“Io mi batto per la dittatura militare. Con l’attentato al treno volevo scatenare il panico nel Paese, provocare una tensione politica tale da rendere necessario l’intervento del governo forte. Solo i colonnelli possono sistemare le cose in Italia”. Per la prima volta dai tempi delle bombe sui treni (agosto 1969) e della strage di Piazza Fontana (dicembre 1969), un fascista, colto sul fatto, ha rivelato i suoi piani, la sua tattica, i suoi scopi.
La sensazionale ammissione l’ha fatta un giovane di 22 anni, Nico Azzi, figlio di un portinaio di Porta Magenta a Milano, dopo il clamoroso fallimento dell’attentato con cui sabato 7 aprile intendeva far saltare il direttissimo Torino-Roma.
Un “idealista”. Partito in auto da Milano alle 8.30 in compagnia di due amici, dopo aver salutato disinvoltamente sua madre, Azzi arriva a Pavia dove, con uno dei suoi compagni, acquista un biglietto per Santa Margherita Ligure e sale sul diretto per Genova. Arrivati alle 11 alla stazione di Porta Principe, i due vanno a bordo del direttissimo in arrivo da Torino con destinazione Roma. Azzi regge una borsa di pelle nera, quella che usa per il suo lavoro di assicuratore. Dentro ha tutto l’occorrente per confezionare gli ordigni: due saponette di tritolo militare da mezzo chilo, due detonatori, pile, sveglia-timer, fili e morsetti. Alle 11.15, appena il convoglio si mette in moto, Azzi entra nella toilette della seconda carrozza in testa. Si siede sul water, punta la sveglia sulle 12.25, l’ora in cui la carica deve esplodere (proprio sotto le gallerie del Bracco, in modo che il treno possa deragliare e il disastro, al chiuso, essere ancora più micidiale). Abile nell’uso delle bombe (è un ex-guastatore di fanteria), sta maneggiando i fili quando uno scossone della carrozza provoca il contatto. L’innesco di tritolo dei detonatori esplode. Azzi è ferito: la toilette si riempie di sangue e fumo. Con una gamba in parte squarciata, il dinamitardo butta dal finestrino la borsa con l’esplosivo, poi esce a chiedere aiuto, finge di essersi infortunato salendo sul treno in corsa. Nessuno gli crede. Viene affidato alla polizia di Santa Margherita e piantonato all’ospedale. In un primo momento nega ogni addebito succhiando una caramella dopo l’altra, per ostentare disinvoltura. Anche quando viene messo di fronte a prove schiaccianti (la borsa del tritolo ritrovata, la testimonianza di due camerieri e di un passeggero), continua a difendersi come può.
Solo dopo due giorni di interrogatori cede. Ammette tutto affannandosi tuttavia a precisare di non aver voluto uccidere nessuno (“Rispetto la vita umana, io”). Arrivato a Santa Margherita, dice, avrebbe immediatamente avvertito i giornali per impedire una strage. Proclama di essere un “idealista”, un “isolato” che ha agito da solo, senza alcun contatto con organizzazioni politiche.
Ma queste sue affermazioni si rivelano subito poco attendibili. «Anche se avvertiti, non avremmo certo fatto in tempo a trovare la bomba e a disinnescarla prima dell’ora fissata per l’esplosione”, sostiene Emilio Santillo, il questore di Genova. “Azzi voleva uccidere, ferire. Su quel treno c’erano 500 passeggeri”. “Lui e i suoi mandanti erano sicuramente degli esperti, avevano orchestrato il piano alla perfezione”, aggiunge Umberto Catalano, capo dell’ufficio politico della polizia ligure. “La bomba era preparata con un esplosivo micidiale e la giostra del cambio dei treni era stata studiata in ogni particolare”.
Imprese di questo genere non sono mai individuali. Dietro c’è sempre un disegno politico, un’organizzazione, un mandante. “E’ di capitale importanza arrivare a capire per chi e con chi agiva Nico Azzi, smascherare l’intera banda terroristica che può agire ancora”, dice il giudice Carlo Barile che sta indagando sull’attentato.
Per il caso dei treni del ’69 e per la strage di piazza Fontana questa ricerca ha presentato mille difficoltà, per avere in mano elementi validi ci sono voluti degli anni. In questo caso invece il fatto è più semplice.
La squadra politica della questura di Milano Nico Azzi lo conosce bene, il suo nome figura da tempo nell’elenco dei più temibili personaggi neri: attentati con bottiglie incendiarie a Bergamo nel 1970, campi militari a Taleggio (Bergamo) e a Novi Ligure nell’estate 1971, assalto al liceo Manzoni di Milano nell’ottobre 1972, strette amicizie nel giro dei fascisti di San Babila e dei bombardieri delle Sam (squadre d’azione Mussolini) Angelo Angeli e Giancarlo Esposti. La carriera politica di Nico Azzi è un concentrato di estremismo di destra: inizia nella Giovane Italia(l’organizzazione giovanile del Msi di cui è stato anche vicesegretario regionale); passa attraverso Ordien Nuovo (il gruppuscolo fondato dal 1956 dal deputato missino Pino Rauti, allora in dissidio col partito ritenuto troppo blando e accomodante); continua in Avanguardia Nazionale (il raggruppamento fondato da Stefano Delle Chiaie, coinvolto nelle indagini sulle bombe di piazza Fontana). Nonostante questi febbrili itinerari attraverso svariate organizzazioni di estrema destra, Azzi tiene a sottolineare che ha avuto sempre un preciso punto di riferimento politico: il Msi. “Sono fascista e il mio partito è il Msi”, ha dichiarato ai giudici. E subito dopo, per chiarire meglio il suo pensiero, ha aggiunto: “Per fare ciò che ho fatto ho preso esempio dalle SS e dai combattenti di Salò che si sono incarnati nel Msi”. E ancora: “Le SS e la X Mas furono truppe magnifiche che si batterono con onore. Sono sempre state il mio ideale”. Nella perquisizione in casa Azzi la polizia comunque non ha scoperto soltanto materiale propagandistico del Msi, di Avanguardia Nazionale e di ORdine Nuovo, ma anche un catalogo delle edizioni Ar di Franco Freda, il nazifascista in carcere sotto l’accusa di aver organizzato la strage di piazza Fontana. La “strage di Genova” avrebbe dovuto essere il nuovo anello della catena.
Azzi a Milano frequentava un ambiente sordido (ex-legionari, ex-paracadutisti, picchiatori professionisti, provocatori) che ruota ai margini del Msi, milita nei gruppetti neri, e si raduna nei bar di San Babila. E’ un sottobosco di gente disposta a tutto, che ha contatti e finanziamenti oscuri e misteriosi.
Non mancano, stando a ripetute dichiarazioni di esponenti socialisti e comunisti, contatti fra costoro e le “centrali della provocazione straniera”, come ils ervizio segreto greco, che a Milano ha una sezione operativa. L’estate scorsa infatti, come ha scritto l’Avanti!, Kostas Plevris, capo della ripartizione italiana del Kyp greco, venne in Italia, passò da Milano, prese contatto con alcuni camerati. Infatti due mesi dopo, in via Adige, fu aperta la sede di Avanguardia Nazionale il cui responsabile, Alessandro D’Intino, il 4 febbraio scorso attentò col tritolo alla federazione del Psi di Brescia. Di fronte a questo quadro fosco e compromettente, il Msi smentisce che Azzi sia un suo iscritto. “Non ha niente a che vedere con noi”, ha dichiarato a Panorama Franco Maria Servello, deputato missino di Milano, “né lui, né i suoi compari”.
La loro tecnica- “Picchiatori e dinamitardi crescono nelle file missine e, quando vengono pescati con le mani nel sacco, i fascisti dicono che non sono dei loro”, obietta Arialdo Banfi, senatore socialista, dirigente nazionale dell’Anpi, l’associazione degli ex-partigiani. “E’ una tecnica che in Italia non inganna più nessuno, la gente sa che le bombe sono nere”. Proprio a Milano, città dove si reggono le fila del terrorismo fascista, il segretario del Msi-Destra Nazionale, Giorgio Almirante, il 12 novembre 1972, all’Hotel Michelangelo, aveva gridato: “Le trame nere non esistono. Le bombe sono tutte dei rossi. I giornalisti che scrivono il contrario sono tutti dei pennivendoli”. Perfino le statistiche ufficiali smentiscono Almirante: dal 1969 a oggi, in Italia, secondo le inchieste della polizia, gli ordigni esplosivi di sicura origine fascista sono stati 130. Le imprese come quella di Azzi fanno pensare che siano molti di più. E’ evidente infatti che, se il mancato attentatore non avesse fallito, le destre avrebbero attribuito immediatamente la “strage di genova” all’estrema sinistra.
E in occasione del comizio fissato per giovedì 12 avrebbero approfittato ancora una volta dell’occasione per chiedere l’avvento del “governo forte”.
“Bisogna catturarli, questi terroristi, e non affidarsi al caso come è accaduto a Genova”, dice Sandro Fontana, assessore all’Informazione della giunta regionale lombarda, autore dell’inchiesta sulla violenza fascista in Lombardia. “Di fascisti che vogliono commettere stragi ce ne sono ancora in giro parecchi”.
Carlo Rossella, «Panorama», 19 aprile 1973