Altri, ben più significativi ed articolati messaggi il Buzzi aveva, però, lanciato in precedenza e costituiscono, ora, la riprova più vera e clamorosa del suo agitarsi e del suo minacciare specifiche rivelazioni riguardanti la strage di Brescia.
Giaceva, infatti, negli archivi di questo Ufficio un fascicoletto (recante i NN. 2159/80-C P.M. e 1285/81 -C G.I.) che, opportunamente riesumato, si è rivelato uno “scrigno” preziosissimo in quanto contenente appunto messaggi di fondamentale importanza, sufficientemente chiari e decifrabili nel loro tenore letterale e sostanziale, ma decisamente oscuri e criptici sotto il profilo della loro provenienza; aspetto, quest’ultimo, che aveva finito, a suo tempo, per oscurarne anche i contenuti e per decretarne – dopo un’infruttuosa indagine – l’assegnazione all’archivio. L’intuizione che l’enigma potesse essere sciolto con una attribuzione di quegli scritti (rectius: dattiloscritti) al Buzzi, ha indotto a svolgere tutta una serie di accurati accertamenti (esame delegato alla polizia scientifica; escussione dei testi M.llo Alberto La Prova -Brig. Carmine Paragliola; perizia tecnografica) che, alla fine hanno pienamente confermato la bontà di quella intuizione, riconducendo senza ombra di dubbio i documenti in questione alla persona del Buzzi.
Ciò posto, va detto che trattasi di due missive dattiloscritte (anche la scelta del tipo di strumento con cui scrivere appare significativa), datate 7/XI/1980 e 15/XI/1980, che l’apparente autore (si noti che la prima reca una sottoscrizione, mentre la seconda -quasi un segno della titubanza del vero autore a tentare un’altra sottoscrizione – presenta in calce solo le iniziali battute a macchina), Angelo Falsaci (persona realmente esistente, già imputata nel processo M.A.R.-Fumagalli, ma, guarda caso, latitante all’epoca delle missive; e viene spontaneo osservare che la scelta stessa di tale persona, e soprattutto di tale nome, è – come suol dirsi – tutto un programma, in termini di allusive “assonanze”), indirizzò rispettivamente al Magistrato di Sorveglianza di Brescia, e, si badi, allo stesso Buzzi (che subito si premurò di far avere la propria, e cioè quella del 15 novembre, al predetto magi strato).
Ora, nella prima delle due lettere, l’autore tra l’altro dichiara di sapere che “la strage di Brescia è stata fatta dai Sanbabilini” e che la bomba “è stata messa nella spazzatura da uno di Milano e da uno di Lanciano” (dove era ed è trasparente ed inequivoco il riferimento alla coppia Ferri-Benardelli). Con la seconda si informa il destinatario apparente (Buzzi) dell’invio della precedente al Magistrato di Sorveglianza e lo si assicura che in appello, grazie a decisive rivelazioni, egli sarà scagionato.
Oltre ai contenuti (che si commentano da soli), lo straordinario è che – come si è appurato attraverso l’indagine tecnografica – Buzzi (ossia il vero autore) aveva lasciato in e con entrambe le lettere in discorso, in special modo con le scritturazioni sulla busta della seconda (che dovevano farla apparire come proveniente dall’esterno del carcere), segnali tali che si potesse, sia pure con qualche sforzo, risalire a lui, ma che, solo all’esito dell’indagine ora espletata, sono stati decifrati (si ponga altresì attenzione al bollo, risultante privo di timbro postale; e si prendano in ulteriore esame comparativo – per quanto attiene ancora alla scritturazioni citata – in particolare la scritta “Ex minori” presente sulla busta de qua, vero e proprio segno di paternità del Buzzi, e le analoghe, ma diversissime, scritte – queste davvero apposte da agenti di custodia – presenti su buste di corrispondenza indirizzata al Buzzi e rinvenuta nella sua cella di Novara: v. Fald. “A”, allegato II0).
Quanto alle ragioni di assoluta superfluità, che hanno sconsigliato di spingere l’accertamento peritale fino a ricomprendere la palesemente apocrifa firma “Angelo Falsaci” della missiva 7/XI/80, sia consentito rinviare al provvedimento già preso, sul punto, a seguito di specifica istanza della difesa Ferri (in breve: nelle precedenti indagini, il Falsaci, una volta costituitosi, venne appositamente esaminato e potè disconoscere quella sua apparente sottoscrizione, oltre che naturalmente il riferimento a lui dei contenuti della missiva; e il disconoscimento venne confermato da un accertamento di polizia scientifica, disposta allo scopo).
Per soffermarsi ancora un momento sul senso e sulla portata di quanto ora scaturito dalla lettura piena, come “in trasparenza”, delle carte dello “pseudo-Falsaci”, è proprio il caso di sottolineare il dato più emblematico che emerge dalla situazione considerata. Si vuol dire cioè che il Buzzi (sia pure sotto le predette mentite spoglie, ponendo però particolare attenzione e cura a non rendere troppo impenetrabile la studiata mascheratura, ed al preciso fine di far recepire comunicazioni e notizie dichiaratamente favorevoli al condannato all’ergastolo in primo grado – Buzzi stesso – per la strage di Brescia, poiché caratterizzate da contenuti che la responsabilità di tale delitto proiettavano in ben diverse e riconoscibili direzioni) si rivolse non già a persone qualsiasi, ma ad un organo giudiziario (tanto più impersonato da qualificato magistrato, per la sua funzione stessa e per il precedente incarico svolto, all’epoca dell’eccidio, presso la Procura della Repubblica di Brescia, avente sicuramente una buona conoscenza dei fatti e dei personaggi del processo “strage”), organo che, come tale, non poteva tenere per se quelle comunicazioni ma doveva rimetterle – come in effetti fece – agli uffici inquirenti.
Un altro aspetto, la cui singolarità non può sfuggire ormai ad alcuno, è quello rappresentato dal senso di una missiva(quale fu la seconda indicata) che risultava trasmessa al Buzzi stesso, ad informazione dell’avvenuto invio della precedente (insomma, quasi una “copia per conoscenza”); con la conseguenza che il Buzzi (che – come si è detto – sintomaticamente si affrettò a consegnarla al Magistrato di Sorveglianza, in tal modo apportando quella che non poteva non apparire come una solida conferma della prima lettera) finiva per risultare, agli occhi dell’Autorità Giudiziaria, egli stesso informato delle novità, potenzialmente decisive, che riguardavano le sue sorti di imputato appellante, e per collocarsi in posizione quasi di controllore interessato ed attento degli sviluppi delle indagini che sarebbero state avviate al riguardo.
Se dunque questa – come tutto concorre a far ritenere – è l’interpretazione della vicenda (unica a rivelarsi – purtroppo con ritardo – in termini cosi netti); se dunque Buzzi arrivò ad architettare tanto, altrettanto plausibile è che egli numerose altre volte si sia mosso – con altre modalità, con altre cautele, rivolgendosi ad altre persone, facendo leva su altri rapporti e con inserimenti in contesti diversi, direttamente o indirettamente – nelle medesime direzioni e con gli stessi scopi.
Il riflesso dei segnali lanciati dal Buzzi infatti non si ferma e non si esaurisce qui. Per esempio, sulla stessa linea delle due menzionate lettere, si colloca altra sua missiva – questa volta non per apparenti interposte persone – anch’essa indirizzata al medesimo Magistrato di Sorveglianza: trattasi della lettera 5/4/1981, compresa negli atti novaresi, nella quale, tra l’altro, il Buzzi proclama la propria ferma intenzione evidentemente di battersi in appello, se – come dice – sicurissimamente non rinuncerà a comparire in udienza, come spesso aveva invece ritenuto di fare nel corso del giudizio di primo grado.
Sentenza ordinanza processo per la strage di Brescia 1986 pag 18-22
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