Passando a quanto riferito in concreto dal giudice di appello, con riferimento alle perplessità – così definite – prospettate dal primo giudice e dai difensori, può iniziarsi (…) proprio dalle menzogne riferite dal Fianchini alla giornalista Bonsanti.
Tali menzogne sono pacifiche anche secondo il giudice di appello e concernono due circostanze (Franci dopo l’evasione lasciato legato ad un albero e minacce nei confronti del Franci per indurlo a parlare con i giornalisti) che sul piano logico non possono essere considerate marginali, perché invece si pongono, come lo stesso giudice contraddittoriamente riconosce per le minacce, in insanabile contrasto con l’asserita accettazione del Franci di incontrare volontariamente i giornalisti per ripetere le rivelazioni fatte confidenzialmente al Fianchini.
Peraltro il contrasto logico si estende a tutti l’assunto di fondo del Fianchini, perché incide anche sia sullo asserito scopo della evasione (condurre Franci davanti ai giornalisti per fargli ripetere le rivelazioni) e sia sulla stessa esistenza di tali rivelazioni.
Anche ammesso che la menzogna sul Franci legato ad un albero fosse stata riferita dal Fianchini nel primo incontro con la giornalista del 16 dicembre, come ha ritenuto il giudice di appello, peraltro con ampio ricorso a congetture e supposizioni, e che la menzogna fosse diretta a tacere la possibilità del Fianchini di entrare in contatto con il Franci tramite “Mary” (Maria Salerno) cameriera alla tavola calda, tuttavia resta il fatto che, anche con riferimento alla narrazione specificamente concernente il contenuto della deposizione, il Fianchini indulge alla menzogna, il che costituisce un riscontro negativo superato soltanto da quella inaccettabile affermazione metodologica di cui al paragrafo precedente.
Ma per le minacce, riferibili secondo il giudice di appello al colloquio con la giornalista del 18 dicembre, quando Fianchini dal giorno precedente sapeva, per sua stessa ammissione, della costituzione del Franci, appresa dai giornali, la menzogna non è più spiegabile con la opportunità di tacere della “Mary”.
Ne deriva che giustamente in primo grado proprio su questo punto vennero mosse contestazioni al Fianchini, che, temendo l’arresto per falsa testimonianza, preferì non ripresentarsi, dopo la sospensione, dandosi ad una vera e propria fuga. Allora il giudice di appello, che tanto espressamente riconosce, definisce la menzogna non essenziale non complesso delle dichiarazioni del Fianchini, contraddicendosi la palese, e parzialmente riconosciuta, incidenza sull’assunto di fondo del testimone, ed anche “stupida”, attributo quest’ultima che, a parte ogni altra considerazione, non elimina, anzi aggrava, l’incoerenza del racconto ed ha riflessi sulla personalità del Fianchini, pronto a ricorrere al mendacio del tutto gratuito, anche secondo il giudice di appello.
Il quale, poi, espone un argomento sul piano logico del tutto controproducente: il Fianchini non aveva nessun obbligo di dire la verità ai giornalisti e bene poteva usare “qualche coloritura” anche in conseguenza del tipo di domande che gli venivano poste.
Ma la scelta di rendere pubbliche, attraverso i giornalisti, le asserite rivelazioni del Franci era, come è pacifico, proprio del Fianchini, che, quindi, non poteva esimersi, per essere credibile, di dire la verità, mentre le menzogne, anche se dirette eventualmente a rendere più spettacolari quelle rivelazioni ed a porre in risalto il protagonista Fianchini, sempre sul piano logico danno una cattiva immagine della personalità del Fianchini ed inoltre hanno riflessi negativi sulla coerenza del racconto.
Se poi, come ritiene il giudice di appello, peraltro attraverso una congettura, le menzogne fossero conseguenze di domande della giornalista, questi riflessi negativi diventerebbero più intensi, in quanto quelle domande sarebbero state dirette proprio a saggiare l’attendibilità del Fianchini.
Peraltro, contraddittoriamente ed ancora una volta illogicamente, lo stesso giudice – trattando le dichiarazioni di Orlando Moscatelli al giornalista Giovanni Spinoso – ha ritenuto che a un giornalista si fanno rivelazioni autentiche, perché si possono ritrattare o negare impunemente, mentre altrettanto non è possibile per dichiarazioni alla polizia giudiziaria od al magistrato.
Corrado Carnevale – Sentenza Cassazione Italicus 1987 – pag 44-48
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