Una vittima, e importante, anche nella macchina dello Stato: dalle 11,45 di martedì 4 giugno, l’Ufficio informazioni generali e sicurezza interna (fino a tre anni fa si chiamava Ufficio affari riservati) non esiste più. Secondo molti lo scioglimento a pochi giorni dalla strage ha un preciso significato politico. « Era un ufficio tanto preoccupato di scoprire o inventare sovversioni a sinistra da non vedere le centrali eversive fasciste e che comunque non ne ha mai impedito le gesta delittuose », dice Alberto Malagugini, deputato milanese, uno degli esponenti più qualificati del Pci.
Duecento uomini in tutto tra funzionari, impiegati e scrivani, dal 1969 in poi l’ufficio era stato al centro di aspre polemiche tra le diverse parti politiche. Da sinistra e da destra, in particolare, si erano accusati i suoi dirigenti di utilizzarne i fondi e le strutture per influenzare subdolamente la vita politica italiana. Giorgio Almirante, segretario del Msi, per esempio, aveva detto esplicitamente che Stefano Delle Chiaie, leader del gruppo estremista di destra Avanguardia Nazionale, era in realtà un agente di Umberto Federico D’Amato, il questore che dirigeva l’ufficio dal 1971 (Delle Chiaie, ricercato perché sospettato di essere coinvolto nella preparazione della strage di piazza Fontana a Milano, dal dicembre 1969, è tuttora latitante). E il predecessore di D’Amato, Elvio Catenacci, era stato incriminato (ma poi prosciolto) dal giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio per non aver comunicato alla magistratura i risultati della perizia sul brandello della borsa che aveva portato la bomba in piazza Fontana.
In sostanza, l’ufficio veniva visto da molti come uno dei centri motori della cosiddetta « strategia della tensione », che tenendo l’Italia sotto la costante paura di atti violenti da destra o da sinistra, era destinata a favorire i partiti di centro. A questo serviva anche la teoria degli « opposti estremismi », e cioè che le bombe e gli attentati potevano essere di colore rosso o nero.
In stretto contatto con il Sid, il Servizio militare di informazioni (due motociclisti facevano tutti i giorni la spola tra le due sedi per consegnare plichi, copie di telegrammi, fonogrammi, tutti chiusi in doppie buste con la dicitura « riservatissimo »), oltre che con la Cia (il controspionaggio degli Stati Uniti) e i servizi segreti Nato, l’ufficio era sospettato di avere raccolto informazioni anche su tutti i principali personaggi della vita pubblica italiana attraverso il lavoro di un piccolo esercito di informatori prezzolati (da lire 50 mila in su), e di avere mobilitato schiere di collaboratori specializzati in sabotaggi, terrorismo, falsificazione di documenti.
Nato a Marsiglia ma vissuto sempre a Napoli, esperto di culinaria e di opere d’arte, 54 anni, D’Amato non interpreta lo scioglimento dell’ufficio (è stato incorporato nell’ispettorato antiterrorismo affidato a Emilio Santillo, già questore a Reggio Calabria, a Genova e a Torino) come una misura punitiva. È stato formalmente promosso a dirigere il servizio frontiere e trasporti (con 18 mila uomini alle dipendenze) e a chi gli ricorda i sospetti delle sinistre controbatte di essere stato lui a denunciare alla magistratura organizzazioni fasciste come il Mar e Ordine Nuovo (« Di una cosa sono certo », dice Adolfo Sarti, per cinque anni sottosegretario all’Interno: « D’Amato è un vero antifascista»).
Restano due interrogativi: a chi andranno in mano gli scottantissimi dossier dell’ufficio? E chi pagherà ora le legioni dei suoi informatori?