Massimo CARMINATI, quando si intromise, per come ho già riferito, nelle trattative per la liberazione di Paolo ALEANDRI, dietro restituzione di un “borsone” di armi equivalente a quello andato perduto, già conosceva e frequentava, unitamente ai fratelli BRACCI e ad Alessandro ALIBRANDI, Franco GIUSEPPUCCI. Questi, per quanto ora ricordo, quando Massimo CARMINATI si intromise, ce ne parlò come di persona di un certo rilievo nell’ambiente del terrorismo di destra. Sempre per quanto mi è dato di ricordare, peraltro, sino a quel momento, non esistevano rapporti particolari tra il CARMINATI ed il GIUSEPPUCCI, legati ad attività criminali. Fu successivamente all’interessamento del CARMINATI per la restituzione delle armi che il gruppo di costui entrò in rapporti di “affari” con Franco GIUSEPPUCCI, stanti le possibilità che questi aveva di riciclare e reinvestire i proventi delle rapine. Come ho già detto, Franco GIUSEPPUCCI era un accanito scommettitore e, per tale sua passione, frequentatore di ippodromi, sale corse e bische, ambienti nei quali non disdegnava di prestare soldi “a strozzo”, dietro interessi aggirantisi attorno al 20-25 per cento mensile. Il denaro che riceveva da CARMINATI, consentiva ai due di ripartire tra loro il provento degli interessi: al CARMINATI veniva corrisposta una
“stecca” del 10-15 per cento. Dal momento che il denaro riciclato in tal modo veniva conteggiato sulla base di lire 10 milioni per volta, il CARMINATI, per ogni dieci milioni di lire veniva a percepire mensilmente dal GIUSEPPUCCI, da un milione e mezzo di lire, fermo restando che Franco GIUSEPPUCCI garantiva la restituzione del capitale. Sempre Franco GIUSEPPUCCI aveva messo il CARMINATI in contatto con Santino DUCI, titolare di una gioielleria in via dei Colli Portuensi, il quale ricettava i preziosi provento di rapine ad altre gioiellerie ed orefici, liquidando al CARMINATI il contante che questi, col metodo sopra specificato riciclava e reinvestiva mediante lo stesso. GIUSEPPUCCI. E’ in questo contesto che si colloca la vicenda del tentativo di riciclare i traveller cheques provento della rapina commessa dal gruppo facente capo al CARMINATI alla Chase Manhattan Bank. Io, Franco GIUSEPPUCCI e Giorgio PARADISI, nell’occasione, fummo arrestati mentre stava andando in porto il tentativo di consegnarli ad un cileno in contatto con noi, col quale era anche in progetto di compiere un furto presso cassette di sicurezza… Non sono in grado di dire che avesse materialmente eseguito la rapina presso la- Chase Manhattan Bank. A quell’epoca, del gruppo di Massimo CARMINATI facevano parte, oltre ad Alessandro ALIBRANDI, i fratelli PUCCI e i fratelli BRACCI. Ricordo altresì, che Massimo CARMINATI intratteneva stretti rapporti con un altro gruppo, del quale facevano parte i fratelli Valerio e Cristiano FIORAVANTI, Gilberto CAVALLINI e Francesca MAMBRO. Ricordo, comunque, che i travellers cheques vennero consegnati a Franco GIUSEPPUCCI dallo stesso Massimo CARMINATI e dall’ALIBRANDI.
Non ho mai conosciuto personalmente Giuseppe DIMITRI, pur avendo avuto occasione di sentirlo nominare da CARMINATI, ma non ricordo ora a che proposito… Pur senza averlo conosciuto, ho tuttavia sentito parlare di Giorgio VALE, il quale, per quanto potei capire, era persona molto legata al CARMINATI. Neppure personalmente ho conosciuto il CAVALLINI, i fratelli FIORAVANTI e Francesca MAMBRO. Una volta, sia pure di sfuggita, ebbi modo di vedere uno dei fratelli FIORAVANTI. Altro nome che sentii fare da CARMINATI era quello di Stefano TIRABOSCHI. Ho anche sentito parlare di Egidio GIULIANI, persona sicuramente conosciuta da Franco GIUSEPPUCCI e con questi in rapporti, gravitante negli ambienti della destra terroristica, il cui nome collego con quello di Pancrazio SCORZA e di Bruno MARIANI, senza, tuttavia, saperne indicare la precisa ragione. Franco GIUSEPPUCCI, comunque, aveva rapporti anche con altre persone in comune con ambienti della destra eversiva, come, ricordo, con Marco Mario MASSIMI, che era un falsario di cui la destra si avvaleva. “L’incontro con uno dei due FIORAVANTI avvenne quando questi, insieme al fratello, che però non ebbi occasione di vedere, occupava l’appartamento di via degli Artificieri, che, come ho già detto, era stato preso in affitto dalla banda tramite Massimo MINATI, amico di Marcello COLAFIGLI, su segnalazione di Gianni TRAVAGLINI. Non ricordo se i due fratelli FIORAVANTI all’epoca fossero latitanti, comunque so che ad interessarsi della loro sistemazione in quell’appartamento fu sempre Massimo CARMINATI, il quale era l’unico nostro referente. Per quanto attiene al periodo, non saprei indicarlo con precisione, posso tuttavia collocarlo in epoca precedente all’arresto di Marcello COLAFIGLI, per i fatti di via di Donna Olimpia: questi, infatti, occupava l’appartamento anche quando vi erano i FIORAVANTI. Mi sembra, ma non posso esserne sicuro, dato il tempo trascorso, che, per qualche tempo, nell’appartamento suddetto, abitò anche Pasquale BELSITO. Debbo anche dire che l’appartamento era stato locato con regolare contratto , pertanto, essendo durata la locazione circa un anno è possibile su questa base fissare il tempo della locazione stessa e della presenza delle suddette persone nell’appartamento.
I rapporti con Massimo CARMINATI erano’, almeno da parte nostra, di piena fiducia, ma, per quanto potei constatare, nel corso di una comune detenzione nel carcere di Regina Coeli, anche da parte sua vi era disponibilità al colloquio. Eravamo ristretti entrambi nel reparto infermeria del carcere suddetto, in epoca successiva al suo ferimento al confine italo-svizzero e, comunque, in epoca prossima al rinvenimento delle armi presso il deposito del Ministero della Sanità, ragione per la quale io ero in custodia preventiva. Non occupavamo la stessa cella, ma CARMINATI si trovava in una cella da solo: le possibilità d’incontro si davano quando beneficiavamo dell’ora d’aria insieme. In occasione di tali incontri, Massimo CARMINATI mi confidò di disporre di conti segreti presso banche svizzere e particolare che allora mi colpì molto, data la non usualità della circostanza, fu che a tali conti era possibile accedere solo tramite un codice segreto, non saprei dire se costituito da una parola o da un numero o da entrambi. Per quanto attiene alle circostanze del suo ferimento, mi disse che questo si era verificato ad un valico del quale era stata, in occasione di precedenti attraversamenti del confine sperimentata la sicurezza. Mi disse anche che dopo il ferimento era rimasto per qualche tempo sul terreno sotto la pioggia, prima di essere soccorso. D’altra parte, era a me noto, avendo avuto occasione di apprenderlo da lui in precedenza che il passaggio clandestino dall’Italia alla Svizzera si era realizzato altre volte, mi sembra di ricordare, in occasione di incontri oltre confine con latitanti.
“Personalmente ho conosciuto Massimo CARMINATI alcuni mesi prima del sequestro di Paolo ALEANDRI, avvenuto, come già ho riferito, nell’estate del 1979. Egli mi venne presentato da Franco GIUSEPPUCCI, il quale già lo conosceva. Unitamente al CARMINATI conobbi anche i fratelli BRACCI e i fratelli PUCCI, che con lui si accompagnavano. I rapporti tra la banda e il gruppo del CARMINATI, pur restando ognuno nel proprio specifico ambito operativo, si intensificarono, però, soltanto dopo l’intermediazione del CARMINATI, in occasione del sequestro suddetto. Il rapporto fiduciario che tra la banda ed il CARMINATI si era ben presto instaurato, tanto che a lui era consentito libero accesso al deposito di armi presso il Ministero della Sanità, per come ho già avuto modo di spiegare, non implicava un assorbimento del suo gruppo nella banda stessa; pertanto, seppure a conoscenza del fatto che il CARMINATI e le persone a lui legate operavano vari spostamenti per l’Italia ed anche all’estero, particolarmente in Svizzera, sia per intrattenere rapporti con latitanti, sia per compiere delle operazioni criminali, non sono tuttavia, in grado di riferire particolari circa i luoghi dove essi si recassero, chi vi incontrassero e che cosa vi facessero; d’altra parte, il CARMINATI teneva con noi quell’atteggiamento di riservatezza che tenevamo noi con lui, atteggiamento che rappresentava sia per la banda che per il suo gruppo una garanzia rispetto al rischio che fossero troppe le persone estranee alle rispettive organizzazioni, quindi non legate al vincolo del silenzio, a conoscere fatti rapportabili all’una o all’altro. “Un’attività che per certo il CARMINATI ed i suoi svolgevano, per conto di Franco GIUSEPPUCCI, ma non nell’interesse della banda, era il “recupero crediti” nei confronti dei debitori che si rifiutavano o non erano in grado di far fronte ai propri impegni; era questa, per altro, un’attività che svolgevano anche nel proprio interesse, considerato che anche il denaro del gruppo CARMINATI era oggetto dei prestiti “a strozzo” di Franco GIUSEPPUCCI. . . Per capire meglio i rapporti tra Franco GIUSEPPUCCI e Massimo CARMINATI, occorre tener presente il comportamento che la banda, stante l’attenzione da cui era circondata, si era imposto, onde dare all’esterno l’impressione di un funzionamento in gruppi tra loro scollegati. Vi fu, pertanto, un periodo tra la scarcerazione di Enrico DE PEDIS e la morte di Franco GIUSEPPUCCI, durato qualche mese, nel quale quest’ultimo diede l’impressione di lavorare da solo. Allo scopo, si avvalse del gruppo del CARMINATI onde realizzare una vendetta nei confronti di un tabaccaio, appartenente alla malavita dell’Albertone, il quale non aveva adempiuto agli obblighi di solidarietà a favore del DE PEDIS, durante il tempo che questi era stato detenuto. In ordine a tal fatto, per altro non sono in grado di fornire particolari . . .
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