(…) Il 13 e il 14 marzo, finalmente, la sedicente maggioranza silenziosa e la minoranza sediziosa si incontravano ufficialmente a Milano e a Roma e sfilavano insieme fino a piazza del Duomo e all’Altare della patria.
A Milano la manifestazione veniva organizzata dai componenti del circolo Jan Palach, sede in uno scantinato squallido fuori e lussuoso dentro di corso di Porta Nuova 14: 15 mila manifesti e 100 mila volantini. Attivissimi co-organizzatori erano i comitati dei genitori di alunni dei licei dove più dura era stata la contestazione di sinistra (e più numerose le violenze) e il comitato di agitazione degli avvocati contro la riforma tributaria, con alla testa Adamo Degli Occhi.
Alla manifestazione, sabato 13 marzo, aderiva il capogruppo democristiano in Comune, Massimo De Carolis, 30 anni, avvocato, 7.100 voti preferenziali (« Ora conto di prenderne 15 mila », dice), promotore anni fa, all’università Cattolica, di una lista elettorale di destra e attualmente pupillo politico dell’onorevole Carlo Sangalli, andreottiano. Aderiva Vittorio D’Ajello, 47 anni, capogruppo socialdemocratico in Comune, avvocato (adesso è pentito: « La manifestazione è degenerata », dice, « per la strumentalizzazione che hanno tentato di operare elementi fascisti nel corteo »).
Per la strada, tra gli altri, si erano infilati anche molti picchiatori fascisti (a cui la polizia aveva fatto sapere, tuttavia, che un solo saluto romano o un solo grido fascista sarebbe bastato a farli arrestare). C’erano un centinaio di giovani del « servizio d’ordine » di destra. C’era, per esempio, Luciano Buonocore, 26 anni, più volte protagonista, arrestato e denunciato, di episodi di violenza di destra. C’era Franco Rosario Mojana, leader del gruppo Alfa, dell’università Cattolica, specializzato in incursioni violente contro aderenti al Movimento Studentesco. C’era Gian Luigi Radice, anche lui pluri-denunciato per episodi di violenza.
Nonostante la loro presenza, il corteo restava ancora, nell’opinione di chi lo doveva controllare, una manifestazione non fascista: « Era soprattutto gente che per mesi aveva visto il centro bloccato dai dimostranti di sinistra. Erano commercianti di San Babila, di corso Vittorio Emanuele. C’erano molte donne in pelliccia, che salutavano le amiche alle finestre, le invitavano a scendere. Per questo, molta gente, che fascista non era, si unì al corteo ».
Nella manifestazione di Roma, il giorno dopo, domenica 14 marzo, era invece chiara l’impronta eversiva fascista. La manifestazione qui era organizzata dalla neo-costituita Associazione amici delle forze armate, nata a Trieste e poi gravitata verso Roma, dove abita il suo attuale segretario, Gino Ragno, 38 anni, collaboratore del quotidiano II Tempo, scapolo sempre circondato da belle donne.
Già iscritto alla Dc, poi al Msi, già segretario della sezione di Roma della Giovane Italia, espulso nel 1957 dal Msi, amico personale di Franz Josef Strauss, il capo della destra democristiana tedesca, nel ’62 Ragno ha fondato l’Associazione per l’amicizia italogermanica. In questo momento non è iscritto a nessun partito: ma la notte del 7 giugno festeggiava il successo elettorale del Msi nella sede di via Quattro Fontane 25, a Roma.
« Noi vogliamo gettare un ponte tra l’opinione pubblica, le forze armate e le forze dell’ordine, costantemente vilipese e insultate », dice Ragno, nel quartier generale dell’associazione, un appartamento a cassettoni dorati e stoffa alle pareti, in un palazzo di corso Vittorio dove hanno sede anche l’Istituto di studi militari e l’Associazione di studi parlamentari. « La manifestazione al cinema Adriano era anche per solidarizzare col ministro Restivo, contro la casa del quale erano state lanciate, pochi giorni prima, due bottiglie Molotov ».
Ma quella mattina all’Adriano, i tre oratori, cui era stato raccomandato di essere brevi per non far prendere pioggia al corteo, toccarono altri temi. « Ci incamminiamo verso una guerra civile », disse il generale Giuseppe Valle, capo di Stato maggiore dell’Aeronautica fino al 1939. E Ferdinando Berardini, presidente della Federazione nazionale arditi d’Italia: « Bisogna far diventare fiamma rovente il clima caldo che siamo riusciti a conseguire ».
Per le strade il corteo scandì, punteggiandoli di saluti romani, slogan come « Basta con i bordelli, vogliamo i colonnelli », « Ankara, Atene, adesso Roma viene ». A deporre la programmata corona all’altare della patria, davanti al picchetto d’onore dei granatieri, ordinato in servizio dal comando militare di Roma, si presentarono sotto braccio, in prima fila, accanto all’ex-capo di Stato maggiore generale Giorgio Liuzzi, l’ex- capo del Sifar, generale Giovanni De Lorenzo, ora deputato monarchico, il deputato missino Giulio Caradonna e lo squadrista Mario Gionfrida, monco perché anni fa una granata che intendeva lanciare contro un gruppo di comunisti gli era esplosa in mano.
Discrezione. A definire il tono della manifestazione basta oggi la dichiarazione di Alfredo Covelli, segretario del Pdium, anche lui presente quella mattina in prima fila: « Io partecipai alla manifestazione, ma non sapevo che sarebbe degenerata in una squallida esibizione di estrema destra extra-parlamentare ». Alcuni deputati democristiani, che avevano mandato la loro adesione per telegramma, la ritirarono dopo aver letto le cronache.
Come per Covelli, e in maggior misura man mano che ci si spostava a sinistra nello schieramento politico, i toni deliranti della manifestazione di Roma vennero interpretati come un campanello d’allarme.(…)