Guelfo Osmani – dichiarazioni 22.04.1994

Prendo atto che, secondo elementi recentemente acquisiti dall’ufficio, le armi e gli esplosivi rinvenuti nel casolare di Svolte di Fiungo sarebbero provenuti dal Trentino Alto Adige e portati sul posto da elementi del Sid. In merito posso dire che non sono a conoscenza della provenienza del materiale restante rispetto a quello che il cap D’ Ovidio mi chiese di procurare.

Domanda: lei e’ a conoscenza di qualche circostanza rilevante per le indagini che la procura di Perugia sta conducendo sull’ omicidio di Pecorelli Carmine?
Sì. E intendo riferirle. Desidero pero’ premettere che ormai da tempo ho iniziato un rapporto di sincera e leale collaborazione con l’ AG di Milano. Al GI di Milano ho spiegato i motivi che mi hanno indotto a dare una svolta alla mia vita ed appunto a collaborare con la giustizia. In ordine all’ omicidio di Pecorelli sono a conoscenza di alcuni fatti che io ritengo rispondano al vero perche’ le persone dalle quali le ho apprese avevano con me un rapporto di amicizia tale che, da un lato, consentiva loro di parlarmi sinceramente anche di fatti estremamente riservati e delicati e, dall’ altro, consente a me di ritenere che non mi avrebbero mentito. Mi riferisco in particolare a Mattei Antonio, che solo pochi giorni fa ho appreso essere deceduto se non erro a causa di un infarto. Conoscevo Mattei da almeno venti anni e mi legava a lui un rapporto di sincera e profonda amicizia. Preciso subito che neanche Mattei era per cosi’ dire uno stinco di santo. Egli ha commesso dei reati, come me del resto, pero’ in un settore e in un ambiente affatto diversi dal mio. Dico questo per precisare che la nostra amicizia non era dovuta a comuni interessi di tipo criminoso, ma era del tutto disinteressata e svincolata dalle nostre rispettive attivita’. Nel 1981, ma della data non sono certo, l’ ufficio potra’ agevolmente verificarla, fui ristretto nel carcere di Rebibbia, penale, contemporaneamente a Mattei. Io stavo scontando la pena per una condanna per truffa o qualcosa del genere, Mattei era invece in carcerazione preventiva per la tentata rapina alla stazione termini cui era seguita una sparatoria.

pecorelli

Pur essendo custoditi in celle diverse e singole, Mattei ed io avevamo la possibilita’ di incontrarci e di parlare, per esempio durante l’ ora dei pasti, ma anche in altre occasioni del giorno. E’ noto che le celle restano, o almeno all’ epoca restavano aperte durante le ore diurne e Mattei ed io stavamo in celle situate nello stesso braccio. In questa circostanza dunque, Mattei, tra le altre cose di cui parlavamo, mi disse anche quello che sapeva in ordine al delitto Pecorelli. Sara’ bene che io precisi, poiche’ l’ ufficio me lo chiede, che Mattei, all’ epoca era un esponente di primo piano della malavita romana, amico e frequentatore tra gli altri di De Pedis Renato.Il Mattei inoltre aveva una personalita’ molto forte e godeva tra i malavitosi romani di un notevole prestigio e seguito. Aggiungo che a me non interessava proprio nulla dell’ omicidio Pecorelli ne’, come ho detto, avevo rapporti per cosi’ dire “di affari” col Mattei, per cui egli non aveva davvero alcun motivo di dirmi cose non vere in ordine a quel fatto. Egli mi disse in una delle nostre tantissime conversazioni che l’ omicidio di Pecorelli Carmine era stato organizzato, a livello esecutivo, dal De Pedis.Per la verita’ non mi specifico’ se e quale fosse stato il ruolo specifico del De Pedis nel delitto. Mi disse solo che De Pedis c’ entrava usando l’ espressione “se l’e’ fatto”. Aggiunse che, a quanto egli aveva saputo, erano stati due gli esecutori materiali che si erano recati sul posto e poi si erano dati alla fuga, dopo il delitto, con una motocicletta. A dire del Mattei, il delitto era stato ideato, deciso ed eseguito nell’ arco di poche ore per un favore ad una notissima personalità. Pecorelli, noto ricattatore, aveva ricattato o comunque creato pericoli per questa nota personalita’ per cui ne era stata decisa l’ eliminazione.

Domanda: Mattei le disse chi era questa personalità ovvero lei e’ venuto a saperlo da altra fonte?
Risposta: no, Mattei non me lo disse ne’ io glielo domandai ne’ sono venuto a saperlo successivamente da altre fonti; come ho gia’ detto a me nulla importava e nulla importa oggi del Pecorelli. Sempre da Mattei venni a sapere che Pecorelli era in rapporti con uomini dei servizi segreti e precisamente dell’ allora Sid, dai quali riceveva veline, ossia informazioni che verosimilmente usava per i suoi ricatti pubblicandole “sapientemente” sul settimanale. Mattei preciso’ che l’ abilita’ di Pecorelli era quella di dosare esattamente la pubblicazione delle informazioni per ottenere il massimo risultato. Riferisco altresi’ che da fonte che non ricordo, ma che e’ sicuramente e’ diversa dal Mattei, certamente uno dei cosiddetti “cassettari”, ossia ladri specializzati in furti nei caveau, sono venuto a sapere che in una cassetta di sicurezza della banca dell’alto Lazio, sede di Roma vicina al parlamento, erano custoditi alcuni documenti attinenti alla vicenda Pecorelli tra i quali alcuni numeri della rivista OP mai pubblicati. Queste riviste, secondo le mie informazioni, dovevano essere state stampate in una tipografia del frusinate. Non so se queste fossero prove di stampa, ma mi pare probabile.

 

Domanda: Mattei le parlo’ del dr Vitalone con riguardo all’ omicidio Pecorelli?
Risposta: in verita’ no, mi parlo’ del dr Vitalone, o meglio dei fratelli Vitalone, cioe’ dell’ avv Wilfredo e del giudice Claudio in altre circostanze. Come ho detto, col Mattei si trascorrevano giornate intere a chiacchierare a Rebibbia e ciascuno parlava anche dei suoi problemi che erano essenzialmente giudiziari. Io raccontavo i miei episodi e lui raccontava i suoi.

Fu del tutto naturale, quindi, che si accennasse al ruolo che i fratelli Vitalone avevano a quel tempo al tribunale di Roma. L’ avv Wilfredo era notoriamente non soltanto il difensore di molti della Magliana o in genere di malavitosi, ma era come si direbbe oggi contiguo ad essi. Il fratello, Claudio, lo sosteneva ed agevolava all’ interno del palazzo di Giustizia per cui si diceva “se hai un impiccio grosso vai da Wilfredo”. Con cio’ si intendeva dire che se qualcuno avesse voluto ottenere particolari benefici sul piano giudiziario o evitare eccessivi danni doveva rivolgersi a Vitalone Wilfredo che costava caro ma che, tramite il fratello, gia’ sostituto procuratore a Roma e quindi divenuto senatore, poteva godere di ottime entrature negli ambienti giudiziari romani. Dei Vitalone si diceva, anzi si sapeva, che erano molto compromessi con alcuni ambienti della capitale e cioe’ con ambienti politici, industriali e malavitosi della capitale. Era noto che entrambi i fratelli frequentassero una casa da gioco gestita dalla malavita ai Parioli. So che questa casa da gioco era l’ unica a non pagare il pizzo in quanto godeva di protezioni proprio da parte di personaggi politici. Del resto non e’ difficile immaginare che il fatto che quella casa fosse frequentata dal sen Vitalone che certamente si muoveva scortato era gia’ un efficace deterrente sia a controlli inaspettati di polizia sia a contatti o a richieste da parte della malavita. Solo per scrupolo di lealta’, riferisco una voce da me raccolta, precisando che non sono in grado di attestarne l’ attendibilità come ho fatto per le notizie riferitemi dal Mattei. La voce che circolava negli ambienti malavitosi era che l’ arma del delitto Pecorelli fosse stata prestata da qualcuno “in alto”.

 

Domanda: lei ha avuto occasione di incontrare personalmente il dr Vitalone Claudio?
Risposta: si, nel 740500 quando ero detenuto a Rebibbia e lui era il pm che aveva emesso nei miei confronti l’ ordine di cattura. Era l’ epoca del sequestro del giudice Sossi ed avendo io letto sui giornali una lettera spedita dal dr Sossi dal luogo di prigionia, capii che essa conteneva delle informazioni in codice sul luogo ove Sossi era trattenuto. Chiesi di poter parlare col dr Vitalone e gli diedi la mia interpretazione della lettera. Il cap Labruna mi risulta che accompagno’ il dr Vitalone, ma non presenzio’ al nostro colloquio del quale del resto il dr Vitalone non fece verbale. Ripeto che era il 1974 e non il 1978 come apprendo avere dichiarato Labruna.

 

Domanda: quale indicazione in codice lei riusci’ ad interpretare?
Risposta: ricordo che Sossi nella lettera aveva usato un codice con anagrammi che io avevo decifrato e dal quale usciva questa frase: “casa di campagna, vedo albero alto sulla collina”. Mi riservo di riferire all’ AG ulteriori particolari che dovessero affiorare alla mia memoria, ora che e’ stata stimolata dalle domande dell’ ufficio. A domanda dell’ AG di Milano per quanto concerne il calco in cera che ricevetti dal cap d’ ovidio nel 1973, posso precisare che quando il capitano mi diede questo calco, questo aveva il seguente aspetto. Era una scatola a cassetto della lunghezza di circa 10 – 12 cm e larga 8 che conteneva appunto il blocco di cera con impresso il calco di quella chiave solo nella sua parte finale e cioe’ senza il calco dell’ impugnatura. La scatola, per quanto ricordo era di cartone.Io poi consegnai la copia della chiave in ottone al cap D’Ovidio senza una impugnatura finale tipo anello o simile, ma molto artigianale. Il calco andava perduto nelle operazioni di manifattura.

 

L.c.s. ­