“Tutta la Procura si rivolge a Pertini” – L’Unità 12.07.1981

L’intera Procu­ra della Repubblica di Mila­no si è rivolta a Pertini, nel­la sua qualità di presidente del Consiglio superiore della magistratura, e ai membri del  nuovo organismo perché vi sia una chiara e netta presa di posizione che ponga fine agli attacchi e alle insinua­zioni di cui vengono fatti bersaglio i magistrati che corag­giosamente indagano su Licio Gelli e sulla Loggia segre­ta P2.

Un telegramma, fatto pro­prio e firmato anche dal pro­curatore generale Carlo Ma­rini, è stato inviato a Pertini: in esso si chiede un incontro urgente per trattare di perso­na l’allarmante situazione in cui i magistrati milanesi sono costretti a lavorare. L’inter­vento della Procura generale sottolinea ovviamente, l’asso­luto accordo esistente fra i due uffici e la unanime richiesta di intervento.

Al termine di una lunga e appassionata riunione a cui hanno partecipato tutti i so­stituti procuratori e i dirigen­ti dell’ufficio, compreso il procuratore capo Mauro Gre­sti, i magistrati che rappre­sentano l’ufficio della pubbli­ca accusa a Milano sono sta­ti unanimi: con un articola­to documento essi chiedono chiarimenti sulla campagna diffamatoria che ha investito la magistratura lombarda e pongono risolutamente l’esi­genza che la loro indipendenza non sia messa in discus­sione e minacciata. Anche la procura generale pare in pro­cinto di compiere un passo identico. Il documento della procura non è stato reso no­to alla stampa.

Uno dei fatti più clamoro­si che ha provocato la pro­testa dei magistrati si è ve­rificato due giorni fa. Am­bienti vicinissimi al ministro delle finanze, il socialista For­mica, hanno tentato di attri­buire alla guardia di finanza, e ad un rapporto amministra­tivo da questa stilato sul sui­cidio del colonnello Luciano Rossi, dell’ufficio « I ». Gra­vissime insinuazioni proprio sul sostituto procuratore mila­nese che aveva interrogato l’ufficiale una settimana pri­ma del suo tragico gesto.

Il sostituto in questione è il giu­dice Pierluigi Dell’Osso, ma­gistrato che ha mostrato un grandissimo impegno nell’individuare le fonti segrete à cui ricorreva Licio Gelli. Del­l’Osso ha infatti individuato la strada attraverso cui Gelli è venuto in possesso di un diario dettagliato sullo scan­dalo Eni-Petromin (tangenti a uomini politici dell’area di go­verno pagate dietro il para­vento di commesse petrolifere). Il diario che Gelli aveva, era stato scritto di pugno dall’ex ministro Stammati (ora gli at­ti sono stati inviati all’Inqui­rente). Nell’ambito degli ac­certamenti tesi a chiarire co­me mai Gelli avesse docu­menti dei servizi segreti, Del­l’Osso aveva scoperto che quei documenti erano stati in un primo tempo messi as­sieme da ufficiali della guar­dia di finanza che avevano avuto l’incarico di diradare le tenebre attorno a Licio Gelli e di indagare sul suo conto. Dell’Osso era riuscito ad accertare che l’ex comandante generale Raffaele Giudice (in carcere per lo scandalo dei petroli) nel 1974 aveva sotto­posto ad una sorta di perse­cuzione gli ufficiali che indagavano su Gelli e li aveva trasferiti dopo avere seque­strato le loro carte.

Preziosissima, a questo pro­posito. si era rivelata la de­posizione del colonnello Rossi: questi aveva addirittura in­viato una lettera in cui mani­festava la disponibilità a for­nire ulteriori elementi. Ma qualcuno , cominciò a sorve­gliarlo a Roma e, probabil­mente, a fare pressioni su di lui, evidentemente perché non si recasse di nuovo da Dell’ Osso per deporre. Il fatto è documentato dallo stesso so­stituto procuratore di Roma Domenico Sica che, in un do­cumento inviato a Milano, ha rammentato come, poco pri­ma del suicidio, il colonnello Rossi si fosse accorto che qualcuno gli aveva sottratto perfino dei documenti. Dell’ Osso, insieme ad altri colle­ghi, stava stringendo il cer­chio attorno alle « fonti » anzi attorno alle « talpe » insospettabili che Gelli continua ad avere a disposizione.

E’ a questo punto che ogni sorta di intralcio si è veri­ficata. A cominciare da una discutibilissima e inopportuna rivendicazione di competenza sollevata dalla magistratura romana davanti alla Cassazio­ne. seguita poi da attacchi a livello politico contro l’indipendenza del pubblico ministero e, più in generale, contro tutti i settori della ma­gistratura che indagano e giu­dicano episodi in cui siano coinvolti personaggi legati al­la P2 e a Licio Gelli.

Questi attacchi si sono in­fittiti di recente quando una nuova inchiesta condotta dal­la procura della repubblica ha cominciato a scavare, di nuo­vo sulle tangenti distribuite dall’Eni a uomini politici. E’ questa, come si ricorderà, l’inchiesta che ha portato all’ invio di comunicazioni giudi­ziarie a Di Donna e Fiori­ni, dirigenti dell’Eni. e al so­cialista Claudio Martelli. Si parla ancora di tangenti di miliardi di lire, di conti sviz­zeri e ancora una volta, del Banco Ambrosiano di Rober­to Calvi.

Attacchi e insinuazioni sono stati indirizzati anche al tri­bunale che sta giudicando Calvi per esportazione di ca­pitali. Ieri da Milano è partita un’altra lettera importante. L’hanno spedita il sostituto pro­curatore Guido Viola e il giu­dice istruttore Giuliano Tu­rone. La lettera è indirizzata al presidente del consiglio superiore e alle procure del­la repubblica di Brescia e di Roma. I due magistrati fan­no riferimento alla scoperta manovra proveniente da Gelli che attribuisce loro conti all’estero come compenso per un loro, rabbonimento.

« In merito alle notizie re­lative a pretesi rapporti ban­cari accesi a nostro nome e a nostra, insaputa — scrivo­no Viola e Turone — presso banche della Confederazione elvetica chiediamo che siano svolte con la massima: urgen­za e incisività le più appro­fondite indagini. Per quanto ci riguarda nessun segreto bancario potrà essere prete­stuosamente invocato e, an­zi, chiediamo che siano fatti, a tutti i livelli possibili, i dovuti passi perché detto segreto non venga frapposto da chicchessia ». I due magistrati vogliono sottolineare la loro assoluta estraneità, e bloccare ogni effetto possibile della mano­vra di Gelli. E’ chiaro, infatti, che il se­greto bancario elvetico può operare solo nel caso che an­che il diretto interessato sia d’accordo. Non è un caso che nessuno di coloro inquisito per le carte sequestrate a Gelli contro la sua volontà (e non fatte trovare) si è fin qui dichiarato disponibile à tanto.

Pubblicità