Il caso Cesca – sentenza Italicus appello 1986

Durante il corso della formale istruzione, il quotidiano “Lotta continua” del 5 maggio 1976 così titolava una sua lunga corrispondenza da Firenze: “Una cellula fascista di poliziotti ha eseguito la strage dell’Italicus. Ecco i nomi e le prove”. La cellula si sarebbe chiamata “Drago Nero”; i nomi sarebbero stati quelli degli agenti di P.S. Bruno Cesca e Filippo Cappadona; le prove, sostanzialmente, le dichiarazioni fatte in una conferenza stampa da cerca Corti Maria Concetta. Costei aveva gestito, col convivente Fogli Luciano, il ristorante “Il Calderone” sito in Firenze alla Via Senese n.160. Poi­ché il locale non è lontano dalla caserma ai Poggio Imperiale, ove è di stanza l’8° reparto mobile della Polizia, era stato frequentato da diversi agenti: fra questi, all’incirca dal dicembre ’73, dal Cesca, dal Cappadona e da certo Piscedda.

Tutti, ivi compresi il Fogli e la Corti, erano rimasti coinvolti nelle indagini su una serie di ra­pine e di altri fatti delittuosi avvenuti nel 1975 : per questi fatti il Cesca, il Piscedda, il Fogli e la Corti – quest’ultima chiamata in causa dal primo – erano stati arrestati ed in particolare la Corti nei suoi interrogatori aveva fatto precisi riferimenti ad un presunto coinvolgimento dei Cesca nella strage dell’Italicus affermando che lo stesso, dopo aver letto la relativa notizia sul giornale, aveva battuto un pugno sul tavolo esclamando: “Se sapevo questo, non avrei fornito la roba”. Richiesto di spiegazioni, avrebbe soggiunto: “Te lo dirò in seguito, perché ho un peso sullo stomaco”.

La Corti, sentita dal G.I. dopo l’intervista a “Lotta continua”, insisteva nei suoi assunti, precisando che all’uscita del Cesca aveva presenziato il cameriere Marceddu Mariano. Costui, a sua volta sentito, affermava che il Cesca, dopo aver visto sul giornale “La Nazione” le fotografie del vagone bruciato, aveva avuto una strana reazione, vibrando pugni sul muro e sul tavolo su cui era poggiato il giornale aperto alla seconda pa­gina, dandosi inoltre a scalpicciare sul pavimento. Poiché esso Marceddu stava dando la cera ed il Cesca così facendo sporcava il pavimento appena lucidato, l’aveva invitato a smettere, provocando un battibec­co nel corso del quale l’agente aveva detto fra l’altro: “Sta zitto, se no le buschi anche tu”. Il Mar­ceddu sosteneva invece di non aver sentito, anche perché si trovava ad una certa distanza, la frase che la Corti aveva attribuito al Cesca.

Lo stesso Cesca, in sede di confronto con la Corti, ammetteva che alla lettura del giornale recante le notizie dell’attentato all’Italicus aveva battuto i pugni sul tavolo. Assumeva però che il suo commento si era limitato ad una frase generica del tipo: “Ma guarda questi disgraziati che fanno”, ammettendo come solo possibile che avesse detto alla Corti di avere un peso sullo stomaco. Non ricordava per altro a cosa si fosse riferito. Avendo detto la Corti che il Cesca era in con­tatto telefonico con certo Batani (nominativo che corrisponde a quello ci un noto estremista aretino) e che in carcere le aveva detto di dimenticare il nome Tomei, il Cesca sul primo punto assumeva un atteggiamento di completa chiusura, rifiutandosi di rispondere su suoi eventuali rapporti o incontro con persone d’Arezzo; sul secondo affermava di aver appreso in carcere che il Tomei aveva ospitato il Tuti per una ventina di giorni durante la sua lati­tanza dopo l’eccidio di Empoli: donde la deduzione che si trattasse di una persona pericolosa e la raccomandazione a dimenticarne il nome.

Precisava il Cesca che il “Drago nero” era niente altro che un circolo di appassionati di lotta giapponese: nel ’65-69, avendone letto su un giornale, aveva scritto e gli era stata inviata la relativa tessera, di poi sequestratagli. Poiché “Lotta continua”, fondandosi su una in­tervista del Marceddu, aveva ritenuto come acquisito che il Cappadona nell’agosto ’74 fosse in servizio presso lo scalo di S.Maria Novella, deducendone che potesse aver prestato aiuto al Franci consentendogli la collocazione dell’ordigno sul treno, si stabiliva che ne il Cappadona, nè altri adenti diversi da quelli della Polizia ferroviaria avevano prestato servizio a S.Maria Novella la notte fra il 3 e il 4 agosto 1974, solo successivamente essendosi disposto per l’assegnazione straordinaria di personale in rinforzo per i servizi di polizia ferroviaria.

Si escludeva pure che il Cesca, quale addetto all’artiglieria della caserma di Poggio Imperiale, aves­se libero accesso agli esplosivi e potesse avvalerse­ne – estraendoli da bombe a mano – per provocare a scopo di divertimento delle piccole esplosioni nel giardino del “Calderone”.

 

Sentenza Italicus appello 1986 pag 44-47