“Italicus: Gli imputati fascisti minacciano di morte e insultano” – L’Unità 24.11.1981

Minacce di morte, insulti, urla, inviti intollerabili allo «scontro fisico»: i fascisti hanno inscenato la più clamorosa e ignobile delle gazzarre da quando, davanti ai giudici della Corte d’Assise di Bologna, è cominciato il processo per la strage dell’Italicus. L’hanno scatenata puntualmente — come è accaduto quasi sempre in questi giorni — quando, durante l’interrogatorio di Franci, l’imputato si è trovato d’improvviso in difficoltà. Alle incredibili ingiurie degli imputati contro i legali di parte civile si è aggiunto anche il difensore avvocato Oreste Ghinelli, ex federale del MSI di Arezzo, sicché in breve la grande aula si è trasformata in una bolgia che il timido presidente Negri di Montenegro ha sedato con molte difficoltà.
È sfociato tutto, alla fine, in un procedimento incidentale per direttissima (reati: minacce e offese) contro Franci e Pietro Malentacchi e terminato in una assoluzione, visto che gli imputati, durante la sosta del dibattimento, avevano recuperato la calma, dichiarato che minacce e insulti erano frutto della concitazione e nulla avevano di personale contro gli avvocati di parte civile.
L’incidente è chiuso, ma le frasi ingiuriose, le minacce, che non sono entrate a far parte della storia giudiziaria, restano, in tutta la loro gravità, nella memoria di chi le ha udite. E non è casuale che tutto questo è accaduto, qui a Bologna, dove c’è Tuti imputato, mentre a Brescia si apriva il processo d’appello per la strage di piazza della a senza il principale imputato, Ermanno Buzzi, che proprio Tuti ha provveduto a far tacere per sempre stringendogli al collo una stringa da scarpe. Una semplice coincidenza, dunque il pandemonio di ieri?
Il clamoroso incidente è cominciato quando il Pm Persico stava cercando di ricostruire la data in cui aveva cominciato a operare il gruppo terrorista aretino comandato dal Tuti e aveva citato la testimonianza di un fascista, Francesco Bumbaca, secondo il quale già nel 1972 Tuti, Franci, Malentacchi, la Luddi, Augusto Cauchi e altri erano assieme. Gli imputati fissano, invece, la data d’inizio della loro «campagna terroristica» nel dicembre 1974, cioè dopo la strage dell’Italicus.
Su questa circostanza – non marginale — le contraddizioni non sono poche. Franci dice: «Fu il 26 dicembre 1974, quando andai a rubare l’esplosivo per l’attentato alla camera di commercio di Arezzo in una cava. Eseguii il furto da solo e l’attentato fu ideato e organizzato da me». In un memoriale del 25 luglio 1975, invece, Mario Tuti ha scritto che il furto fu compiuto da Franci e Claudio Pera agli ordini di Marco Affatigato (il fascista, che si dice, sia legato ai servizi segreti, il cui nome è circolato durante la prima fase dell’inchiesta sulla strage della stazione). E quel furto, ha precisato Tuti, fu compiuto il giorno di natale del 1974.

Ora Tuti dice che quel memoriale è falso, che l’hanno scritto i servizi segreti per incastrare Affatigato. Sarà vero? La contraddizione tra Franci e Tuti ha permesso di far dire al Pm, rivolto a Franci: «Allora lei dà del bugiardo a Tuti, è il primo che ha questo coraggio». E Franci ha replicato: «Glielo dà lei del bugiardo…”. A questo punto l’avvocato Filastò, di parte civile, è intervenuto per una precisazione e subito Franci gli ha sibilato contro:
«Filastò, cammina, va’ sciacallone!». È insorto l’avvocato Gamberini, anch’egli di parte civile, ricordando al presidente (che non era intervenuto con Franci) che non può permettere in aula simili comportamenti.
E qui è cominciata la bufera, con Malentacchi che urlava, all’indirizzo di Gamberini: «Vieni qua che ti secco io».
E mentre, finalmente, il presidente interveniva cacciandolo dall’aula: «Cornutone, imbecille».

La rissa è continuata dopo una breve sospensione che non era servita a placare le ire degli imputati e alla seconda parte della clamorosa gazzarra hanno partecipato anche l’avvocato Oreste Ghinelli (che ha accusato i legali di parte civile di essere dei «senza Dio» e Mario Tuti che fino ad allora era rimasto composto. A un certo punto Tuti ha cercato di arrampicarsi sulle sbarre per saltare dall’altra parte, nell’emiciclo, e a un carabiniere che lo tratteneva ha mostrato il pugno davanti agli occhi. Alla fine, il Pm ha chiesto l’apertura del rito direttissimo per offese e minacce, conclusosi però, come abbiamo detto, nell’assoluzione. Di questa dodicesima e drammatica udienza resta da dire che, ancora una volta, gli imputati sotto interrogatorio cadono molto facilmente in contraddizioni e appena sono in crisi cominciano le manovre per interrompere l’azione di demolizione del Pm o delle parti civili. Una tattica? Forse. È certo, comunque, che, se di tattica si tratta, finora i fascisti l’hanno potuta attuare senza troppa fatica. Difficilmente, infatti, gli arriva un richiamo o una semplice ammonizione.

Gian Piero Testa, L’Unità 24.11.1981