Memoriale Francesco Pazienza 30.11.1982

a) Rapporti con il Sig. Flavio Carboni
Il Sig. Carboni mi fu presentato casualmente dal dr Pompò dirigente del primo distretto di polizia all’inizio del 1981 nella sede dello stesso. Il Carboni si trovava colà per un rinnovo di passaporto mentre il sottoscritto vi era passato per salutare lo stesso dr. Pompò che mi stava aiutando a reperire una casa in affitto nel centro storico.
Il Sig. Carboni si mostrò immediatamente molto interessato al sottoscritto anche perché erano già usciti gli articoli su Panorama ed Espresso e concernenti il viaggio in USA dell’on. Piccoli. Il Carboni, inoltre, era a conoscenza del mio rapporto di consulenza con il Sig. Calvi.
Nelle settimane successive il Carboni mi contattò telefonicamente varie volte ivi compreso al residence in cui vivevo.
Una sera mi invitò a cena a casa sua in via Orti della Farnesina ove mi parlò a lungo del suo rapporto di associazione con Berlusconi in Sardegna. In tale occasione mi parlò di un suo amico che mi avrebbe potuto aiutare effettivamente a trovare un appartamento in centro perché possedeva un grosso patrimonio immobiliare. Il suddetto signore era Domenico Balducci. Ricordo che in quella serata fui invitato ripetutamente a fare uso di sostanze stupefacenti (cocaina) cosa che rifiutai categoricamente. Il Carboni, inoltre, si dilettava a riprendere gli invitati con una telecamera e video registratore. Ricordo di essermene andato intorno alle dodici. Nei giorni successivi mi fu presentato il Balducci in una specie di ufficio nei pressi di Corso Vittorio. Questi mi disse che mi avrebbe aiutato a reperire un appartamento nel centro storico.
Rividi molto sporadicamente il Carboni che si auto invitava a casa mia e passava direttamente a salutarmi.
Due o tre volte venne con il Balducci. Entrambi mi iniziarono a parlare di possibili investimenti in Sardegna che sarebbe stato interessante intraprendere con finanziamenti del Banco Ambrosiano. Tengo a precisare che di tali possibilità non feci mai nessun accenno al presidente del Banco. A metà giugno, dopo averne ripetutamente sentito parlare, mi recai a visitare con il Balducci e il Carboni un grande appezzamento di terreno vicino a Porto Rotondo. Tale appezzamento era di proprietà di una certa famiglia Tamponi. Il progetto del duo Carboni-Balducci era di poterlo comprare ad un prezzo per poterlo rivendere al doppio o triplo a Berlusconi. Naturalmente necessitava il solito finanziamento dell’Ambrosiano. L’affare era irrealizzabile anche perché il processo Calvi era in pieno svolgimento. Durante questo periodo il duo Carboni-Balducci mi propose di comperare una villa di proprietà dello stesso Balducci per una somma di quattrocento milioni. Mi fu anzi detto che se l’affare Tamponi fosse andato in porto la villa mi sarebbe stata offerta. Per allettarmi mi fu anzi prestata la villa per due week end durante questo periodo.
Il Carboni fu da me rivisto entro il mese di luglio solamente una volta. Avendo egli diverse imbarcazioni gli chiesi se era in grado di farmene affittare una per il mese di agosto. Egli si presentò un giorno con il Balducci ed un certo Sig. Merluzzi che si spacciava come consulente del cantiere Canados di Ostia. Dopo questa volta il Carboni fu rivisto solamente a Porto Rotondo ove si presentava senza essere invitato alle porte di Villa Monasterio.

b) Rapporti con il Balducci
Gli unici rapporti separati con il Balducci si sono verificati quando questi mi disse di necessitare il mio aiuto per due operazioni:
a) Finanziamento di un albergo-casino a Rio de Janeiro.
b) Aiuto per un suo “amico” il Comm. Costantini, onde esportare legname brasiliano verso gli Stati Uniti.
Trovandomi in Sud America incontravo il Balducci a Rio nella prima settimana di giugno. Insieme a lui si trovava il Comm. Costantini. La mia permanenza a Rio fu di due giorni. Mi resi conto che Balducci parlava di cose irrealizzabili e rientrai immediatamente in Europa. Ricordo anzi che incontrai per caso a Rio il giornalista Bongiorno che rimase con me tutto il tempo della permanenza in questa città. Durante una pausa delle discussioni con una società locale (di cui includo fotocopia del biglietto da visita) il Comm. Costantini mi mise sull’avviso nei riguardi del Balducci tanto da definirlo un pericolosissimo ricattatore. Al mio stupore sul motivo, dunque, della sua permanenza a fianco del medesimo questi mi rispose evasivamente dicendomi di essere obbligato a farlo. Altro personaggio presentatomi dal Balducci, una volta di passaggio da Losanna, fu il Sig. Ravello. Anche questo personaggio propose alcune operazioni da fare con l’Ambrosiano. Successivamente il Calvi mi disse che costui aveva effettuato operazioni “in nero” con diversi operatori italiani a cui non aveva corrisposto il dovuto in Svizzera. Era quindi da evitare accuratamente. I miei rapporti con il Balducci finiscono alla metà di luglio dopo che il Carboni me lo portò con il Merluzzi per il problema dell’affitto della barca.

c) Vacanza in Sardegna
La Villa Monasterio fu reperita dal Dr. Sergio Cusani collaboratore del Dr. Cabassi. Non fu corrisposto nessun canone di affitto per tale villa ed anzi lo stesso Dr. Cusani trascorse un periodo di vacanze con il sottoscritto, la Sig.na De Laurentiis e i coniugi Calvi. Tutte le spese di vitto furono sostenute dal sottoscritto ivi comprese quelle di sicurezza (Flashpol) e di personale Hotel San Marco.
Il Carboni era solito presentarsi all’ingresso della Villa senza essere annunciato. Un giorno riuscì ad ottenere un appuntamento per conoscere Calvi. Tale appuntamento fu fatto all’isola di Budelli. Il Carboni vi arrivò con una barca di ventidue metri e molte persone. Calvi trasbordò su questa barca per circa mezzora. Tra gli altri vi erano il Prof. Binetti; l’On. Pisanu ed un ambasciatore o diplomatico venezuelano. Il Carboni si invitò per cena a Villa Monasterio non ricordo se per la stessa sera o per la successiva.
Durante la cena il Carboni parlò allusivamente dei suoi stretti rapporti con Scalfari-Caracciolo, con certi settori del Vaticano e con il Ministero del Tesoro. La cena terminò con scambi di numeri telefonici da parte di Calvi e Carboni. Durante la vacanza mi pare che il Carboni venne solo un’altra volta per salutare il Pres. Calvi.
Durante questa vacanza fu da me invitato durante una giornata anche il Gen. Santovito. Questi ha una villetta a Stintino. Egli venne con la sua signora. Si trascorse la giornata in motoscafo e fece ritorno la sera a Stintino.

“Che succede al Banco Ambrosiano” – Agenzia Axel 05.11.1981

Lettera aperta al Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi.
Egregio Signor Governatore, sappiamo che nella Banca d’Italia, in tema di vigilanza sugli istituti di credito, da lungo tempo si combattono due opposte tendenze: quella favorevole ad un più deciso intervento dell’Autorità Centrale che faccia rispettare la legge bancaria (e non solo bancaria) riportando il credito alla sua utile funzione istituzionale; e quella che, in quest’area di dirigismo statalistico, ha paradossalmente abbracciato la politica del “laisser faire”, una politica soprattutto non dannosa alla propria carriera.
La prima tendenza, dopo i guai capitati al suo leader, il dottor Sarcinelli, è tornata nell’ombra, ma non per questo demorde dalle sue convinzioni; la seconda è quella che, sotto il segno di opposte bandiere, ha preso attualmente il sopravvento e che, a nostro avviso, nonostante il suo abile ruolo di mediatore, sta conducendo alla rovina il Paese. Le abbiamo più volte espresso i motivi della nostra convinzione e Le saremmo grati se Ella volesse in qualsiasi modo commentare quanto da noi affermato; ma questa volta vorremmo attirare la Sua attenzione sul Banco Ambrosiano, e cioè sulla più forte banca privata italiana che – pur godendo, secondo i suoi amministratori dell’appoggio della divina provvidenza – è sottoposta al controllo della Banca d’Italia.
Ebbene, nel Banco Ambrosiano, almeno a quanto dice la Magistratura o si legge sulla stampa, ne stanno succedendo di tutti i colori. Il suo Presidente, Roberto Calvi, condannato per infrazioni valutarie e incriminato per gravi reati che vanno dalla truffa al falso in bilancio, è stato riconfermato in tutte le sue cariche sociali. Interi partiti, come il PSI, finanziati, per esplicita ammissione dello stesso Calvi, per mezzo di linee di credito concesse sull’estero e, quindi, con parecchie violazioni di legge. Importanti gruppi editoriali, come quello RIZZOLI, indebitati fino all’osso con questa banca, centro di ‘piduisti’, e forse braccio operativo di oscure manovre politico-finanziario-mafiose. Ce ne
dovrebbe essere abbastanza per dar lavoro per anni a tutti gli ispettori della Vigilanza della BANCA D’ITALIA. E invece la BANCA D’ITALIA è tanto assente da far sembrare questa sua totale indifferenza di fronte a quanto appurato dalla Magistratura ordinaria, quasi un’omissione di atti d’ufficio.
Gravissimo, in tal senso, ci sembra l’episodio accennato dalla grande stampa di informazione e relativo a complicatissimi rapporti esistenti tra RAVELLI, il BANCO AMBROSIANO, la SAVOIA ASSICURAZIONI (del Gruppo RIZZOLI), lo stesso RIZZOLI e la SPARFI (società de LA CENTRALE), rapporti che attraverso la compravendita della BANCA MERCANTILE DI FIRENZE, sono stati in grado di concretizzare nel giro di due giorni, un utile di 2.336 milioni che non si comprende bene in quali tasche sia finito.
Senza addentrarci negli intricati particolari di questa operazione – che peraltro ricalca gli schemi preferiti di CALVI, con società del suo stesso gruppo che vendendosi fra loro qualche partecipazione fanno saltar fuori più di qualche
miliardo che poi sparisce – ci limitiamo a farLe osservare che, secondo quanto risulta dagli accertamenti della PROCURA DELLA REPUBBLICA DI MILANO:
1) il BANCO AMBROSIANO, su ordine della SAVOIA ASSICURAZIONI, ha distribuito 230 assegni circolari da 10 milioni ciascuno, frutto dell’operazione accennata.
2) funzionari del BANCO AMBROSIANO hanno consegnato assegni circolari per 200 milioni di lire, che fanno parte della stessa operazione cui ci riferiamo, senza identificare la persona, che li ritirava.
3) almeno uno di questi assegni circolari, che potremmo definire “di fantasia”, è finito all’estero.

Davvero singolare in questo brutto pasticcio il comportamento dei dirigenti del BANCO AMBROSIANO che in un, primo tempo tacevano perfino alla GUARDIA DI FINANZA che indagava sui 10 milioni finiti all’estero, l’operazione alla quale l’assegno incriminato si riferiva, e poi ammettevano (ma, solo dopo l’intervento del magistrato) che
la compravendita era avvenuta fra società dello stesso Gruppo AMBROSIANO.
Legittimo e fondato appare quindi il sospetto ingeneratosi negli inquirenti che i vantaggi di questa operazione, e cioè i 2.336 milioni, siano finiti nelle tasche di esponenti di primo piano del BANCO AMBROSIANO, mentre l’inerzia dell’Istituto Centrale appare, anche in questo caso, incomprensibile.
Per lungo tempo, infatti, perfino gran parte, della dottrina è stata favorevole a considerare inammissibile il potere di controllo dell’Autorità Giudiziaria ordinaria sugli istituti di credito, affidati all’ISTITUTO VIGILANZA della BANCA D’ITALIA e, dunque, non sottoponibili ad una doppia giurisdizione. Ma ora, Signor Governatore, come può un azionista del BANCO AMBROSIANO sentirsi garantito anche come cittadino italiano che non voglia correre il pericolo di dover ripianare un altro crack ‘alla SINDONA’?!
E’ quindi nostro indefettibile convincimento che l’Istituto Centrale non possa sottrarsi ulteriormente alla sua funzione di controllo almeno per quanto riguarda il BANCO AMBROSIANO, un controllo che per i suoi stessi fini istituzionali, non deve esercitarsi ed esaurirsi nell’ambito dell’eroica discrezione di qualche ispettore della VIGILANZA, ma deve essere reso pubblico nelle sue risultanze, quali che esse siano.
Per questo, Signor Governatore, ci permettiamo di rivolgerLe la seguente domanda: “Che succede al Banco Ambrosiano?” e sinceramente riteniamo che una risposta, competente, e circostanziata, da parte della “BANCA D’ITALIA sarebbe preferibile alle molte dannose illazioni che in materia bancaria, anche grazie alla disinvolta gestione del BANCO AMBROSIANO, si stanno facendo.

Lettera di Francesco Pazienza a Eugenio Scalfari 7.2.1983

Caro Signor Scalfari,
è da tempo avrei dovuto scriverle questa lettera. Lei non sarà sicuramente abituato a ricevere missive come questa. Lei si considera intoccabile e depositario di tutta la purezza morale che resta in Italia. La verità è invece che lei crede di poter usare il suo terrorismo giornalistico fatto di notizie talmente palesemente false e tendenziose onde condizionare tutti coloro che non sono allineati ai fini di potere suoi e dei suoi amici politici.
Io, che di lei me ne fotto, le scrivo questa lettera anche a nome di tutti coloro (e sono tanti) che lo vorrebbero fare ma non possono. Come mandare allo sbaraglio il suo socio Carlo Caracciolo in situazioni preordinate da lei e dove i vantaggi erano comuni ed i rischi solo per il socio. Partendo dalla serie ultima di articoli sul caso Cirillo ove lei considera oro colato quello che la magistratura reputa pura fantasia, lei ha ineluttabilmente stabilito:

a) Il sottoscritto coinvolto con Sindona.
A dire il vero se c’è un personaggio a cui meglio si adatta il neologismo di “faccendiere”, questo è proprio lei. Lei è stato coinvolto con Sindona in negoziati segreti alla fine degli anni sessanta alla ricerca di finanziamenti per il suo futuro giornale. Lei frequentava segretamente la sua casa di Milano; decise poi di scegliere la strada di un altro bancarottiere scoprendo che Sindona era quanto di peggio esistesse. Se io fossi stato coinvolto con Sindona lo avrei dovuto essere a vent’anni di età. Lei non ha neppure il senso del ridicolo.

b) Gelli. Mentre io Gelli non l’ho mai visto e conosciuto, lei ‘ha conosciuto talmente bene da accettare e richiedere una sua mediazione per un accordo editoriale con la Rizzoli. Smentisca, strilli, si appelli ancora all’on. Anselmi ma i documenti sono là. Oppure vuol confermare quello che va dicendo in giro e cioè che Caracciolo ha fatto tutto senza dirle niente?

c) Carboni. lei era così intimo di Carboni da pranzare con lui almeno una volta alla settimana. Carboni era talmente fiero di questa dimestichezza con lei da chiamarla appositamente davanti ad altre persone per telefono. Anche questo è colpa di Caracciolo oppure quando si incontrava con Carboni pensava che si chiamasse Mario Rossi e fosse impiegato al catasto della città di Utopia?

d) I servizi segreti. Lei ha avuto ed ha tanti e poi tanti di quei rapporti con i servizi segreti che i miei sono stati roba da lattanti. Lei è l’occulto consulente giornalistico del direttore del SISMI e del suo protettore politico. Lei ha pianificato con notizie false una campagna scandalistica (una delle tante) contro i due nemici politici del suo corpulento amico. Lei ne sta pianificando una nuova in questi giorni con materiale manipolato e pagato dalla solita ineffabile organizzazione con i danari dello stato. Sarò più preciso. In questi documenti la originale serie numerica è stata sostituita con nominativi di politici italiani. E’ lo stesso lavoro che lei ha fatto contro il sottoscritto alla fine del novembre 1981. Lei fece pubblicare una serie di articoli basati su un dossier falso fattole pervenire in copia dal SISMI. Lo stesso dossier in copia originale fu mandato alla magistratura romana che riscontrò la completa fantasiosità di quanto scritto. Se lei non ricorda gli articoli del suo giornale, posso mandarglieli in copia.
Lei, inoltre, è intervenuto alla fine dicembre 1982 per impedire la pubblicazione di un articolo in cui un giornalista dimostrava che il suo amico Lugaresi era coinvolto in strani patteggiamenti con la malavita organizzata, deviazioni di vario genere ed improprio (il minimo che si potesse dire) impiego dei fondi finanziari in dotazione. Prego smentisca!

e) Calvi: è vero o è falso che il suo gruppo ha cercato disperatamente un finanziamento di tre miliardi dal Banco Ambrosiano e che tre persone si sono incaricate del negoziato? E’ vero o è falso che per superare lo stallo fa da lei suggerito ad uno dei tre negoziatori di proporre un finanziamento dall’estero sulla società Manzoni onde camuffare il destinatario finale: l’editoriale. Oppure è sempre quel monello di Caracciolo che fa queste cose cattive?

Concludo ricordandole come dopo la mia intervista al Progresso Italo-Americano lei abbia chiamato il direttore proferendo velate minacce. Lei fu cortesemente pregato di occuparsi dei fatti suoi per cui fece intervenire l’altro suo socio Pirri Ardizzone: bella dimostrazione, la sua, di democratica libertà di stampa. Sparlare degli altri va bene, parlare di lei no!
Mi stia bene caro Scalfari.

“Banca Franklin – Il caso è grave chiamate l’avvocato” – L’Espresso 19.05.1974

New York. Per la Franklin New York, la banca americana che Michele Sindona controlla attraverso la Fasco International lussemburghese, i problemi si stanno moltiplicando. Il 2 maggio, il Federal Reserve Board non le diede l’autorizzazione di assorbire la Talcott National Corporation (altro satellite del sistema solare Sindona negli Stati Uniti). Fu una decisione spiegabile in parte con l’esterofobia delle autorità monetarie americane, assai poco propense a comprendere le acrobazie finanziarie degli stranieri.
L’episodio Talcott ha però fatto scattare un meccanismo che potrebbe portare addirittura al passaggio della Frankiln New York (la quotazione del cui titolo è stata sospesa) in mani diverse da quelle dell’avvocato siciliano. Vediamo come si sono svolti gli avvenimenti durante quest’ultimo, burrascoso week-end, che ha visto scoppiare la più grande crisi di una banca americana dall’epoca della grande depressione.
Venerdì scorso mancava solo mezz’ora alla chiusura del New York Stock Exchange, quando si è diffusa la notizia che la Franklin New York non avrebbe distribuito dividendi né per le azioni ordinarie né per quelle privilegiate. Nonostante la maggior parte degli operatori stesse chiudendo bottega per prepararsi al fine settimana, la notizia ha provocato il terremoto.
Il titolo della Frankiln New York è precipitato a 8,75 punti rispetto a 11,25 quella stessa mattina in apertura, ed a 15,75 appena dieci giorni prima. E anche ai bassi livelli raggiunti, la Franklin non ha trovato compratori. Singolarmente, sulla scia della Franklin sono crollate le quotazioni dei titoli di altre banche: Citibank ha perso 2 7/8; Bankers Trust e J.P. Morgan 4 1/8; Chase Manhattan 2 1/8; Manufacturers Hanover 4,25; First of Chicago 4,50. Il fenomeno può essere solo attribuito a motivi psicologici, in quanto tutte queste banche per il primo trimestre hanno denunciato enormi aumenti dei profitti e sontuosi dividendi.
L’unica cosa in comune che hanno con la Franklin sono le perdite accumulate nelle negoziazioni in titoli obbligazionari, perdite per altro largamente compensate da utili spuntati in altri settori di attività. Sabato e domenica giornalisti e operatori hanno invano tentato di mettersi in contatto con Harold Gleason, chairman della Franklin National Bank, con i responsabili della contabilità dell’istituto, ed anche con Michele Sindona, il quale pare sia partito, accompagnato dall’ex segretario al Tesoro David Kennedy, ormai molto anziano ma pur sempre titolare di un nome prestigioso, per un giro fra gli sceicchi mediorientali. Secondo gli analisti di Wall Street, che non hanno mai digerito la disinvoltura operativa di Michele Sindona, la situazione della Franklin New York è assai grave, se non addirittura disperata.
E lo dicono con una punta di soddisfazione. “Alti funzionari della stessa Franklin hanno ammesso che la banca è sull’orlo del fallimento”, mi ha confidato un esperto.
“Sono parecchie settimane” aggiunge un altro analista, “che la Franklin New York ha seri problemi di liquidità (n.d.r.: in aprile la Franklin ha ottenuto dalla Manufacturers Hanover Trust Company un prestito di 30 milioni di dollari, parte dei quali destinati a soddisfare alcune “raccomandazioni della Fed. Ora sta cercando di rastrellare altri 50 milioni di dollari: Sindona si è detto pronto a metterli a disposizione, ma si tratta di un gesto più che altro formale). Già prima che il Federal Reserve Board proibisse a Michele Sindona di passare la Talcott National Corporation alla Franklin, parecchi investitori si tenevano alla larga dalla Franklin quasi fosse appestata. E le ragioni non mancano. In un periodo come questo di altissimi tassi d’interesse (venerdì il “prime rate” è arrivato all’11,25 per cento) la Franklin non è riuscita a raccogliere denaro. Nei primi tre mesi il reddito da prestiti è stato di 41,2 milioni di dollari, che stanno a fronte di 42,9 milioni di dollari di spese”. Un’altra indicazione dell’allarmante situazione della Franklin”, continua il mio interlocutore, “si può ricavare dai fondi federali, i capitali a breve che le banche prestano l’una all’altra. Alla fine marzo la Franklin aveva 1,2 miliardi di questi fondi”.
A queste impietose analisi si aggiungono le voci appena sussurrate di uno squilibrio fra attività interna ed estera della banca, che avrebbe fornito a Sindona capitali per grosse operazioni sui mercati internazionali dei cambi, operazioni che avrebbero portato cospicui profitti a Sindona, ma grosse perdite alla Franklin.
Le ultime voci raccolte domenica sera e lunedì parlano di un Michele Sindona disposto a liberarsi della sua partecipazione nella Franklin. Si fanno delle ipotesi: la prima è che la Fed aiuti la Franklin ad uscire dalla crisi di liquidità con una tecnica non dissimile da quella usata per il fallimento della Penn Central nel 1970. La seconda è che la Franklin venga salvata da un’altra banca. Possibili candidate potrebbero essere le newyorchesi J.P. Morgan, Citibank e Manufacturers Hanover, che però dovrebbero battersi contro le severissime norme anti-monopolio. Terza candidata la National Westminster: la grossa banca inglese non ha sportelli in America, ed è da tempo in agguato per installarsi sul mercato finanziario di New York. Inoltre, è in buoni rapporti con Michele Sindona.

Mauro Calamandrei – “L’Espresso” 19.05 1974

“Operazioni sui cambi” – Estratto relazione di minoranza sulla P2

Illustriamo, prima di tutto, a beneficio dei “non addetti ai lavori”, che cosa è una operazione sui cambi. Si tratta sostanzialmente di speculazioni, più che lecite, che vengono attuate soprattutto tra banca e banca: la banca “X” si impegna con la banca “Y” di ritirare presso quest’ultima, di lì a qualche mese, una data somma in valuta (dollari, sterline, marchi e così via) a un prezzo che viene convenuto al momento della stipula del contratto. Che cosa succede, allora, al momento in cui scadono i termini della operazione? Molto semplice: mettiamo che la banca “X” abbia stabilito con la banca “Y” di acquistare, di lì a tre mesi, un milione di dollari al prezzo convenuto di 1.700 lire al dollaro (quotazione attuale). Ebbene, se alla scadenza dei termini il dollaro varrà più di 1.700 lire, la banca “X” avrà fatto un buon affare perché sarà entrata in possesso di un milione di dollari il cui valore risulterà maggiore del prezzo pagato. E ci avrà rimesso la banca “Y”. Se la quotazione, invece, sarà risultata inferiore, ci avrà rimesso la banca “X” (acquirente a 1.700 lire) e ci avrà guadagnato la banca “Y”, venditrice.
Chi gioca partite del genere, naturalmente, deve operare sulla base di complesse valutazioni e previsioni, di natura finanziaria, economica, politica, perché nulla vi è di più mutevole delle oscillazioni dei cambi sui mercati internazionali. Per di più, deve giocare avendo sempre a disposizione, in contanti, o comunque garantite, le somme necessarie per onorare gli impegni presi. Fornita questa spiegazione, veniamo ora alla operazione sui cambi che ci porta a Sindona.
Per operare in questo settore, Michele Sindona aveva costruito la “Moneyrex” (Euromarket Money Brokers), vale a dire una società di intermediazione monetaria, e ne aveva affidato la direzione tecnica a Carlo Bordoni, un tipo poco raccomandabile, già licenziato in tronco dalla filiale di Milano della “First National City Bank of New York” perché, quale responsabile della sezione cambi, aveva abusivamente speculato con il denaro della banca, dirottando i profitti sul suo conto personale e scaricando le perdite sull’istituto di credito. Un elemento, in definitiva, fatto su misura per Sindona che, in fatto di etica e di morale, ha sempre lasciato molto a desiderare. Ebbene, il 17 gennaio 1973, Carlo Bordoni, agendo per conto della “Moneyrex”, stipulò un contratto di compra-vendita di valuta con la “International Westminster Bank” di Francoforte (che fa parte del gruppo “National Westminster Bank” di Londra): dollari contro lire per un ammontare di circa 125 milioni di dollari.
Una tipica “operazione a termine” : con quel contratto, infatti, la “Moneyrex” si impegnava ad acquistare, di lì a sei mesi, tra il 19 e il 31 luglio successivo, 125 milioni di dollari al prezzo convenuto di 601,80 lire. Sempre nella stessa giornata, Bordoni stipulò un contratto identico con la filiale parigina della “First National Bank of Boston”: dollari contro lire, scadenza 19/31 luglio successivo, per un totale di 13 milioni di dollari a 601,80 lire al dollaro. Totale: 138 milioni di dollari del 1973, che, in lire attuali, rappresentano circa 500 miliardi. Ed ora, attenzione: alla data del 17 gennaio 1973, avviare una operazione sui cambi di quella portata, offrendo lire in cambio di dollari, costituiva una autentica pazzia. Il motivo è presto detto. Posto che l’obiettivo era quello di puntare su un aumento del valore del dollaro nei confronti della lira tra il gennaio e il luglio successivo, e quindi, in definitiva su una svalutazione della lira nei confronti del dollaro, si dava il fatto che, all’inizio del 1973, la moneta italiana era considerata una moneta sufficientemente solida, anche perché l’annata precedente (1972) si era chiusa in termini economicamente positivi, con un attivo di oltre 800 miliardi per quanto riguardava la bilancia dei pagamenti, partite correnti.
In altre parole: offrendo 601,80 lire (più spese) per dollaro in data 17 gennaio, Michele Sindona rischiava, il 19 luglio successivo, di pagare 601,80 lire (sempre più le spese) una moneta che, a lume di logica, avrebbe potuto valere alcune lire in meno.
Rimettendoci cosi, date le cifre in gioco, una barca di miliardi. Invece, guarda caso, tre giorni dopo, il 20 gennaio 1973 si verificò un fatto di eccezionale importanza, tale da offrire una logica giustificazione alla operazione sui cambi avviata da Sindona: il governo presieduto da Giulio Andreotti, sulla base di considerazioni di carattere monetario internazionale, decise di abbandonare l’ormai convalidato sistema dei “cambi fissi”, e varò quello del “doppio mercato dei cambi”. In poche parole, il governo Andreotti cessò di sostenere la lira nei confronti delle altre monete e lasciò che seguisse le oscillazioni di mercato: un provvedimento, questo, che venne subito interpretato come premessa ad una inevitabile svalutazione della moneta nazionale. E infatti la conseguenza immediata del provvedimento preso dal governo Andreotti fu che il dollaro, che al 20 gennaio 1973 oscillava attorno alle 600 lire, balzò in pochi giorni a quota 625. Il che, per Sindona, significava, sin dai primi giorni dell’operazione, un guadagno di circa 25 lire moltiplicato per 138 milioni di dollari, vale a dire 3 miliardi e mezzo di lire (circa 20 miliardi di oggi). Sembra quindi logico dedurne che Sindona fosse stato preventivamente informato del provvedimento che il presidente Andreotti stava varando. Il che spiega (e torniamo così ai motivi che ci hanno portato a ricostruire questa complessa “operazione sui cambi”) la facilità con cui Michele Sindona riuscì a ottenere, in quella circostanza, le indispensabili garanzie che gli erano necessarie, nei confronti delle due banche di Francoforte e di Parigi, per stipulare i relativi contratti per un totale, 10 ripetiamo, di 138 milioni di dollari (500 miliardi di lire attuali).

Ma circa le garanzie ottenute saremo più precisi nel quarto capitolo “I dollari facili”. Per concludere intanto questa documentazione sulla “operazione cambi ” condotta da Sindona nel 1973 è necessario aggiungere alcuni particolari che comprovano l’enorme, e misteriosa, disponibilità di mezzi a disposizione del banchiere siciliano in quel periodo.
Va detto, infatti, che quella specifica operazione ebbe dei risultati disastrosi, perché nel primo semestre del 1973, anziché rafforzarsi anche nei confronti della lira, il dollaro subì un tracollo su scala internazionale (per motivi che in questa sede sarebbe troppo lungo specificare), per cui alla data del 19 luglio, Sindona si trovò a pagare, oltre le perdite, anche le grosse somme determinate dall’accumularsi degli interessi. Ma questo insuccesso non lo fermò e, per rifarsi, si gettò in ulteriori operazioni sui cambi per cifre sempre più alte, fino ad un totale raggiunto nella primavera del 1974, di oltre quattro miliardi di dollari. Il che contribuirà non poco a determinare il suo crollo definitivo.

“Arriva la P2” – Estratto commissione di minoranza sulla P2

Nello stesso periodo (estate del 1977) anche il ” Corriere della Sera ” passava sotto il controllo combinato di Marcinkus e di Roberto Calvi. E qui occorrono due righe di spiegazione. Il grande quotidiano milanese non era di proprietà diretta della ” Rizzoli “, ma dell’ ” Editoriale del Corriere della Sera “, società in accomandita semplice, che, a sua volta, era controllata da tre società per azioni di pari valore (33,33 per cento ciascuna): la “Alpi”, della famiglia
Crespi; la “Crema”, di Angelo Moratti; e la “Viburnum” di Gianni Agnelli.
Quando i Rizzoli, nel 1974, avevano deciso l’acquisto dell'” Editoriale Corriere della Sera “, avevano rilevato in contanti le quote della famiglia Crespi e di Angelo Moratti, mentre si erano impegnati con Agnelli per rilevare, in un secondo tempo, il 33,33 per cento della ” Viburnum “.
Poi, negli anni successivi, le crescenti difficoltà economiche della casa editrice avevano costretto i Rizzoli a cedere in garanzia alla ” Cisalpine “, in cambio di finanziamenti ricevuti, il 100 per cento della ” Alpi ” e il 50 per cento della ” Crema “. In altre parole, i Rizzoli avevano dato praticamente in mano alla ” Cisalpine ” (vale a dire al tandem Calvi-Marcinkus) il 50 per cento della proprietà del ” Corriere della Sera “. Restava ancora libero quel 33,33 per cento
in possesso di Gianni Agnelli che i Rizzoli non avevano ancora potuto riscattare. Ma sempre in quell’estate del 1977, Calvi, questa volta come ” Banco Ambrosiano “, si impadronì della quota Agnelli pagandola 22 miliardi e 500 milioni. E adesso tiriamo le somme. Alla fine dell’estate del 1977, la situazione si presentava come segue: la ” Rizzoli ” era, per l’80 per cento, nelle mani di Marcinkus. Il ” Corriere della Sera “, a sua volta, era così controllato: un 33,33 per cento direttamente da Calvi tramite l’ ” Ambrosiano “; un altro 33,33 (” Alpi “) era integralmente nelle mani della “Cisalpine ” (Calvi-Marcinkus); il restante 33,33 per cento della ” Crema ” era suddiviso in due parti: una metà alla ” Cisalpine ” (sempre Calvi-Marcinkus), l’altra metà, rimasta formalmente alla ” Rizzoli “, era in realtà, anche questa, controllata dallo IOR, che deteneva l’80 per cento della ” Rizzoli “.
Abbiamo così dimostrato (anzi, lo dimostrano i documenti raccolti dalla Commissione) che la proprietà della ” Rizzoli ” e del ” Corriere della Sera “, a partire dall’estate del 1977, fu nelle mani di monsignor Marcinkus e di Roberto Calvi.

Estratto relazione di minoranza della commissione P2 – Giorgio Pisanò