L’arresto di Elio Ciolini; le sue dichiarazioni, il suo contegno processuale – terza parte

Poiché peraltro l’attività istruttoria era in pieno svolgimento e, come si e’ notato nella verbalizzazione sopra riportata, il CIOLINI aveva fatto riferimento a suoi contatti, non certo limpidi, con almeno un funzionario del Ministero dell’Interno, si ritenne di non poter formalizzare l’indicazione della fonte. Si inviò quindi al Ministero una nota in cui veniva riportato il contenuto della lettera del CIOLINI, con la precisazione che il G. I. nulla poteva dire (come peraltro era ovvio) circa l’attendibilita’ delle notizie riportate. La comunicazione suddetta provocò uno stato di preallarme in tutto il territorio dello Stato e divenne di dominio pubblico come pure divenne di dominio pubblico il fatto che la fonte delle notizie suddette era Elio CIOLINI.
E’ assai grave che il Ministero degli Interni non abbia mantenuto il dovuto riserbo sulle informazioni ricevute. Infatti la pubblicazione dell’informativa CIOLINI da parte di detto Ministero ha reso di dominio pubblico una delicatissima situazione istruttoria che poteva produrre qualche utile risultato ed ha procurato nell’opinione pubblica un allarme ingiustificato, gettando così fra l’altro discredito sull’istruttoria in corso. Si deve inoltre constatare che, per quanto noto a questo G.I., a tutt’ oggi non sono stati ancora individuati i responsabili di tale fuga di notizie. Il clamore creato attorno al CIOLINI non fu peraltro l’unico motivo di perturbazione delle attività’ istruttorie. Infatti già’ lo stesso CIOLINI aveva pensato a creare due situazioni completamente assurde, tali da inficiare definitivamente la sua credibilità’.
Si è già notato che aveva affermato di aver ricevuto la carta d’identità’ a nome Lando SANTONI da un suo misterioso referente. Le indagini di P.G. sul punto dimostreranno invece che il CIOLINI si era procurato questo documento presso un ufficio del Comune di Firenze pagando dei testimoni di comodo affinché’ attestassero falsamente la sua identità (v. rapporto Carabinieri Firenze del 8.3.92 e p. v. di Laura PICIERNO al G.I. 4.4.92, Onorato PIERALLINI al G.I. 3.4.92, Roberta RANFAGNI al G.I. 3.4.92, Lando SANTONI al G.I. 3.4.92).

Inoltre il CIOLINI, sentito il 10 marzo ’92, quando già’ dunque aveva inviato all’ufficio la nota lettera, ma questa non era ancora stata girata al Ministero degli Interni, dichiaro’ di disporre, in Italia, di annotazioni risalenti al 1986, utili per ricostruire la vicenda del depistaggio. Rese queste dichiarazioni tendendo a drammatizzare la situazione ed i pericoli cui si esponeva ed esponeva i giudici. Successivamente, quando il caso era già’ esploso, il 25 marzo 1992, l’Ufficio si premuro’ comunque di sentire nuovamente il CIOLINI per procedere all’acquisizione di detto materiale documentale e questi effettivamente indico’ il luogo ove era custodito. Si trattava dell’abitazione di tale Olga CHIOSTRI, di Scarperia, che a quel tempo ospitava presso di sé una donna peruviana che il CIOLINI affermava essere sua moglie.

Ci si recò immediatamente a Scarperia, ove presso la CHIOSTRI venne effettivamente rinvenuto un plico di documenti. In proposito la donna disse di averlo ricevuto dal marito Antonio CALOIA, detenuto nel carcere di Sollicciano assieme ad Elio CIOLINI, che l’aveva appunto incaricato di farle pervenire dette carte, nascoste in mezzo alla biancheria sporca. La donna precisò che ciò era avvenuto il 21 marzo: si noti, cioè dopo l’interrogatorio del 10 marzo nel cui contesto CIOLINI aveva preannunciato la sua disponibilità a far rinvenire importanti documenti. Emerse poi che detti documenti non erano altro che un confuso manoscritto dello stesso CIOLINI, tutto vergato con una delle penne di cui disponeva nel carcere di Sollicciano, come messo chiaramente in evidenza dagli accertamenti tecnici curati dal C.I.S. dei Carabinieri (v. rapporto 10.10,. e 26.10.’92). A questo punto il comportamento del teste apparve soltanto grottesco e si desistette pertanto da ulteriori attività’ istruttorie concernenti la questione, senonché il CIOLINI insistette per essere nuovamente sentito adducendo di disporre ancora di notizie sulla strage di Bologna, sino a quando, nel febbraio del ’93, si diede infine corso agli ultimi interrogatori.

Anche in questi si intrecciano brevi momenti di verità’ con menzogne che divengono sempre più’ assurde ed insensate, inidonee, come evidentemente sono, sia a dare qualche contributo di verità che a condizionare in qualche maniera lo sviluppo dell’istruttoria. Anche CIOLINI ha voluto addurre, in questa ultima fase, un turbamento psichico, che l’avrebbe indotto a mentire: “Ho seguito qui in carcere una terapia psichiatrica, tuttora in corso, che mi ha fatto comprendere in che stato di confusione mi trovassi…mi ero illuso di essere un protagonista; se sapevo l’un per cento di una certa cosa ero convinto di conoscerla per intero; insomma mi trovavo in una situazione di grande confusione. Ho visto che la pubblicità’ attorno al mio nome mi ha portato solo danni e voglio che il caso CIOLINI venga dimenticato. Con questo nuovo atteggiamento intendo tuttavia fornire un contributo di verità’ circa i fatti a mia conoscenza…” (Elio CIOLINI al G.I. 3.2.93).

Fatta questa premessa, tuttavia, CIOLINI ha persistito nei suoi atteggiamenti consueti escogitando un improbabile intercettazione “ambientale” di un colloquio fra PAZIENZA e FEDERICI dalla quale avrebbe appreso che responsabili della strage di Bologna erano due libici, deceduti nel corso dell’attentato. Informato dall’Ufficio che fra le vittime della strage non vi era nessun libico, ne’ comunque alcun cittadino di paesi arabi, CIOLINI modifico’ nuovamente la propria versione, indico’ gli autori della strage in due noti terroristi mediorientali ed asserì’ di aver tratto tali informazioni da un documento dell’F.B.I., che aveva avuto occasione di esaminare grazie alla sua attività’ presso una fondazione statunitense alle dipendenze del senatore Averel HARRIMAN. In questa esposizione, naturalmente, entro’ in gioco anche la strage di Ustica, attribuita dal CIOLINI al fallito tentativo di abbattere l’aereo su cui stava volando GHEDDAFI ed anzi, secondo il CIOLINI fu proprio questo tentativo a scatenare la reazione libica e a determinare la strage di Bologna.

Non vale la pena di soffermarsi su queste insensate affermazioni inserite in un contesto che, come si e’ visto, e’ connotato non solo da menzogne, ma anche da assurdi espedienti per ingannare i giudici. Solo pochi passaggi degli ultimi interrogatori del CIOLINI (al G. I. 3.2.93) meritano attenzione.
Fra questi, senz’altro quello in cui ristabilisce la verità’ sulla posizione del Col. REITANI:
“…SPORTELLI e REITANI non c’entrano nulla nell’attività’ di depistaggio. Il REITANI e’ venuto a trovarmi in carcere a Champ Dollon due o tre volte, ma si e’ solo limitato a chiedermi cosa avevo da dire sul caso TONI-DE PALO. Lo SPORTELLI l’ho incontrato invece solo una volta a Ginevra quando ero libero. Il depistaggio, dunque, e’ stato posto in essere da FEDERICI, da me e dal MOR. Quest’ultimo, come ho già’ detto, e in questo caso dicevo il vero, mi ha fornito tutta la documentazione e tra l’altro i moduli utilizzati per far apparire l’esistenza di un conto svizzero intestato a MARTELLI ed il documento con la firma apocrifa di DE MICHELIS. Rispetto a quanto verbalizzato devo fare una precisazione, cioè’ che il Console MOR mi ha consegnato, in carcere a Ginevra, i documenti che ora ho detto, nonche’ tutto il materiale relativo al caso TONI-DE PALO. Il FEDERICI, per parte sua, prima ancora del mio arresto, anzi della mia costituzione in Svizzera mi ha consegnato il materiale necessario per costruire il depistaggio di Bologna, cioè’ i dati relativi all’ENI- PETRONIM, la lista dei presunti massoni della Loggia di Montecarlo ed altro materiale -ricordo che era molto- necessario per ordire il depistaggio. . .”.

Da queste ultime dichiarazioni emerge chiaramente la natura calunniosa delle originarie dichiarazioni del CIOLINI sul Col. REITANI. Ne è seguita quindi un’ulteriore imputazione per calunnia che, conformemente alla richiesta del P. M. , va stralciata da questo procedimento e trasmessa alla Procura della Repubblica di Firenze, su di essa competente per materia e territorio. Dalle ultime dichiarazioni del CIOLINI emerge inoltre la sua persistenza nell’accusare il console MOR di aver contribuito all’azione di perturbamento delle prime indagini sulla strage di Bologna con le modalità già dette, cioè istruendolo sulle cose da riferire ai magistrati e fornendogli documenti. Si è già rammentato che il Console è stato prosciolto in istruttoria dal G. I. di Firenze con sentenza del 20.11.90.
Detta sentenza individua a carico del MOR i seguenti elementi indiziari:

– la particolarità dei rapporti del Console con il CIOLINI;

– l’assiduità nelle visite fatte al CIOLINI (21, di cui 14 da solo);

– la disponibilità di documenti da parte di un CIOLINI detenuto;

– le garanzie fornite da MOR sull’attendibilità del testimone:

– i rapporti del MOR con il S.I.S.M.I..

In particolare, poi, nel processo fiorentino sono da registrare le dichiarazioni di Bruno FERRARIO, che mette in luce sia i rapporti MOR-GELLI che i rapporti CIOLINI-MOR e CIOLINI-FEDERICI (notati talvolta dal teste assieme -accusatore e accusato- mentre andavano alla stazione a comprare i giornali italiani). Nonostante questo forte quadro indiziario il G.I. giunge al proscioglimento sulla base dell’assunto che l’attività’ calunniosa del CIOLINI sarebbe da attribuire ad un’iniziativa esclusivamente di quest’ultimo cosi che l’affermato concorso del MOR non sarebbe di alcuna utilità alla determinazione dell’evento e sarebbe, insomma, privo di senso. Così si esprime in proposito la sentenza:

“… a giudizio dello scrivente, non si può del tutto escludere che CIOLINI si sia mosso, almeno all’inizio, da solo, spinto dalla necessita’ di inventare qualcosa che lo tirasse fuori dal carcere di Ginevra e, magari, lo facesse entrare nei nostri Servizi…Un complotto del S.I.S.M.I. deviato che sfrutta il CIOLINI deve fare i conti con le invenzioni e la documentazione prodotta, che non brillano certo per accortezza e capacita’ professionale, e che hanno portato ad accuse a carico del GELLI; per non dire che lo stesso CIOLINI accusa del complotto non solo GENTILE (e in maniera assai più blanda altri magistrati) e GELLI, ma anche REITANI e MOR, che secondo FEDERICI era massone (c. 181 fasc. 11/1) e dirigente del S.I.S.M.I. (c. 364 fasc. 12 cart. 1); MOR, ancora sul quale, aveva detto GIOVANNONE, PAZIENZA poteva far affidamento in caso avesse avuto bisogno di qualcosa a Ginevra (PAZIENZA a C. As. Bologna, cart. 10/E)…”.

Occorre qui considerare che non solo dalle dichiarazioni rese dal CIOLINI, ma anche da una serie di altri innumerevoli elementi acquisiti nel corso di questa istruttoria (in particolare e fra l’altro si fa riferimento a quelli riportati in questo capitolo e nel capitolo concernente la posizione del Col. MANNUCCI BENINCASA) è emerso che quella del CIOLINI non è stata certamente una iniziativa isolata dettata da motivazioni individuali e che, anzi, ha rappresentato il momento terminale di un ben coordinato disegno di sviamento delle indagini, ordito certamente da persone interne a quel gruppo individuato come “SUPERSISMI” , le quali -si ricordi- sono già stati condannati in grado d’appello per la nota operazione “Terrore sui Treni”. Sono dunque emerse nuove prove che attaccano in radice il ragionamento in forza del quale il G. I. di Firenze è pervenuto al proscioglimento istruttorio del MOR.

Valuterà quindi la Procura della Repubblica di Firenze se alla luce delle risultanze di questa istruttoria, debba essere richiesta la riapertura delle indagini a carico di Ferdinando MOR relativamente al delitto di concorso in calunnia dal quale era già stato prosciolto dal G. I. di Firenze, sempreche’ questo non debba ritenersi prescritto.

Sentenza ordinanza Italicus bis pag 247-251