Il ruolo che Siciliano svolse in Ordine Nuovo e le pressioni di Zorzi per indurlo a non collaborare

Martino SICILIANO, come già si è detto, fu uno degli esponenti di spicco del gruppo di ORDINE NUOVO di Mestre a far data dalla sua costituzione, a metà degli anni ‘60. I suoi rapporti con il gruppo cominciarono a diradarsi nei primi anni ‘70, in conseguenza del trasferimento a Milano, ove frequentò l’ambiente della FENICE di Gian Carlo ROGNONI, e si interruppero nel 1974 con il trasferimento in Francia.
Il collaboratore ha dichiarato di avere organicamente militato nel gruppo di ORDINE NUOVO di Mestre, il cui leader indiscusso era Delfo ZORZI. Del gruppo facevano parte alcuni giovani “simpatizzanti” coinvolti nelle attività politiche in modo meno diretto rispetto a lui e a ZORZI.
La sua partecipazione al gruppo ebbe origine verso la metà degli anni ’60 allorché, insieme ad altri militanti della GIOVANE ITALIA di Mestre (tra cui Delfo ZORZI, Piercarlo MONTAGNER, Roberto MAGGIORI, Giuliano CAMPANER ed altri), era entrato in contatto con gli esponenti di ORDINE NUOVO di Venezia ed era transito, con gli altri, in quest’ultimo sodalizio.

SICILIANO ha individuato nella riunione alla WHITE ROOM di Mestre dell’autunno 1966, costitutiva del gruppo del CSON del Triveneto, il momento di svolta di un’attività politica che sino ad allora si era retta su rapporti di amicizia degli studenti medi simpatizzanti dell’estrema destra. I rapporti del gruppo “mestrino” con quello “veneziano” furono intensi e stabili, fondati sul ruolo dirigente di Carlo Maria MAGGI e sulla presenza, a Venezia, di Gian Gastone ROMANI, Paolo MOLIN, Giuseppe BORATTO, Giorgio BARBARO e Giampietro CARLET, oltre al ruolo di Carlo DIGILIO, definito l’armaiolo di ORDINE NUOVO nel Triveneto.

La partecipazione attiva di Martino SICILIANO al gruppo “mestrino” di ORDINE NUOVO si svolse tra il 1964 ed il 1971, quando si trasferì a Milano e proseguì l’attività politica nell’MSI locale, al cui interno operava il gruppo della FENICE di Giancarlo ROGNONI, riconducibile ad ORDINE NUOVO. Nel 1972 scrisse un articolo sulla rivista della GIOVANI ITALIA ed una lettera a Pino RAUTI, nei quali contestò la presenza, nell’ambito del gruppo di ORDINE NUOVO milanese, di posizioni violente e “stragiste” (sostenute, in particolare, da ROGNONI); quella lettera non provocò alcuna reazione da parte del gruppo dirigente missino, mentre da quel momento SICILIANO fu progressivamente emarginato dall’attività politica. Nel 1973 venne espulso dall’MSI per la sua adesione ad organizzazioni che perseguivano finalità incompatibili con quel partito. Queste indicazioni sono state incontestabilmente confermate dai numerosi testi che hanno riferito la storia politica del gruppo di ORDINE NUOVO di Mestre.

Marco ALLASIA, Paolo MOLIN, Giuliano CAMPANER, Carla SICILIANO, Roberto MAGGIORI, Giuseppe BORATTO, Elvio MARTELLA, Guido BUSETTO, Pino RAUTI, Claudio BRESSAN (classe 1944), Nilo GOTTARDI, Giulio NOÈ, Gastone NOVELLA, Giancarlo VIANELLO, Vincenzo VINCIGUERRA, Gabriele FORZIATI, Armando BARDELLA, Fiorella FREZZATO, Antonino PARISI, Pier Giorgio GRADARI, Carlo Maria MAGGI e Rosa GALLO (vedova di Piergiorgio MARIGA) hanno infatti pienamente confermato la partecipazione di Martino SICILIANO al gruppo di ORDINE NUOVO di Mestre, ribadendo la composizione di quella formazione politica in termini coincidenti con quelli del collaboratore.

Anche con riferimento al trasferimento a Milano, le indicazioni testimoniali acquisite hanno confermato il percorso di vita e politico del collaboratore, atteso che Giancarlo ROGNONI, Nico AZZI, Gianluigi RADICE, Marco CAGNONI, Giambattista CANNATA ed Evi TOMASSINI hanno descritto i rapporti di SICILIANO con il gruppo della FENICE di Milano. La descrizione di tali rapporti è del tutto coerente con quanto riferito dal collaboratore, il quale aveva conosciuto i milanesi nell’estate 1969, si trasferì a Milano, al seguito di Marco FOSCARI, nel 1971 (anno in cui sposò Ada GIANNATIEMPO di Milano), fu l’artefice, insieme a Delfo ZORZI, dei rapporti tra il gruppo “mestrino” e quello “milanese”(280) approvvigionando quest’ultimo gruppo con esplosivo proveniente da Mestre. Indicazioni a conferma dell’atteggiamento politico di ROGNONI sono state fornite da Gianluigi RADICE, da Luigi FALICA e da Pietro Maria BATTISTON, oltre che dalla condanna definitiva per l’attentato al treno Torino-Roma del 7 aprile 1973.

Dal 1974 SICILIANO si trasferì in Francia ed interruppe qualsiasi impegno politico, mantenendo comunque i contatti con l’ambiente di Mestre ove, peraltro, risiedeva la propria famiglia di origine. Nel 1979 si stabilì definitivamente in Francia, ove si sposò nel 1981 ed assunse la cittadinanza francese. Lavorò dapprima in una discoteca e poi come rappresentante di articoli per l’infanzia e per campeggio. In ragione di tale attività si spostò in altri paesi europei, tra cui la Germania. Gianluigi RADICE ha confermato di aver mantenuto con SICILIANO sporadici rapporti, quando questi si era già trasferito in Francia. Anche l’ispettore MADIA, nel ricostruire le vicende che condussero all’individuazione di SICILIANO, ha confermato che viveva da anni in Francia, ma girava molto per l’Europa nell’esercizio dell’attività lavorativa. Solo all’inizio degli anni ‘90, la presenza di SICILIANO in Francia assunse rilievo nell’ambito delle indagini che il GI del Tribunale di Milano svolgeva sui fatti eversivi della fine degli anni ‘60.

La prima indicazione sulla possibile rilevanza di un suo contributo nelle indagini in corso in quegli anni fu fornita da Marco AFFATIGATO. Il predetto riferì all’autorità giudiziaria che un italiano residente a Parigi, tale Antonello CINCINNATO, da lui contattato per avere notizie su possibili militanti della destra eversiva che fossero a conoscenza delle vicende stragiste riconducibili a quell’area politica, gli aveva indicato un italiano residente a Tolosa, individuato in Martino SICILIANO. Nello stesso periodo il giornalista Gianni CIPRIANI apprese da suo fratello Antonio, anch’egli giornalista, che una persona residente a Tolosa, tale Martino SICILIANO, avrebbe potuto riferire circostanze importanti sulla vicenda di piazza Fontana. Sulla base di queste indicazioni, il GI di Milano attivò il SISMI per richiedere una collaborazione, diretta ad individuare e contattare Martino SICILIANO e l’ispettore MADIA fu incaricato da quel servizio di condurre tale ricerca. Nel 1992 SICILIANO, mentre si trovava in Francia, ricevette una comunicazione giudiziaria per l’attentato all’università Cattolica di Milano del 15 ottobre 1971.

Giunto in Italia per affari, prese contattato con Roberto LAGNA, al quale aveva confidato che, a suo parere, quella comunicazione giudiziaria era prodromica ad accuse ben più gravi. Dopo qualche giorno LAGNA lo contattò facendogli presente che, se avesse avuto bisogno di un avvocato o di un lavoro, Delfo ZORZI sarebbe stato disponibile a qualsiasi aiuto (va detto che, a quell’epoca, SICILIANO non vedeva ZORZI da quasi vent’anni). Nel gennaio 1993, SICILIANO, mentre si trovava in Italia, venne convocato dalla DIGOS di Venezia e fu sentito informalmente dall’ispettore MADIA nell’ambito dell’incarico ricevuto. Durante il colloquio SICILIANO assunse un atteggiamento di assoluta indisponibilità a rendere alcuna dichiarazione non solo all’Autorità Giudiziaria, ma anche al funzionario del SISMI. Sin da quel colloquio MADIA avvisò SICILIANO che era sospettato di aver commesso alcuni attentati tra la fine degli anni ‘60 e i primi anni ‘70 e che l’Autorità Giudiziaria avrebbe continuato ad indagare nei suoi confronti nonostante il rifiuto di chiarire la sua posizione. La vicenda non ebbe seguito fino a che, nell’agosto del 1993, non furono pubblicate le prime notizie stampa sul coinvolgimento di Martino SICILIANO nella strage di piazza Fontana. Le conseguenze per quest’ultimo furono, sul piano personale, gravissime, perché perse il lavoro di rappresentante che in quegli anni aveva proficuamente svolto.

SICILIANO si trasferì in Colombia presso una ragazza che aveva conosciuto in un night-club di Mestre e vi rimase fino al febbraio 1994, apprendendo dal suo avvocato che anche nei suoi confronti era stato emesso un avviso di garanzia per la strage di piazza Fontana.

Al rientro in Italia prese contatti sia con l’entourage di ZORZI (285), sia con l’Isp. MADIA. A quest’ultimo prospettò le difficoltà economiche che erano conseguite alle notizie pubblicate sulla stampa e proprio MADIA ha riferito che fu quello il momento in cui SICILIANO modificò l’atteggiamento di rifiuto ad intrattenere rapporti con l’autorità giudiziaria, per cui egli si rese disponibile ad incontrarlo nei mesi precedenti all’estate, ma i due appuntamenti fissati a Mestre furono entrambi disattesi da SICILIANO. La ragione di tale comportamento è risultata chiara quando lo stesso collaboratore ha descritto i contatti che proprio in quei mesi aveva intrattenuto con Delfo ZORZI.

SICILIANO infatti, prima di contattare l’Isp. MADIA, aveva infatti ripreso i contatti con ZORZI, tramite Piercarlo MONTAGNER (in quanto Roberto LAGNA era nel frattempo deceduto). Aveva dunque telefonato a MONTAGNER e gli aveva chiesto di essere contattato da ZORZI che, a sua volta, gli aveva telefonato dopo alcuni giorni. SICILIANO prospettò a ZORZI la sua situazione, ricordandogli gli impegni che aveva precedentemente assunto e ricevette da lui il consigliò di non presentarsi in Italia per essere interrogato dall’Autorità Giudiziaria, insieme all’assicurazione che avrebbe risolto tutti i suoi problemi legali e di lavoro. Fu così concordato un incontro a Parigi per il 16 maggio 1994.
Quello fu l’unico contatto diretto di SICILIANO con ZORZI, che ribadì il suo appoggio materiale, lo invitò a non rientrare in Italia e gli assicurò che lo avrebbe contattato presto per proporgli una soluzione concreta (ossia un lavoro all’interno della sua organizzazione). Dopo quell’incontro, ZORZI fece numerose telefonate a Tolosa, ove SICILIANO risiedeva. Nel corso di quelle telefonate insistette molto affinché SICILIANO non rendesse dichiarazioni al GI di Milano e ribadì la propria disponibilità ad offrirgli un lavoro.

Nel luglio del 1994 SICILIANO, atteso che le sue condizioni psicofisiche erano peggiorate, decise di contattare l’Isp. MADIA, manifestandogli l’intenzione di incontrarlo a Venezia. Quello stesso giorno inviò un fax a ZORZI, comunicandogli tale decisione. Quell’iniziativa determinò la reazione di ZORZI che, alle 03.30 del mattino, telefonò a Tolosa ribadendo l’invito a non andare in Italia (dove, a suo dire, sarebbe stato immediatamente arrestato) ed assicurandogli che le prospettive lavorative si stavano concretizzando. Il giorno successivo, infatti, SICILIANO ricevette via fax un’offerta di lavoro da una ditta di San Pietroburgo. In uno di quei primi interrogatori, SICILIANO ha descritto il viaggio in Russia ed il precipitoso rientro a Tolosa.

Va subito detto che ZORZI, in occasione delle spontanee dichiarazioni rese al PM di Milano a Parigi, nel 1995, ha fornito una ricostruzione di quegli avvenimenti non molto dissimile da quella appena esposta, quantomeno rispetto alla scansione dei rapporti con SICILIANO, pur tentando di accreditare un’interpretazione di quei fatti decisamente opposta a quella del collaboratore e motivata da esclusive ragioni di solidarietà. Questo è dunque il quadro nel quale SICILIANO si trovò a decidere nella primavera-estate del 1994 se attivare i rapporti con le autorità italiane, aderendo alle proposte fino a quel momento formulate dall’Isp. MADIA, oppure rivolgersi a Delfo ZORZI, che gli aveva proposto un lavoro stabile, garanzie economiche, una prospettiva di vita all’estero, lontano da qualsiasi problema giudiziario in Italia. Il viaggio a San Pietroburgo aveva però fatto insorgere in SICILIANO il sospetto che “se si fosse messo nelle mani di ZORZI non sarebbe stato certo della fine che avrebbe fatto”. SICILIANO avvertì in quella che fu l’occasione di incontro più intensa con l’entourage di ZORZI (tra l’altro in un paese straniero sconosciuto al collaboratore) il pericolo che avrebbe corso se si fosse affidato a quest’ultimo: definendosi “l’anello debole della catena”. In sostanza, come il collaboratore ha esplicitamente affermato, non sapeva se sarebbe stato effettivamente aiutato o se, invece, sarebbe stato eliminato. Non accettò comunque l’offerta lavorativa perché la situazione non lo tranquillizzava affatto.

Al rientro in Francia, dopo essere stato ricoverato per qualche tempo in una clinica, pur essendo stato telefonicamente contattato da ZORZI ed insistentemente sollecitato a non recarsi in Italia, per rendere l’interrogatorio all’Autorità Giudiziaria, comprese che “doveva decidersi se schierarsi da una parte o dall’altra” e, dopo avere contattato l’Isp. MADIA, chiese di discutere a Tolosa le condizioni del suo rientro in Italia (287). In sostanza, SICILIANO chiese ed ottenne un contributo che gli garantisse di poter acquisire un’attività economica in Sudamerica, dove svolgere la propria vita lontano da interventi intimidatori delle persone chiamate in correità per i fatti che avrebbe riferito all’Autorità Giudiziaria. Il 24 ed il 25 settembre 1994 il Cap. GIRAUDO e l’Isp. MADIA si incontrarono con Martino SICILIANO presso l’aeroporto di Tolosa. Durante quel colloquio vennero acquisite le prime informazioni sulla vocazione eversiva del gruppo ordinovista di Mestre. La collaborazione di SICILIANO con l’Autorità Giudiziaria di Milano iniziò il 18 ottobre 1994 e si sviluppò in quattro fasi, nell’autunno del 1994 (con due <code> nel gennaio e nel marzo del 1995), nell’ottobre del 1995, nell’arco di tutto il 1996 (da marzo a dicembre) e dal giugno al novembre del 1997.

Tra le richieste che SICILIANO aveva rivolto al Cap. GIRAUDO, quale condizione per l’inizio della collaborazione era contenuta anche la corresponsione di un importo che gli consentisse di acquisire una tranquillità economica a suo dire pregiudicata dalle notizie giornalistiche sul suo coinvolgimento nei fatti eversivi del 1969. All’esito dei primi interrogatori dell’ottobre 1994, il SISMI, su richiesta del ROS dei Carabinieri e previo nulla osta del GI di Milano, mise a disposizione dell’ufficiale addetto alla gestione del dichiarante l’importo richiesto di 50.000 $ USA (288). Il denaro fu consegnato dal Cap. GIRAUDO a SICILIANO all’aeroporto della Malpensa. Oltre all’importo sopra indicato, il SISMI mise a disposizione di SICILIANO altre somme di denaro (nell’ordine di 10 milioni di lire), per gli spostamenti dal Sud America e per la permanenza in Italia del collaboratore, in occasione delle escussioni.

Negli anni successivi una prima richiesta per l’applicazione di un programma di protezione venne presentata dal GI di Milano il 7 febbraio 1996. Successivamente la Procura della Repubblica di Brescia chiese dapprima l’applicazione di misure di protezione urgenti e successivamente, il 25 giugno 1996, formulò richiesta per l’applicazione di uno speciale programma di protezione. La proposta venne accolta dalla Commissione Centrale del Ministero dell’Interno con delibera del 23 ottobre 1996. Martino SICILIANO ha dunque assunto il ruolo di collaboratore di giustizia sia nel procedimento per la strage di Piazza Fontana che in quello relativo alla strage di Brescia del 28 maggio 1974.

La valenza dell’apporto collaborativo di SICILIANO è stata estremamente significativa, specie nell’ambito del procedimento milanese. Le sue dichiarazioni più rilevanti (di estrema utilità anche nell’ambito del procedimento bresciano) sono quelle che consentono di affermare il coinvolgimento di ORDINE NUOVO di Venezia-Mestre nelle strategie eversive che vanno dalla fine degli anni ‘60 alla prima metà degli anni ‘70 e che consentono di individuare una diretta responsabilità di Delfo ZORZI e di Carlo Maria MAGGI nelle vicende eversive di quegli anni.

Fin dalla metà degli anni ‘60, come si è detto, Martino SICILIANO ha attivamente militato nel gruppo “mestrino” di ORDINE NUOVO del Triveneto (fino al 1972/73 ha avuto la disponibilità delle chiavi della sede di Via Mestrina) ed ha operato all’interno della cellula capeggiata da Delfo ZORZI, partecipando direttamente ad alcune delle “operazioni” più significative, quali gli attentati del 3 e 4 ottobre 1969 alla Scuola Slovena di Trieste ed al cippo di confine italo-jugolslavo di Gorizia, attentati in relazione ai quali ha formulato circostanziate chiamate di correo nei confronti di Delfo ZORZI, Carlo DIGILIO, Carlo Maria MAGGI ed altri ordinovisti.

SICILIANO è stato anche il tramite tra gli ordinovisti di Venezia-Mestre ed i milanesi della FENICE. I suoi rapporti con Carlo Maria MAGGI, Delfo ZORZI e Giancarlo ROGNONI sono stati talmente stretti, da consentirgli un osservatorio privilegiato sulle vicende eversive oggetto dei procedimenti di Milano e di Brescia. Il predetto ha riferito di aver fatto da autista a MAGGI fino al 1971/72 ed è testimone della disponibilità di armi ed esplosivi da parte del gruppo ordinovista di Venezia-Mestre e delle attività eversive realizzate da tale gruppo fino ai primi anni ‘70. Grazie al suo rapporto di amicizia e di collaborazione con Delfo ZORZI, ha altresì potuto fornire un significativo spaccato della personalità di quest’ultimo.

carlomariamaggi

Quanto alla responsabilità di Delfo ZORZI nei fatti del 12 dicembre 1969, l’episodio più concreto al quale SICILIANO ha fatto riferimento è quello della c.d. “cena del tacchino”, che si sarebbe svolta l’ultimo dell’anno del 1969 e durante la quale ZORZI, in presenza del SICILIANO e di Giancarlo VIANELLO (che ha parzialmente smentito la circostanza) avrebbe fornito delle implicite ammissioni, lasciando “chiaramente capire che all’attentato di Milano aveva partecipato gente di Ordine Nuovo di Mestre e di Padova e in particolare vi aveva partecipato lui stesso, pur senza affermarlo esplicitamente”. Il fatto è meglio descritto e vagliato, nel suo significato probatorio, nella sentenza della II Corte di Assise di Milano del 30 giugno.

La II^ Corte d’Assise di Milano, nella citata sentenza, ha compiuto una valutazione completa della figura del collaboratore, concludendo per la sua attendibilità: “il giudizio espresso dalla Corte sull’attendibilità di Siciliano è altamente positivo con riferimento alla quasi totalità dei parametri soggettivi ed oggettivi…”. Il SICILIANO ha altresì esposto all’A.G. di Milano una serie di ulteriori elementi, che lo avevano condotto a ritenere Delfo ZORZI coinvolto nella strage del 12 dicembre 1969. Il giudizio circa l’attendibilità intrinseca ed estrinseca di Martino SICILIANO è pienamente confermato anche nella sentenza n. 11/04 del 12 marzo 2004 con la quale della II Corte d’Assise d’Appello di Milano ha assolto Carlo Maria MAGGI e Delfo ZORZI, ex art. 530 comma 2 cpp, dall’accusa di avere concorso nella strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Nel presente procedimento le dichiarazioni di Martino SICILIANO hanno particolare rilevanza per quanto il medesimo ha riferito circa le attività eversive svolte dal gruppo di Venezia-Mestre di ORDINE NUOVO ed il ruolo assunto, nell’ambito di dette attività e di tale gruppo, da Delfo ZORZI e da Carlo Maria MAGGI.

SICILIANO è altresì testimone qualificato dei rapporti di MAGGI con Ermanno BUZZI e di quest’ultimo con Gian Gastone ROMANI e con Delfo ZORZI ed ha altresì confermato l’ideologia stragista di MAGGI e ZORZI (“… la strage quale mezzo di lotta politica era teorizzata e sostenuta da MAGGI e da ZORZI …”).

Memoria Pm strage di Brescia

Pubblicità