L’obiettivo Rumor – Commissione stragi

Quanto emerge ha poi una connessione di tutta evidenza con la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, a dimostrazione di un unico disegno finalizzato al sovvertimento delle istituzioni repubblicane. Tra le farneticanti affermazioni di Bertoli all’indomani della strage, vi è un solo elemento rispondente a quanto emerso nelle risultanze istruttorie del giudice Salvini, laddove il sedicente anarchico dichiarò di aver lanciato la bomba a mano «ananas» per vendicare la morte dell’anarchico Pinelli, morto nei locali della Questura di Milano nel corso di un interrogatorio per la strage di piazza Fontana.

In realtà, il gesto di Bertoli era sì di vendetta, ma con ben altro fine che non la gloria di Pinelli. La strage scaturì, viceversa, dal tentativo di eliminare il ministro dell’interno Mariano Rumor, presente in Questura per l’inaugurazione di un busto commemorativo del commissario Luigi Calabresi, ucciso un anno prima da allora ignoti killer.

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In un primo momento, per il gruppo ordinovista veneto, l’eliminazione di Rumor avrebbe dovuto avvenire in Veneto, dove il Ministro risiedeva; Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi avevano individuato in Vincenzo Vinciguerra il potenziale esecutore dell’attentato. Quest’ultimo, tuttavia, «si era rifiutato di prestarsi perché non riteneva corretto il progetto» e perché «sarebbe stata una carneficina». Venuta meno la disponibilità di Vinciguerra, il vertice della cellula veneta neofascista individua in Gianfranco Bertoli la persona più adatta per compiere l’attentato. Uno degli aspetti più rilevanti che le dichiarazioni di Digilio hanno consentito di svelare è, tuttavia, proprio la figura di Mariano Rumor, quale «inconsapevole» filo conduttore della strage della questura con quella di piazza Fontana. Dichiara a questo proposito Digilio:

«I dirigenti di Ordine Nuovo ritenevano che l’onorevole Rumor, Presidente del Consiglio nel dicembre 1969, avesse fatto il “vile” in quanto, venendo meno alle promesse fatte, non aveva attivato un certo meccanismo dopo gli attentati decretando lo “stato di emergenza” e mettendo in moto i militari che avrebbero saputo che sbocco dare alla crisi. Questa delusione mi fu espressa da Soffiati e da Maggi negli incontri […] che avvennero dopo gli attentati del 12 dicembre, e cioè quello con Maggi pochi giorni dopo la strage e la cena con Maggi e Soffiati che avvenne allo Scalinetto nei giorni di Natale del 1969. In particolare Maggi era deluso e disse che di fronte alla reazione dell’opinione pubblica vi era stata una “ritirata” di Rumor che aveva impedito un’immediata presa di posizione dei militari. Disse proprio “presa di posizione” e non “presa di potere” nel senso che sarebbe stato un primo intervento che avrebbe dato vita ad un maggior controllo dei militari sulla vita del Paese senza un vero e proprio colpo di Stato.

Cioè avrebbe permesso comunque l’uscita allo scoperto dei Nuclei di Difesa dello Stato con funzione di appoggio e di propaganda in favore dei militari. In seguito il capitano Carret mi confermò che quello era stato il progetto, ben visto anche dagli americani, e che era fallito per i tentennamenti di alcuni democristiani come Rumor. Mi spiegò anche che nei giorni successivi alla strage [del 12 dicembre 1969] le navi militari sia italiane sia americane avevano avuto l’ordine di uscire dai porti perché, in caso di manifestazioni o scontri diffusi, ancorate nei porti potevano essere più facilmente colpite» .

E’ , in certo qual modo, un cerchio che si chiude. Secondo le previsioni dei neofascisti veneti – alle cui determinazioni, come vedremo, non erano certo estranei alcuni apparati dello Stato e uomini della NATO – la strage di piazza Fontana, artificiosamente addebitata agli anarchici, avrebbe dovuto portare a «una presa di posizione da parte dei militari », ad un «maggior controllo dei militari sulla vita del Paese». Furono, però, i funerali delle vittime della strage, con la partecipazione di migliaia di persone sul sagrato del duomo di Milano, – secondo Ordine Nuovo – a far desistere il Presidente del Consiglio dal progetto ideato. Scosso dalla risposta civile del paese, Rumor non intraprese la strada che avrebbe condotto a un regime simile a quello instaurato dai colonnelli in Grecia, divenendo in tal modo il «responsabile» del fallimento di tutta la strategia.

Per questo andava eliminato, l’attentato andava fatto ricadere ancora sulle cellule anarchiche, all’epoca ancora «responsabili» della strage del 12 dicembre ’69. Giova ricordare, infatti, che nel maggio 1973 ancora non erano emerse le responsabilità dei neofascisti in ordine a piazza Fontana, così come celate erano rimaste le complicità, le coperture e le deviazioni di uomini dei servizi segreti e dei governi succedutisi in quegli anni. Appare evidente, dalle dichiarazioni di Digilio, che l’eventualità che Bertoli venisse catturato subito dopo la strage – e difficilmente poteva non esserlo, considerate le modalità di esecuzione: il lancio di una bomba a mano in mezzo alla folla, e non un ordigno a tempo – viene presa in considerazione da Maggi proprio al fine di attribuire a una pista anarchica la responsabilità dell’attentato; a maggior ragione, essendo in corso una commemorazione del commissario Calabresi, dai più ritenuto responsabile della morte di Pinelli. Giustamente, il giudice istruttore, lungi dall’attribuire a Rumor responsabilità oggettive in ordine alla strage di piazza Fontana, nota come «il Presidente del Consiglio dell’epoca e una parte della DC, ed anche e soprattutto il PSDI, erano visti come il terminale che doveva concretizzare con le sue decisioni i frutti di una strategia politico/eversiva che, partendo da soggetti operativi come Maggi, Zorzi e Freda, attraverso mediazioni, probabilmente anche militari, che forse non saranno mai note, era in grado di indirizzare le scelte ai massimi vertici istituzionali».

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Su questo aspetto, convergono le dichiarazioni rese da Martino Siciliano, il quale ricorda come «Delfo Zorzi, all’inizio del 1970, mi parlò della figura dell’onorevole Mariano Rumor, spiegandomi che da lui l’ambiente di destra si era aspettato che, nella sua qualità di Presidente del Consiglio, subito dopo i fatti del 12 dicembre 1969 portasse avanti la scelta di far proclamare lo Stato di emergenza. Sempre secondo Zorzi, già prima dei fatti del dicembre vi erano stati contatti fra alti esponenti di Ordine Nuovo a Roma e ambienti istituzionali, soprattutto democristiani, per giungere ad una soluzione di quel tipo in caso di attentati gravi. Tale soluzione sembrava sicura, ma dopo gli attentati del 12 dicembre l’onorevole Rumor aveva disatteso queste nostre aspettative e non si era sentito di portare avanti questa scelta. Per questo l’onorevole Rumor, agli occhi degli alti dirigenti di Ordine Nuovo fra i quali Zorzi mi indicò Maggi e Signorelli, era visto come un traditore e quindi andava prima o poi punito».