(…) è risultato come all’epoca la massoneria – ed in particolare la loggia P 2 – fosse ben presente negli ambienti giudiziari della Polizia e dei Carabinieri di Arezzo. Alcuni questori, il col. Tuminello, comandante del gruppo Carabinieri, due sostituti procuratori della Repubblica, fra cui il dott. Marsili, genero di Licio Gelli.
Può ritenersi altresì verosimile che gli estremisti di destra usciti dal M.S.I., ma non dall’ambiente che gli gravitava attorno (si vedano al riguardo le lucide ed attendibilissime dichiarazioni del Brogi circa le caratteristiche del neofascismo aretino, in contrapposizione a quelle del corrispondente ambiente fiorentino: Vol.B, interrogatorio del 9.1.1986 al G.I. di Bologna) godessero di appoggi e protezioni presso le forze dell’ordine e fors’anche in ambienti giudiziari. E’ certo che il Franci fruì di una notevole benevolenza: la denuncia di una vicina di casa su un fatto non certo banale come la fabbricazione di “pericolose bombe” rimase lettera morta perché -palleggiandosi le responsabilità Questura e Procura della Repubblica – sta di fatto che l’abitazione del Franci non venne perquisita. Lo stesso accadde dopo l’arresto del 23.1.1975, quando la scoperta di armi ed esplosivo presso la Luddi avrebbe dovuto far supporre che anche l’abitazione del Franci potesse contenere almeno materiale utile alle indagini.
Vi sono poi i precisi riferimenti del Brogi alle protezioni di cui il Cauchi godeva presso i Carabinieri, rese verosimili sia dai pacifici rapporti dello stesso Cauchi con un agente del SID, sia dalla possibilità che gli fu data di sottrarsi all’esecuzione dell’ordine di cattura spiccato a suo carico subito dopo l’arresto del Franci e del Malentacchi. Del resto lo stesso Tuti fu avvertito della prossima cattura da una misteriosa telefonata notturna, si che non par dubbio che l’intero gruppo godesse di appoggi, aiuti e vere e proprie complicità nell’ambiente ruotante attorno alla Procura della Repubblica di Arezzo.
Sentenza di Appello processo Italicus 1986 Pag. 430-431