni 26.05.1981

Fin dal 1968 ho comandato il Centro 10 di Firenze, uno degli uffici periferici del Comando Generale del Reparto 2° della G.d.F. In tale mia qualità mi venne richiesto dal comandante del 2° Reparto, colonnello Florio, nel marzo 1974, di raccogliere molto riservatamente ed in dettaglio il maggior numero di notizie possibili su Gelli Licio. Rammento che si trattò di una richiesta, per così dire, a tamburo battente, fattami personalmente dal colonnello Florio, che mi rappresentò l’urgenza e mi illustrò anche i profili che gli interessavano particolarmente. Il colonnello Florio mi chiese anche di verificare eventuali rapporti tra il Gelli e un certo Lenzi.
Preciso che il Lenzi era un industriale del pistoiese, il quale aveva avuto dei problemi per una o più armi rinvenute su un suo panfilo, in Sardegna.
Non saprei riferire di più al riguardo e non sono in grado di ricostruire se si tratti di fatto precedente o successivo al momento in cui mi fu affidato l’incarico da parte del colonnello Florio. Nel giro di circa quindici giorni, stante l’assoluta urgenza che mi era stata rappresentata, raccolsi tutte le possibili informative sul Gelli e redassi una relazione in cinque pagine con un allegato in due pagine. Si tratta esattamente del documento che la S.V. mi mostra, che è titolato alla prima pagina “Situazione informativa Gelli Licio” e che reca stampigliato sul margine superiore destro del primo foglio il timbro “Doc. 3 fascicolo I. 9/31” nonché la annotazione a mano “C10” e l’altra “N. 2”. Mi pare di poter dire che l’annotazione a mano “C10” sia di mio pugno. La stessa sta a significare la provenienza dal Centro 10, ossia dal Centro di Firenze. Tale annotazione mi sembra proprio mia: ho qualche lieve dubbio. Il timbro stampigliato, evidentemente, è stato apposto dal 2° Reparto, cui la relazione venne trasmessa. La relazione predetta reca in calce data e sigla di mio pugno. Dopo aver redatto tale relazione provvidi a farla tenere rapidamente al colonnello Florio. Non saprei precisare se vi fu consegna diretta da parte mia ovvero trasmissione per raccomandata. Successivamente nell’estate del ’74 feci degli accertamenti, sempre su richiesta del colonnello Florio, sul Lenzi e redassi un’altra relazione: non ricordo se nella stessa ebbi a parlare del Gelli, cosa facilmente appurabile dato che il documento dovrebbe trovarsi agli atti del 2° Reparto. Mi ricordo che durante i contatti con il colonnello Florio lo stesso mi disse di essere cauto e di fermarmi in ordine all’interessamento sulla persona del Gelli, apparendo il personaggio un terreno di difficile esplorazione. Nell’estate del ’74, mentre ero in licenza, era il mese di settembre, fui convocato come teste dal Sostituto Procuratore Generale dr Catelani di Firenze nell’ambito di indagini relative a sbarchi di sigarette contrabbandate dalla nave Floriana nel porto di Viareggio. Nell’occasione venni indiziato per omissione di rapporto ed iniziò per me una dolorosa vicenda giudiziaria durata circa due anni e conclusasi poi con un proscioglimento istruttorio. Nell’ottobre-novembre 1974 il colonnello Florio venne del tutto inaspettatamente trasferito a Genova e la cosa lo amareggiò profondamente, per quanto mi consta. Preciso che fra il marzo e l’ottobre del 1974 era nel frattempo mutato il comandante generale della G.d.F. giacché al generale Borsi di Parma era succeduto il generale Giudice: rammento che coevo al trasferimento del colonnello Florio fu quello del capo di Stato Maggiore che venne sostituito dal generale Lo Prete.
ADR Il colonnello Florio non si aspettava minimamente il trasferimento e ne rimase dispiaciuto.
Nel gennaio-febbraio 1975 all’incirca, un certo Sergio Denti, mio conoscente, gallerista d’arte in Calenzano, mi disse che una persona voleva parlarmi. Non mi ricordo se fu il Denti a dirmelo o se fui io a supporlo stanti modalità del suo parlare, ma posso dire che andai all’incontro in questione ritenendo di vedere il Gelli. Così fu. Il Denti, io e la persona che poi si rivelò essere il Gelli ci vedemmo in Firenze al Bar Giubbe Rosse di piazza della Repubblica, luogo in cui il Denti mi aveva dato appuntamento. Fu in tal maniera che conobbi il Gelli. Il predetto non mi chiese nulla di particolare, talché ne ricavai che aveva voluto conoscermi. L’uomo mi lasciava piuttosto perplesso e parlava in maniera allusiva. Ebbi la netta sensazione che sapesse che io mi ero interessato di lui nella mia qualità di ufficiale della G.d.F. ed in particolare di comandante del Centro 10. Sempre parlando per allusioni , mi fece intendere che il trasferimento del colonnello Florio poteva essere collegato a lui. Ad un certo punto, senza alcuna domanda da parte mia, mi disse che sapeva del processo a mio carico, aggiungendo altresì che la mia posizione processuale era del tutto buona; in sostanza mi disse che non c’era niente. Parlò peraltro termini tali da non farmi capire quali potevano essere le sue fonti. Uscii dall’incontro in questione piuttosto turbato per il tipo d’uomo che avevo conosciuto e per le relazioni che mi aveva fatto intravedere. Telefonai qualche giorno dopo al colonnello Florio e gli dissi dell’incontro e degli elementi che ne avevo ricavato. Sottolineai che il sospetto che il Gelli potesse avere delle amicizie con i vertici della G.d.F. era uscito rafforzato dall’incontro. A questo punto devo evidenziare che verso la fine del 1973, inizi del 1974, avevo autorizzato il mio conoscente Denti Sergio a darsi da fare per farmi iscrivere nella massoneria.
Avevo, per la verità, una particolare ragione per farlo: avendo un figlio gravemente ammalato, da parte dei medici mi era stata prospettata l’opportunità di farlo visitare e curare in America, cosa per me davvero impossibile. Il Denti, a conoscenza del problema, mi aveva prospettato l’iscrizione alla massoneria come la via per riuscire nell’intento. In prosieguo e particolarmente dopo l’incontro con il Gelli, il Denti, riferendosi all’incarico avuto e da egli stesso, come ho detto, sollecitato, in ordine alla mia iscrizione alla massoneria, mi disse che era opportuno entrare in una loggia coperta a livello nazionale, così si espresse. Specificò che vi erano alte personalità e che per questo la loggia era coperta, ossia l’appartenenza alla stessa non era pubblicizzata e nota. Dissi di non avere nulla in contrario, tanto più che nel frattempo al motivo iniziale si era aggiunto il mio desiderio di vederci più chiaro nel trasferimento del colonnello Florio, in altri fatti a mia conoscenza e nelle disavventure giudiziarie occorsemi.
Fu così che il Denti nell’estate inoltrata del 1975 mi disse che la domanda era stata accettata e che avremmo dovuto recarci a Roma per la formalizzazione dell’iscrizione. Al Denti mi pare che, allorché avevamo parlato all’inizio della questione, avevo dato, su sua richiesta una domanda d’iscrizione. Il ricordo sul punto è però impreciso. Ritornando all’estate del 1975, mi recai con il Denti a Roma a bordo della macchina del predetto che era dotata, ricordo il particolare, di condizionatore d’aria in funzione. Il Denti mi accompagnò in un appartamento sito in via Condotti, all’incirca al di sopra del negozio di gioielleria Bulgari; lessi una targa “Centro di Studi Storici” o qualche cosa di simile. Preciso che qualche giorno prima appresi dal Denti che il Gelli faceva parte della loggia alla quale mi sarei iscritto. Incontrammo, infatti, nell’appartamento in questione il Gelli, una persona che fungeva da segretario e una persona che venne qualificata “Gran Maestro”. Tale Gran Maestro aveva accento settentrionale e mi fu detto che proveniva dal nord, da Milano o da Genova. Mi era stato detto dal Denti di indossare un abito di colore blu, cosa che avevo fatto. Sul posto mi furono dati dei guanti bianchi e mi fu fatto leggere un giuramento il cui contenuto non saprei esattamente ricordare. Ricordo che si parlava di mutua fratellanza e di fedeltà ed obbedienza alla loggia. Il Denti mi disse che la loggia era denominata P2. Ricordo che vi era una spada su un tavolo. Non mi ricordo se nel cerimoniale la spada venne in qualche maniera simbolicamente adoperata per la iniziazione. Rammento di avere apposto una firma in calce ad un documento che penso fosse lo stesso contenente il giuramento da me letto. Esaurita questa sorta di cerimonia, io e il Denti, andammo via. Ebbi modo in prosieguo di rivedere il Gelli qualche altra volta, due o tre. Una volta lo vidi al ristorante Fini sull’autostrada nei pressi di Firenze nella primavera del 1976; c’era anche il Denti. Che io mi ricordi non si parlò di nulla di particolare. In un’altra occasione andai alla società Giole unitamente ad un collega. Non ricordo i particolari, al di fuori di una circostanza che mi è rimasta impressa. Alla nostra presenza il Gelli telefonò al generale della G.d.F. Spaccamonti dandogli del tu. Ormai avevo compreso che certamente il Gelli aveva solidi legami con i vertici del corpo, cosa che aumentava il turbamento che io provavo in maniera sempre più crescente. Devo precisare che a partire dal momento della cerimonia romana cominciai a ritenere che quanto stavo facendo non mi sarebbe stato di nessuna utilità in ordine ai motivi che mi avevano spinto. Fu per questo che non detti mai seguito alle lettere che mi presero a pervenire dal Gelli con richiesta di foto per la tessera. Infatti, che io sappia, non mi è stata fatta mai la tessera né io ho versato mai dei contributi. Nel frattempo, verso la fine del 1975, prendendo spunto da un articolo della Nazione redassi un’articolata relazione sulle importazioni dalla Romania effettuate dalla ditta Giole, Socam e Incom: nelle prime due era direttamente interessato il Gelli. Siffatta relazione si riallacciava a quella fatta a suo tempo sul Gelli, che la S.V. mi ha mostrato. Spedita tale relazione sulle società in questione al 2° Reparto, dissi a mia moglie di aspettarci da un momento all’altro il trasferimento, il quale giunse puntualmente con provvedimento del maggio giugno 1976. Il trasferimento era da Firenze a Trento e mi poneva gravi difficoltà pur essendo, mi corre l’obbligo di dirlo, formalmente ineccepibile. Chiesi di conferire con il comandante Giudice e mi fu risposto di scrivergli, cosa del tutto inconsueta, almeno a livello ufficiali. Mi adattai, scrissi e mi fu risposto che esigenze di servizio impedivano la modifica del provvedimento. Agli inizi di agosto ’76 mi recai al comando generale e fui ricevuto dal generale Furbini, comandante in 2° essendo assente il generale Giudice. Il generale Furbini si rese conto della mia situazione familiare legata alla grave malattia di mio figlio e mi aiutò concretamente, riuscendo a far sì che mi dessero l’incarico di aiutante Maggiore presso la legione di Firenze. Si trattava del male minore e certamente mi giungeva più gradito del trasferimento a Trento. Non ebbi alcun modo di vedere più il Gelli che doveva aver capito ben presto di non poter contare su di me. Posso dire che le ultime sue richieste per lettera risalgono a taluni anni orsono. Ho sempre cestinato tali lettere e non ho mai risposto alle stesse, certo com’ero che il Gelli avrebbe gelosamente custodito, per suoi fini, eventuali scritti provenienti da me. Non ho mai partecipato a riunioni di sorta. Nelle poche occasioni, che ho evidenziato, nelle quali ho incontrato il Gelli mi è stato fatto capire che della loggia dovevano far parte, o che comunque dovevano essere in rapporti con lui, il generale Giudice, il generale Lo Prete, il colonnello Trisolini. A titolo di cronaca posso dire che in stretti rapporti con il colonnello Trisolini era l’allora capitano Micoli che mi era succeduto al comando del Centro 10 di Firenze. Intendo precisare che, se non vado errato, nel corso del primo incontro con Gelli al bar di Firenze il predetto mi disse di avere un cognato, fratello di sua moglie, nella Guardia di Finanza: si trattava del maresciallo Vannacci in servizio a Massa Carrara. Non credo di avere altro da dire e comunque mi riservo di fornire altri particolari nel caso in cui, riandando più volte con la memoria ai fatti, dovessi riuscire a puntualizzare ulteriori elementi.

Le informative della guardia di Finanza del 1974 – relazione Tina Anselmi

Nel 1974 anche l’Ufficio I della Guardia di Finanza si interessò a Licio Gelli predisponendo nella primavera tre relazioni, alle quali non fu riservata una sorte migliore di quella toccata alle due note del Centro SID di Firenze prima ricordate.

Emilio Santillo

Le indagini sembra che furono avviate su richiesta dell’Ispet­torato antiterrorismo di Santillo — in relazione a quelle svolte su Lenzi Luigi di Quarrata (P2), sospetto di traffico di armi — e furono affidate dal comandante dell’Ufficio I, colonnello Florio, al tenente colonnello Giuseppe Serrentino, al maggiore Antonino De Salvo ed al capitano Luciano Rossi. Il più completo dei tre rap­porti è senza dubbio quello del maggiore De Salvo che riferisce delle nuove attività economiche di Gelli e degli incarichi ricoperti in due società del gruppo Lebole nel settore dell’abbigliamento: la GIOLE e la SOCAM. Circa la posizione politica di Gelli, la qualifica «spiccatamente destrorsa», dopo aver peraltro riferito che il Gelli « in Pistoia sino al 1956 era di orientamento comunista »; il rapporto si dilunga sulle amicizie sui apporti politici e con le autorità civili e militari di colui che indica come « un alto esponente della massoneria internazionale » ed afferma che proprio attra­verso la massoneria passerebbero i suoi rapporti con Peron e Campora (nel 1973 ha ricevuto la nomina a console onorario d’Argentina). Il maggiore dà anche notizia dei rapporti di Gelli con i paesi arabi ed avanza l’ipotesi che egli svolga funzioni di public relation man per i rapporti non palesi e non ufficiali intrattenuti dall’Italia con Stati arabi, chiedendosi se ciò non sia in relazione al trafficodi armi. Questo filone di indagine non fu più ripreso da nessun apparato informativo, nonostante nel rapporto si documenti in modo certo il contatto tra Licio Gelli e Luigi Lenzi. Il rapporto accennava anche al sicuro possesso, da parte del Centro di Firenze, di un fascicolo personale intestato a Licio Gelli, del quale non gli fu pos­sibile prendere visione.

gelli peron

Le indagini svolte su Licio Gelli non sembra giovarono agli ufficiali che se ne erano occupati. Il maggiore De Salvo appare iscritto alla Loggia P2; Luciano Rossi finì suicida dopo essere stato, come sembra, minacciato da Gelli; Serrentino abbandonò il Servizio per infermità; quanto al colonnello Florio, dopo aver subito una vera e propria persecuzione nell’Arma con l’arrivo di Giudice e Trisolini (su Giudice, a dire della vedova, aveva raccolto uno scot­tante dossier), morì in un incidente d’auto. Ai fini dell’analisi successiva quello che preme qui rilevare è che il 1974 è l’anno in cui certi settori dei Servizi (Centro SID di Firenze, Ispettorato antiterrorismo. Ufficio I della Guardia di Fi­nanza) si sono attentamente interessati di questo « personaggio emer­gente ». Il quadro complessivo che viene fuori da una lettura com­binata dei rapporti è ancora oggi pienamente valido e significativo, e tanto più ci colpisce in quanto compilato nel 1974, l’anno che segna, come vedremo, l’apice del fenomeno terroristico, di conno­tazione nera, in Italia.

“Dieci armi sequestrate su un panfilo toscano” – L’Unità 14.08.1974

Un industriale toscano, Luigi Lenzi, titolare di una fabbrica di mobili di Quarrata in provincia di Pistoia, quando intraprende un viaggio è solito portarsi dietro il proprio arsenale composto da una decina di armi tra fucili, pistole e relative munizioni. Questo è quanto l’industriale ha riferito ai funzionari della polizia della Questura di Sassari dopo il ritrovamento a bordo del suo panfilo delle armi e dei proiettili. Luigi Lenzi ha anche potuto dimostrare che l’arsenale è regolarmente denunciato.
La vicenda, che ha un precedente nel senso che il Lenzi era già stato tempo fa arrestato nella sua villa di Quarrata dove conservava un analogo arsenale tanto legittimo quanto stupefacente, è accaduta a Santa Teresa di Gallura, una località turistica sulle coste settentrionali della Sardegna.